IL “CODICE RATZINGER” NON E’ QUELLO DI CIONCI, MA E’ “IL PAPA EMERITO”…
Intervista con Domenico Savino
Buongiorno Savino, le farebbe due chiacchiere sul Codice Ratzinger…
Certo che sì.
In sintesi spieghi ai lettori, che ancora non l’abbiano ancora letto, di che si tratta.
E’ di un’indagine condotta da un “non-addetto“ ai lavori, il dott. Andrea Cionci, anticipata attreverso due anni di articoli, pubblicati sul suo blog, su “Libero Quotidiano” e sul sito di Byoblu, che si è condensata in un libro, “Codice Ratzinger”per l’appunto, in base a cui Benedetto XVI non si sarebbe in realtà dimesso.
Teoria bizzarra.
…ma non senza base di appoggio. La “Declaratio” di rinuncia di Benedetto XVI si fonda sulla distinzione tra Munus petrino (titolo, ufficio) e Ministerium petrino (esercizio di tale ufficio). In italiano questi due termini sono entrambi tradotti come “ministero”. Peccato che – come dice Cionci – l’unica versione a fare giuridicamente testo è quella in latino, non solo perché è la lingua ufficiale della Chiesa, ma anche perché Benedetto ha pronunciato la Declaratio in latino. Inoltre negli “Acta Apostolicæ Sedis – Commentarium Officiale”, che è un po’ la Gazzetta Ufficiale del Vaticano, si parla di Declaratio Summi Pontificis – De muneris Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri abdicatione, laddove “abdicatione” è riferita a Munus e dove – comunque – abdicatione è termine aggiunto, che nella Declaratio non c’è.
Sì, ma la gente comune queste cose non le può sapere. Che dice la Declaratio?
Benedetto XVI ammette che la sua “ingravescente” età non è adatta per la “buona amministrazione” del “Munus petrinum”. Ciò premesso… rinuncia al Ministerium…
Si spieghi meglio…
Quella di Benedetto XVI sarebbe stata una rinuncia all’ “esercizio del Ministrero” petrino, ma non all’Ufficio petrino. Invece la rinuncia del Papa deve essere al Munus in base can. 332, co. 2, secondo cui “nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio (Munus), si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”.
... e Benedetto XVI – secondo quanto sostiene Cionci – ha rinunciato al Ministerium, non al Munus.
Esatto e quindi saremmo in presenza di un errore sostanziale nella rinuncia.
Ne consegue?
Il can. 189 precisa che “la rinuncia che contenga un errore sostanziale è ipso iure irrituale”.
Risultato?
In base ai canoni 124, 332 § 2, 188, 17 del Codice di Diritto canonico la rinuncia sarebbe stata invalida.
Altro?
Non bastasse egli ha sottoposto tale rinuncia ad una condizione modale “sospensiva”, cioè ha differito la produzione degli effetti ad una data successiva rispetto al momento della dichiarazione di rinuncia del giorno 11 febbraio, cioè al giorno 28 febbraio 2013, ora ventesima. E questo sarebbe un ulteriore elemento che indurrebbe a ritenere che egli abbia rinunciato al Ministerium e non al Munus, che è da Dio e non può essere sottoposto a condizione dagli uomini, dato che nel Pontificato si è costituiti per diritto divino, avvenuta l’elezione e l’accettazione.
La dica più semplice.
Dall’ora ventesima del 28 febbraio 2013 Benedetto XVI avrebbe rinunziato a “fare” il Papa, ma non ad “essere” Papa.
Quindi?
Non avrebbe reso vacante la Sede Apostolica, che è condizione necessaria per la convocazione di un Conclave valido. Per Cionci egli si sarebbe invece posto “in sede impedita”, senza tuttavia “dimettersi” in senso tecnico o “abdicare” (nonostante l’ “abdicatione” di cui scrivono gli Acta Apostolicae Sedis).
Cos’è la sede impedita?
La impossibilità per cause esterne a svolgere il proprio ministero. E se la sede di Pietro è del tutto impedita, come nel periodo della sede vacante, nulla può essere mutato nel governo della Chiesa universale, sicchè ogni atto di Bergoglio sarebbe nullo. Per questo motivo Benedetto avrebbe continuato a definirsi Papa, seppure “emerito”, a vestire di bianco, a firmarsi col titolo di “Pater Patrum”, ad impartire “benedizioni apostoliche” (prerogativa eminentemente Papale), a risiedere in Vaticano, rimanendo – per usare le sue stesse parole – all’interno del “recinto di San Pietro”. Avrebbe così reso il Conclave, con cui Bergoglio è stato eletto, invalido e Francesco un Antipapa.
