Proprio mentre Roma festeggiava la Liberazione, Bruxelles ha divulgato alcune nuove proposte legislative sui conti pubblici dei paesi membri. Nei toni tipici di una trattativa che spera di apportare i fatidici (e non certo inaspettati) “ultimi ritocchi”, la Commissione UE annuncia la sua proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita, che è da sempre il cuore della comune disciplina economica europea. È dal 2020 che i vecchi parametri del Patto sono sospesi, a causa della pandemia, e queste nuove regole appena suggerite da Bruxelles dovranno essere applicate già dal prossimo anno.
Si propone un patto più semplice ed efficace, con un quadro di governance economica UE semplificato sotto diversi aspetti: innanzitutto adottando un singolo indicatore operativo (la spesa pubblica netta), e al contempo depennando molti altri indicatori inclusi oggi in vigore, come il parametro della riduzione del debito, quello della riduzione del saldo strutturale, la procedura per deviazione significativa e la matrice dei requisiti di aggiustamento fiscale.
Nel caso specifico del nostro Paese, si tratterebbe di una manovra correttiva dagli 8 ai 15 miliardi di euro l’anno, pari allo 0,85% del PIL: questo riporta la proiezione elaborata dai tecnici della Commissione Europea, come onere che spetterebbe all’Italia per imboccare la strada del risanamento dei suoi conti pubblici. Le proiezioni sono frutto di un’apposita simulazione condotta dai tecnici della Commissione, che prende come riferimento i dati relativi ai rapporti tra i valori di deficit e PIL e tra quelli di debito pubblico e PIL. Nel dettaglio, la proposta di riforma del Patto prevede un aggiustamento minimo dello 0,50% per i Paesi che riportano uno scostamento non troppo ampio dai paramenti di riferimento (il 3% per il rapporto deficit-Pil e il 60% per quello deficit-Pil).
Nel caso dell’Italia, e considerando i suoi specifici valori, si è dedotto che la traiettoria tecnica di rientro (nell’ipotesi di un periodo quadriennale di calibratura) comporterebbe una riduzione annua pari almeno allo 0,85% del PIL. Se invece l’Italia volesse e potesse usufruire di un’estensione del periodo previsto per il rientro dei conti pubblici, cioè ampliandolo fino ai sette anni consentiti come soglia temporale massima, allora la correzione annua scenderebbe allo 0,45% del PIL.
Per la Francia la stessa simulazione prevede la necessità di un rientro pari allo 0,65% del Pil su 4 anni, che scenderebbe allo 0,35% su sette anni. Per la Spagna, invece, i due parametri di riferimento sarebbero dello 0,60% su 4 anni e dello 0,35% su sette.
Subito dopo la presentazione della proposta da parte di Bruxelles, una nota del nostro Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiarito la posizione italiana su questo parto della Commissione europea. «Prendiamo atto della proposta della commissione sul nuovo patto di stabilità» – ha detto il ministro Giorgetti – «E’ certamente un passo avanti ma noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, incluse quelle tipiche del PNRT digitale e quelle legate al Green Deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è».
Da parte sua, il commissario europeo all’Economia (nonché nostro ex presidente del Consiglio) Paolo Gentiloni ha sostenuto che l’Italia dovrà comunque ridurre il livello del proprio debito, ricordando che quando questa riforma verrà approvata potrà farlo in modo più graduale, e nel modo che vorrà decidere autonomamente.
«Se guardiamo il corso degli ultimi quarant’anni abbiamo avuto diversi periodi in cui il debito è stato ridotto più o meno significativamente» ha anche ricordato Gentiloni, aggiungendo che «molto spesso il debito aumenta per una cattiva qualità della spesa pubblica, e non per soltanto per fare degli investimenti positivi». Quindi «non tutto lo spazio per gli investimenti viene dalle regole fiscali. Per aumentare gli investimenti non bastano le regole fiscali, ma le regole fiscali possono favorirli o sfavorirli. Io penso che fin qui non ci fosse un meccanismo per favorirli, mentre da adesso questo meccanismo c’è».
