Di Fabrizio Montanari
Il mirandolese di nascita, e reggiano d’adozione Patrizio Giglioli, è stato il più stretto e affidabile collaboratore del sindaco Luigi Roversi, nonché uno dei più stimati e fedeli seguaci di Camillo Prampolini. La loro amicizia risaliva al 1881/82, quando entrambi erano collaboratori assidui del foglio anarco-socialista Lo Scamiciato. Insieme o da soli raggiungevano ogni angolo della provincia per incontrare i lavoratori delle fabbriche o dei campi al fine do convincerli ad aderire alla causa socialista. La domenica, infatti, era la giornata dedicata agli incontri e ai comizi per informare e istruire il popolo.
Come ho ricostruito nel mio libro Achille Vittorio Pini, il figlio della terra, nel 1889 Giglioli fu perfino decisivo nel salvare la vita al suo maestro. Informato, infatti, da Arturo Ceretti dell’attentato subito a Mirandola dal fratello Celso Ceretti ad opera di due anarchici individualisti, Luigi Parmeggiani e Vittorio Pini, nei confronti dei quali sia Celso che Prampolini erano da tempo in aperta polemica, Giglioli allertò subito l’avvocato Genesio Marzucchi, parente del Pini, il quale rintracciò e mise in guardia Prampolini presso la redazione de La Giustizia del possibile imminente pericolo, salvandogli così la vita.
Giglioli si dimostrò, come vedremo, un grande amministratore, forse il più grande dopo Luigi Roversi, oltre a essere stato presidente della Camera di Commercio negli anni ottanta dell’Ottocento, presidente della Congregazione di carità e, dopo la vittoria del ’99, assessore comunale e l’artefice delle municipalizzazioni.
Onesto fino al disinteresse personale, dotato di una visione lungimirante dello sviluppo della città, fu sempre sorretto da una fede ferrea nel socialismo e nel suo vate reggiano Camillo Prampolini.
Dopo la fase anarchica dello Scamiciato, iniziò la sua avventura politica al fianco di Prampolini e della Lega dei socialisti reggiani. Quando le leggi liberticide emanate nel 1884 dal governo Crispi, portarono allo scioglimento del PSI e alla persecuzione dei sui aderenti, questi, affatto rassegnati o intimoriti, diedero vita alla Lega della libertà. Quasi tutti i suoi iscritti vennero processati e incarcerati o assegnati al domicilio coatto. Tra questi anche Prampolini e Giglioli.
La vittoria della lista democratica e socialista alle elezioni del 1889 portò Giglioli alla presidenza dell’importante istituzione della Congregazione di carità, che rappresentava e amministrava i beni di dieci Opere pie, tra le quali in Ricovero di mendicità. La sua presidenza introdusse rinnovati criteri di gestione e scelte di marcata connotazione anticlericale. Grazie a lui, infatti, vennero istituiti i comitati di quartiere in sostituzione delle vecchie commissioni parrocchiali con il compito di verificare e controllare la ripartizione dei sussidi ai più bisognosi. L’impostazione tradizionale cattolica impostata sulla caritatevole elemosina veniva così superata da una visione laica, offrendo ai bisognosi opportunità di lavoro e di istruzione in modo da innescare uno sforzo consapevole di autoelevazione dal loro stato di miseria.
Nel 1900 con la giunta presieduta dal primo sindaco socialista, avv. Alberto Borciani, ritroviamo Giglioli membro sia nella giunta della Camera di Commercio che della giunta comunale come assessore al bilancio e alla finanza del Comune di Reggio.
La politica di municipalizzazione, iniziata con il sindaco Borciani e incrementata con Luigi Roversi, che caratterizzò tutti gli anni dell’amministrazione socialista, ebbe in Giglioli il suo massimo artefice, anche se, essendo un commerciante grossista, le scelte compiute lo posero più volte nella difficile posizione d’agire contro sé stesso. Visse in sostanza una specie di conflitto d’interesse, ma al contrario. Solo la sua determinazione riuscirà come vedremo a risolvere il problema.
La prima municipalizzazione fu quella della farmacia, che provocò non poche perplessità e contrarietà nelle forze d’opposizione. Poi, in tempi diversi, seguirono quella del gas e della luce elettrica, l’istituzione del macello comunale e l’apertura di una fabbrica municipale del ghiaccio.
La più contestata dai commercianti e dalla minoranza consigliare fu senz’altro quella del pane, che prevedeva l’apertura anche di un forno, un mulino e un pastificio comunali. Giglioli non si scoraggiò e sottopose la proposta a referendum, che a larga maggioranza approvò l’iniziativa di Giglioli. Fu allora che sentendosi come commerciante in contraddizione con sé stesso, Giglioli, dovendo scegliere tra le sue convinzioni politiche e gli interessi privati, scelse la causa socialista, dimettendosi da consigliere della Camera di Commercio.
Il riformismo reggiano veniva in quei giorni esaltato in tutta Italia e preso ad esempio anche per la sua politica di bilancio, che aveva raggiunto, grazie soprattutto al coraggio di Patrizio Giglioli, la parità, riducendo contemporaneamente le tasse ai più incapienti.
Poi arrivò, come era prevedibile, la reazione dei conservatori, dei clericali, dei commercianti e degli industriali, che nel 1904, si costituirono in una “Grande Alleanza”, vincendo le successive elezioni amministrative.
Essi andavano sostenendo che a Reggio si era arrivati alla rivoluzione e che era venuto il tempo di cambiare rotta. Vinsero le elezioni amministrative e si insediarono in comune. Rimasero però alla guida del Comune solo due anni, fino al 1907, quando i socialisti ritornarono al governo della città, e lì rimarranno fino all’avvento del fascismo, forti del doppio dei consensi rispetto a quelli ottenuti dai moderati.
Sempre all’assessore Giglioli, unitamente al sindaco Roversi, si devono altre significative realizzazioni, come l’apertura del refettorio nelle scuole e l’approvazione di un grande piano di costruzione di edifici scolastici. Per non parlare del suo apporto al progetto delle case popolari e alla fase preliminare del progetto della ferrovia Reggio-Ciano d’Enza.
Tornato dunque in consiglio comunale nel 1907, dopo la sconfitta della Grande Armata, vi rimase fino al 1912, per morire, dopo lunga malattia, l’anno successivo, a soli 57 anni. Il sindaco Roversi lo commemorò in una apposita seduta del Consiglio comunale con le lacrime agli occhi. Espresse parole di profonda stima per le capacità di amministratore che aveva sempre dimostrato, non nascondendo anche la sua profonda tristezza per la perdita dell’amico di una vita. Anche la minoranza si unì al dolore della famiglia e dei compagni di fede, riconoscendo il valore del politico e dell’amministratore, che aveva sempre, anche nei momenti più difficili, dimostrato amore per la sua città, onestà e disinteresse.
La Giustizia sett., lo ricordò ai compagni con due articoli il 13 e il 20 aprile 1913.