Motivo di tutto questo guazzabuglio?
Come risposta al complotto ordito dai Cardinali rinuniti intorno al Card. Martini nella cosiddetta Mafia di San Gallo, che lo avrebbero costretto alla dimissioni. Con la sua apparente “mezza rinunzia” al solo esercizio del Magistero petrino e la convocazione di un conclave illegittimo, che ha eletto Bergoglio, egli avrebbe “scismato” i “golpisti” “dalla vera Chiesa”, salvando il Dogma della Fede cattolica,.
Munus, Ministerium…: una questione di lana caprina.
Così sostengono in molti, tra cui don Barbaglia, per il quale i termini sarebbero se non sinonimi, comunque intimamente connessi: “Ministerium va a designare il suo inizio nell’assunzione del Munus, nell’esercizio della sua potestas e nell’esplicitazione del suo officium: tutto ciò è contenuto nell’espressione «initio ministerii novi Pontificis”.
Dunque problema risolto e Cionci zittito?
No, perchè altri sostengono il contrario e in ogni caso la lettera del canone parla di “Munus” (“muneri suo renuntiet”). Ora, se il 19 aprile 2005, Benedetto XVI ha iniziato il suo ministero come nuovo Pontefice (= “initio Ministerii novi Pontificis”) e l’11 febbraio 2013 ha annunciato a partire dalle ore 20 del 28 febbraio la fine di quello stesso Ministero, egli tuttavia ha continuto a definirsi Papa, seppure emerito, conservando il Munus. Il fatto strano è che Benedetto XVI, riguardo al testo scrive in una lettera inviata al Corriere della sera nel settembre 2016: “Il testo della rinuncia l’ho scritto io. Non posso dire con precisione quando, ma al massimo due settimane prima. L’ho scritto in latino perché una cosa così importante si fa in latino. Inoltre il latino è una lingua che conosco così bene da poter scrivere in modo decoroso. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche errore”.
E in latino esistono quei due termini!
Esistono e sono presenti nel Codice di Diritto canonico, ma soprattutto nella Declaratio di rinuncia. Senza questa distinzione – io credo – non si sarebbe neppure potuta concepire la figura inedita del “Papa emerito”. E per di più la Declaratio medesima contiene due erroracci di grammatica, che nemmeno un ragazzo del primo anno di Ginnasio, peraltro immediatamente rilevati da uno dei maggiori latinisti italiani, il prof. Luciano Canfora…
https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/cronaca/2013/12-febbraio-2013/accusativo-posto-dativocanfora-bacchetta-testo-ratzinger-2113963174383.shtml
Cioè ?
Pro Ecclesiae vitae, anzichè pro Ecclesiae vita.
E il secondo errore?
“Declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum renuntiare”, anzichè “commisso”. Per uno che diceva di essere un buon latinista, non c’è male… A parte che nella pubblicazione on-line sul sito del Vaticano l’ora indicata era la 29… Lei capisce… un giorno di 29 ore!
Chi ha battuto il testo latino, nell’emozione del momento, avrà toccato sulla tastiera il 9 anziché lo zero!
Probabilissimo, ma per gli altri due errori ?
Lei sostiene che sono errori volontari?
Io non sostengo nulla. Cionci sostiene che questi due errori (insieme a una quarantina di altre imprecisioni) ed altri strani messaggi lanciati da Benedetto nel corso del suo “Pontificato emerito” sarebbero voluti, indiziari, un modo cioè per accendere la luce: un “Codice Ratzinger”, per l’appunto, da decifrare, per far intendere che quella rinuncia era “strana”. E un po’ strana lo è… Da allora egli avrebbe reiterato, mediante messaggi anfibologici, cioè di significato ambivalente, l’allarme, per far intendere al popolo cattolico che egli rimaneva Papa e che all’atto della convocazione del nuovo Conclave per l’elezione di Bergoglio il soglio pontificio non sarebbe stato vacante, ma “libero”.
Differenza?
Secondo Cionci l’espressione latina “sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet” è tradotta ufficialmente come “la sede di Roma, la sede di San Pietro sarà vacante”, ma in realtà significherebbe “resterà libera, vuota”, ma non vacante.