Và pur detto che la famigerata tabella delle simulazioni contiene calcoli che non rappresentano in alcun modo un riferimento né centrale né unico, perché la partita dell’aggiustamento dipenderà essenzialmente da due fattori: la traiettoria definita dalla Commissione europea per il medio termine e la regola della spesa.
Quando è stato chiesto a Gentiloni di quantificare lo sforzo di bilancio che riguarderebbe l’Italia, il commissario si è rinchiuso nell’abbozzata scusa di non conoscere le cifre indicate in tabella, ma non ha evitato una stoccata finale di lampante sarcasmo: «Non conosco quei numeri, ma di certo l’Italia dovrà ridurre il livello del debito e non c’è nessun italiano, al governo o meno, che non ne sia consapevole».
Tutto sommato, il tentativo della Commissione europea di modificare il Patto di Stabilità è finalizzato ad avere regole più credibili e più efficaci, associando al necessario risanamento delle finanze pubbliche un altrettanto necessario sostegno agli investimenti. Ora le proposte per la riduzione minima del debito per i paesi più indebitati saranno discusse sia dal Consiglio che dal Parlamento europeo già nei prossimi giorni.
Si tratta quindi di creare sì un nuovo regolamento, ma ciascun paese sarà chiamato a preparare un proprio piano di risanamento del debito basato sulla propria spesa pubblica netta (al netto, quindi, degli interessi e di altre variabili fuori dal controllo governativo). Per i paesi con debito elevato, i singoli piani nazionali di rientro (che siano di 4 o 7 anni) dovranno garantire un calo del debito pubblico per un periodo continuativo di almeno dieci anni, senza che siano necessarie ulteriori misure di risanamento. Si prevede però l’attuazione di una procedura per debito eccessivo che scatterà qualora il paese non dovesse rispettare la prevista traiettoria della spesa pubblica netta. Parimenti saranno previste e applicate opportune circostanze attenuanti in determinate situazioni, ma quanto più il debito sarà elevato in partenza, tanto meno vi sarà margine di manovra.
Berlino non è affatto entusiasta della cosa: «Le proposte della Commissione»– tuona il ministro delle Finanze Christian Lindner – «non soddisfano le richieste del governo tedesco, perché servono aggiustamenti chiari per trasformare la proposta della Commissione in norme realmente affidabili, trasparenti e vincolanti». Parigi sembra invece appoggiare il progetto, anche se il Ministro Bruno Lemaire denuncia: «Ci opponiamo a regole automatiche uniformi di riduzione del deficit e del debito, perché sono contrarie al principio di differenziazione che è alla base della riforma stessa», sui toni già usati dal nostro Giorgetti. Si prevede un dibattito acceso tra le opposte ideologie economico-finanziarie di quest’Europa. La speranza di Bruxelles è quella di riuscire ad approvare il nuovo Patto entro la fine di quest’anno, così da permettere ai singoli stati membri di approntare i loro primi piani nazionali di risanamento delle finanze all’alba del 2025. Il dibattito si scatenerà nell’Eurogruppo e nell’Ecofin previsti a giugno, e i tempi sono già ristretti: il 31 dicembre 2023 scade la clausola di salvaguardia, quella che ha sospeso finora l’applicazione del Patto post pandemia. Un Patto, quello che adesso si vorrebbe riformare, che fu pensato negli Anni Novanta, quando solo l’Italia superava il rapporto debito/PIL del 60%. Attualmente anche Francia, Spagna e Portogallo superano tale percentuale, con la Grecia che arriva al 175%. Ecco perché Dombrovskis, vice presidente della Commissione Europea, ha stigmatizzato: “Le nostre regole di bilancio sono superate: ora ci troviamo di fronte a sfide e priorità economiche diverse rispetto al passato, e le nostre nuove regole devono riflettere questi cambiamenti”.
Vedremo se, e come, ci riusciremo.