di Paolo Dagli Orti.
Secondo il conteggio del tempo inventato dal regime fascista, il 1929 corrispondeva al settimo anno dell’era iniziata nel 1922 con la marcia su Roma. L’11 febbraio di quell’anno, fra l’Italia e la Santa Sede, furono firmati i tre documenti che costituiscono i Patti lateranensi.
Con il Trattato nacque il nuovo piccolissimo Stato della Città del Vaticano.
Con la Convenzione finanziaria, “considerando i danni ingenti subiti dalla Sede Apostolica per la perdita del patrimonio di San Pietro”, lo Stato italiano si obbligò a pagare la somma di 1.750.000.000 in lire italiane, circa un decimo dell’intero bilancio pubblico dell’epoca (circa 1.500.000.000 in euro attuali). Da allora “tutta la storia delle relazioni fra l’Italia e il Vaticano è una storia di quattrini” (Ainis, 2009), che si può documentare con una lunga serie di esempi.
Il Concordato, come il Trattato, inizia con le parole “In nome della Santissima Trinità”, e servì a “regolare le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia”.
Il successivo 13 febbraio, all’università cattolica di Milano, Pio XI ricordò che la materia era “così vasta, così complicata, così difficile, da dare qualche volta addirittura le vertigini”. E aggiunse che “forse ci voleva proprio un Papa alpinista immune da vertigini … e ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie”. Ci voleva un Trattato per dare alla Chiesa le condizioni di una “vera sovranità che non è riconosciuta se non attraverso una certa misura di territorialità”, però ci voleva nello stesso tempo un Concordato per risanare le condizioni della religione cattolica in Italia. Insomma, la Santa Sede voleva una sede terrena concreta per sanare la propria religione e Mussolini voleva solo sedurre la maggioranza cattolica degli italiani. La genialità clerico-fascista decise che “la soluzione era di far camminare le due cose di pari passo”. Sicché Trattato e Concordato si completano e si implicano. La sottigliezza diabolica della procedura fu individuata subito dalla lucidità di Antonio Gramsci il quale annotava: “la fondazione della Città del Vaticano dà un’apparenza di legittimità alla finzione giuridica che il concordato sia un comune trattato internazionale bilaterale”, ma in realtà si stipulavano concordati anche prima che esistesse il Vaticano come Stato, continua Gramsci “ciò significa che il territorio non è essenziale per l’autorità pontificia. … La capitolazione dello Stato moderno che si verifica per i concordati viene mascherata identificando verbalmente concordati e trattati internazionali”. Infatti, il concordato è “il riconoscimento esplicito di una doppia sovranità in un stesso territorio statale”, e in tal modo si intacca il carattere di autonomia della sovranità dello Stato moderno.
Ecco i punti qualificanti il Concordato elencati dal Papa, a un tempo, capo di Stato e capo della Chiesa: “alla Chiesa si riconosce la personalità giuridica; il sacramento del matrimonio prende il posto che gli compete nella legislazione civile; all’insegnamento religioso (si tratta solo della dottrina cattolica) si dà il dovuto posto e onore; all’Azione Cattolica è riconosciuto un posto legittimo”.
Puntuale la nota di Gramsci sottolineava che: “la Chiesa riconosce qualsiasi potestà di fatto e purché non tocchi i suoi privilegi la legittima; se poi accresce i suoi privilegi, la esalta e la proclama provvidenziale”.
Dopo la fine del fascismo, nella seduta della Costituente repubblicana dell’11 marzo 1947 Benedetto Croce ricordò di essere stato solo nel Senato del 1929 a dichiararsi contrario ai Patti lateranensi “perché la mia ripugnanza e opposizione si riferiva a quel caso particolare di conciliazione effettuato non con una Italia libera, ma con una Italia serva e per mezzo dell’uomo che l’aveva asservita”.
Croce si chiedeva ora: “che cosa c’è di comune tra una Costituzione statale e un trattato tra Stato e Stato? e perché offendere il senso giuridico che è stato sempre così alto in Italia e che solo il fascismo ha osato calpestare?” Secondo il filosofo, l’inclusione dei Patti nella Costituzione era “uno stridente errore logico e uno scandalo giuridico”.
Sull’inserimento dei Patti nella Costituzione pesò soprattutto il calcolo elettorale e la utile compiacenza della gerarchia vaticana, oltre che l’assurda idea di dover evitare uno scontro religioso. Una situazione simile si rinnovò 37 anni dopo, nel 1984, a proposito di un nuovo Concordato che eliminò alcuni elementi anacronistici (ad es. l’affermazione: “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”, in verità presente nell’art. 1 del Trattato), ma non le evidenti contraddizioni con articoli della Costituzione e l’illogicità del Concordato stesso.
L’art. 7 della Costituzione recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”. Il costituzionalista Ainis sottolinea che esso “raccolse l’eredità di Benito Mussolini nella Costituzione repubblicana”.
Il primo comma è addirittura superfluo per ovvietà perché, già ironizzò il costituente Piero Calamandrei, è come se si dichiarasse che: “l’Italia e la Francia sono indipendenti e sovrane” e può, forse, avere un senso solo pensando alla peculiarità di una Chiesa/Stato enclave nel cuore della capitale italiana. Il secondo comma invece, con il richiamo dei Patti, riconosce un regime privilegiato proprio e solo per la Chiesa Cattolica. Ed è qui che si palesano illogicità e scandalo giuridico: la Repubblica continua a regolare i rapporti con un altro Stato sulla base dei Patti che introdussero una interferenza sulla propria sovranità, senza reciprocità, come riconobbe Gramsci: “Nel concordato si realizza di fatto una interferenza di sovranità in un solo territorio statale”.
Un esempio su un tema noto a tutti può illustrare la non reciprocità tra i due ordinamenti statali indipendenti e sovrani: il matrimonio secondo il diritto canonico (matrimonio concordatario) ha effetti civili in Italia. Ma non vale mai il contrario.
La cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario (impropriamente detta divorzio) non è mai riconosciuta dalla Chiesa/Stato Vaticano. Invece, la nullità del matrimonio stabilita dal tribunale della Rota Romana può essere riconosciuta dallo Stato italiano quale sentenza di Stato estero.
L’art. 7 della Costituzione continua ad essere una brutta macchia sopra la laicità della Repubblica.
Pasolini con “L’articolo delle lucciole” del 1975 tratteggiò con efficacia quel periodo che va dal ’45 ai primi anni Sessanta: “La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta […] la democrazia era spudoratamente formale. Una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. I valori che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la patria, la famiglia, l’obbedienza, la disciplina, l’ordine, il risparmio, la moralità”.
Dobbiamo riconoscere che la continua ingerenza politico-culturale della chiesa/Stato Vaticano, “una delle forze politiche più efficienti della storia moderna”, è inversamente proporzionale al piccolissimo territorio posseduto. Si tratta di un’altra e diversa forma di temporalismo. Il fatto che questa influenza sembri normale e ovvia, soprattutto nel nostro Paese, invera l’osservazione gramsciana sulla antica teoria clericale del cosiddetto “governo indiretto” e cioè che: “La Chiesa non può accontentarsi solo di creare preti; essa vuole permeare lo Stato e per ciò è necessaria una concentrazione di cultura cattolica rappresentata da laici”