Non capisco.
Secondo Cionci, Benedetto non “abdica”, ma “si alza” dalla sedia “liberamente” per lasciarla libera, andandosene prima a Castelgandolfo, poi presso il monastero Mater Ecclesiae in Vaticano a “orare e patire”, conservando l’Ufficio petrino (cioè il titolo di Papa), ma senza esercitarne più il Ministero: “Bene conscius sum hoc Munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando”. Quapropter declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri renuntiare. Il soglio resterebbe così libero (perchè lui si ritira ad “orare et patire”), ma non vacante: lui non avrebbe rinunciato ad essere Papa, ma a farlo..
Un’interpretazione forzata di Cionci…
… che Cionci ha ripreso da don (o ex-don? … mah!) Minutella, nel suo libro “Pietro dove sei”.
Però è una forzatura?
Può sembrare, ma aggiungo una cosa ulteriore.
Cioè?
E’ una risposta che Benedetto dà a Peter Seewald nel libro “Ultime coinversazioni”, uscito dopo la rinuncia. Alla domanda “se la diminuzione del vigore fisico è motivo sufficiente per scendere dal soglio di Pietro”, Benedetto XVI puntualizza: “Qui si può muovere l’appunto che si tratta di un fraintendimento funzionalistico: il successore di Pietro infatti non è solo legato ad una funzione, ma è coinvolto nell’intimo dell’essere. In tal senso la funzione non è l’unico criterio”.
Che vuol dire?
Sembra dire che oltre la funzione, vale a dire l’esercizio del Ministero petrino, cioè il “fare delle cose concrete” (“konkrete Dinge tun” come egli letteralmente scrive) vi è nel Papa qualcos’altro: “die Petrusnachfolge trifft ins Sein hinein”, ovvero il successore di Pietro è coinvolto all’interno dell’essere.
E allora?
Benedetto risponde: “Se si vuole svolgere l’incarico (attenzione, svolgere l’incarico!) come si deve, non c’è ombra di dubbio: se non c’è più la capacità di farlo (farlo, attenzione! Konkrete Dinge tun! n.d.a.) è necessario – per me almeno, un altro può vedere la cosa diversamente – lasciare libero il soglio”. In tedesco “den Sthul frei zu machen”.
Lo dice lui stesso, lasciare libero il soglio!
Ma non dice lasciare vacante la sede. Il Can. 335 del Codice, nella traduzione in lingua tedesca parla esplicitamente di “Bei Vakanz oder völliger Behinderung des römischen Bischofsstuhles” e il termine tecnico in tedesco per indicare la “sede vacante” è Sedisvakanz. Benedetto non dice “es ist auch geboten nun eben den Sthul vakant zu machen”, ma “frei zu machen”. Frei, non vakant! E’ un modo colloquiale e non tecnico di parlare? Mah… forse… difficile dirlo, soprattutto perchè Benedetto XVI soppesa ogni parola…
… magari è solo un punto di vista…
Certamente è il suo punto di vista e precisa che è una sua opinione personale: “Per me… un altro potrebbe vedere la cosa altrimenti”.
E poi?
Poi specifica che è stato il peso (die Last) delle “cose concrete da fare”, proprie del servizio petrino (Petrusauftrag), da cui il Signore lo ha liberato (non dal “peso” del Munus!): “Der Petrusauftrag von mir konkrete Entscheidungen, Einsichten verlangt, aber dass dann, wo das in absehbarer Zeit nicht mehr möglich sein würde, der Herr es auch nicht mehr von mir will und mich sozusagen von der Last befreit.“ Faccio notare che qui egli usa un ulteriore termine, oltre quelli di Munus (in tedesco Amt) e Ministerium (in tedesco Dienst), cioè Auftrag. Ora in tedesco Auftrag è termine che nell’uso è simile a Dienst (Ministerium).
Faccia un esempio?
Prendiamo quando Joseph Opemba Ekhuya fu nominato a capo della Chiesa neo-apostolica regionale dell’Africa orientale: l’articolo diceva “übertrug er Amt und Auftrag”, cioè che gli era stato trasmesso l’ufficio e il servizio, distinguendo anche qui in tedesco i due termini. https://nac.today/de/a/275157.
Anche in ambito amministrativo si dice che è possibile – ad esempio – rivolgersi all’Ufficio federale (Eidgenössischen Amt) o a un fornitore di servizi specializzato (bei einem spezialisten in Auftrag).
In sintesi?
Cionci non è pazzo e il libro è stra-ordinario.
E’ diventato pazzo Lei?
Certo che no.
Allora dica…
Cionci (e prima di lui don Minutella) citano fatti, che poi Cionci – da intelligente giornalista – infiocchetta con ricami arditi, ma arguti, pur se con più di qualche innegabile forzatura.
Per esempio?
L’ “hora vigesima” da cui decorrerebbe la rinunzia. Corrisponderebbe all’ ”ora romana” e non a quella di Greenwich, sicchè per un complesso calcolo la rinuncia decorrerebbe dall’ora successiva a quella in cui il Conclave sarebbe stato convocato e, quindi, senza “il Sacro Soglio libero”, se non vacante. Convocazione perciò invalida… Suggestivo!
Altro…
Cionci scrive benissimo, ammette e quasi rivendica di non essere “titolato” a parlare dell’argomento, ha avuto un gran fiuto e anche un certo coraggio a buttarsi sulla questione, ha il merito di avere reso “popolare ed abbordabile” un argomento, altrimenti declinabile con gli stessi toni accattivanti di una melodia atonale di Schoenberg. E poi ha venduto circa 18.000 copie senza avere alle spalle Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, il Mulino o Laterza. Ed ha pure 5 edizioni straniere. E gira l’Italia come una rock-star…
Insomma un’operazione perfetta di marketing…
Beh, non certo un flop. Di certo il più fastidioso accumulo di sabbia abrasiva che Oltretevere si siano ritrovati nei calzini… loro lo chiamano “chiacchiericcio”…
Guardi che le “voci fuori dal coro” che danno fastidio in Vaticano sono molte e in crescita.
Vero, ma sono voci di “persone del ramo”, valentissime per carità, ma “del ramo”: teologi, intellettuali, vaticanisti, giuristi, che spesso però non raggiungono un pubblico “generico”, quello del “chiacchiericcio” appunto. Cionci è un masso erratico, un giornalista effervescente, un “divulgatore della magna quaestio”, che ha fatto centro con una suggestione intelligente. E questo – date le vendite – gli ha prodotto più di qualche invidia.
Insomma, un genio e non ce ne eravamo accorti!
Ironia gratuita. Io mi limito a constatare che la Declaratio c’è, gli strafalcioni in latino pure, la Mafia di San Gallo si è svelata da sola e c’è – piaccia o meno – la distinzione tra Munus e Ministerium…
Quindi Benedetto XVI non si è dimesso da Papa?
Lei lo ha capito? Io ancora precisamente no, ma, se dovessi proprio dire la mia, direi che si è dimesso da… Vescovo di Roma: nella Declaratio è evidente la mano del Prof. Ratzinger.
Perchè?
Perchè dove c’è il Card. Ratzinger, c’è ermeneutica, cioè interpretazione. Di certo è che ogni paragone con Celestino V, il Papa del “gran rifiuto” è inappropriato. E questo è sicuro: lo dice Benedetto.
Dove?
A pag. 1202 del corposo volume Ein Leben, altro libro di Peter Seewald, vi è un’altra intervista, realizzata nell’autunno 2018 con domande scritte, cui Benedetto XVI per gran parte non volle dare risposta. Tra le poche domande cui risponde vi è quella in cui Seewald accenna appunto alle dimissioni di Celestino V. E Benedetto XVI specifica che “la situazione di quest’ultimo non poteva in alcun modo essere invocata come precedente”.
Secondo Lei perchè?
Forse perchè Celestino si dimise del tutto e senza ombra di dubbio. Fece il “gran rifiuto” in maniera radicale, senza riserve, spogliandosi dei paramenti pontifici ed indossando di nuovo la tonaca grigia della sua Congregazione. Celestino era ridiventato Pietro da Morrone. Una rinuncia al Papato, non a “fare il Papa: “Sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore.
Invece Benedetto XVI?
Invece Benedetto XVI rinuncia, ma resta P.P. Benedetto XVI e veste ancora di bianco, seppure senza fascia pontificale e mantella bianca. Chiedo: se resta ancora Papa, seppure “emerito”, a cosa ha rinunciato?
Poi c’è la questione dei precedenti Papi che non si sarebbero dimessi…
Sì, a pag. 26 di “Ultime conversazioni” (2016), precedente libro-intervista di Peter Seewald, ma uscito dopo la “Declaratio”, il giornalista chiede a Benedetto XVI: “Con lei, per la prima volta nella storia della Chiesa, un vero Pontefice regnante (ein wirchlich regierende Pontifex in tedesco n.d.a. ) si è dimesso dal suo “ufficio” (in tedesco Amt, che corrisponde a ciò che nel Codex Iuris Canonici è il Munus n.d.a.)”. Con questo atto rivoluzionario, nessun altro nei tempi moderni ha cambiato il Papato più di Lei. È diventato più moderno, in un certo senso anche più umano, più vicino all’origine di Pietro. Già nel 2010 Lei spiegava nel nostro libro Luce del mondo che se un Papa non è più fisicamente o mentalmente in grado di esercitare il suo ufficio (in tedesco sein Amt auszuüben: attenzione, esercitare il Munus!), ha il diritto e talvolta anche il dovere di dimettersi dal suo compito (Aufgabe). C’è stata una feroce lotta interiore su questa decisione?” Risposta letterale di Papa Ratzinger dopo un respiro profondo: “Das ist natürlich nicht ganz leicht.”
Traduca.
Traduco letteralmente: “Non è così semplice, naturalmente”. “Che cosa” non è “così semplice”, mi domando? Decidere di rinunciare? O troppo semplice è il linguaggio usato da Seewald, in base a cui Benedetto si è dimesso dal suo Amt (Munus), perchè non era in grado di esercitarlo e dunque si è dimesso dal suo Aufgabe (compito)?
Prosegua.
Benedetto continua così: ”Dopo mille anni (“nachdem tausend Jahre” in tedesco) nessun Papa si è zurückgetreten (=ritirato? Dimesso? Ha rinunciato?) ed è stata un’eccezione anche nel primo millennio; è una decisione che non è facile e la si deve ponderare a lungo. Per me, tuttavia, è apparsa talmente evidente che non c’è stato un doloroso conflitto interiore”. Se le cose stanno così, l’espressione “Non è così semplice, naturalmente” non riguarda il travaglio interiore (che non c’è stato), ma sembra riferirsi al fatto delle sue dimissioni secondo la prospettiva rappresentata “semplicisticamente” da Seewald nella domanda.
Che vuol dire?
Di certo io capisco solo che era “talmente evidente” la decisione che poi ha preso, da poter prendere la “rinuncia ad esercitare (attenzione, esercitare!) il Munus (”sein Amt auszuüben) … – diciamo così “senza un particolare travglio interiore”.
Per il resto?
Per il resto Benedetto XVI dice che “nachdem tausend Jahre” nessun Papa si è dimesso. “Nachdem tausend Jahre”è stato tradotto “per mille anni”.
Mi domando: quali?
I primi Mille (quelli cioè che vanno dall’investitura di San Pietro da parte di Cristo al 1033) o i secondi Mille che si stanno concludendo?
Letteralmente tradurrei “dopo mille anni” (quindi nel secondo millennio, cioè dal 1034 ad oggi) “kein Papst zurückgetreten ist und auch im ersten Jahrtausend eine Ausnahme war”.
Ma che voleva dire con “zurückgetreten ist”? Davvero dal 1034 al 2013 “nessun Papa si è dimesso”? E allora cosa sono le dimissioni di Clemente I, Ponziano, Marcellino, San Silverio, Martino I, Giovanni XVIII, Benedetto IX, Gregorio VI, Celestino V, Gregorio XII? Oppure “kein Papst zurückgetreten ist” va tradotto con “nessun Papa è receduto”, cioè ha rinuciato nel modo in cui lo ha fatto lui?
E se “anche nel primo millennio (cioè dalla morte di Cristo al 1033) fu un’eccezione”, mi chiedo: un’eccezione in senso numerico (quella che Cionci identifica in Benedetto VIII) o un’eccezione nell’accezione di “caso sporadico”?
In ogni caso tra i Papi che si sono dimessi dopo mille anni (“nachdem tausend Jahre”), effettivamente vi sono situazioni molto diverse da quelle che hanno portato alla rinuncia di Ratzinger, perchè in questo lasso di tempo i Papi sono stati per lo più “dimissionati”: Benedetto IX fu eletto tre volte per abdicare due, Gregorio VI fu deposto dal Sinodo di Sutri, a Gregorio XII fu quasi imposto di abdicare. Resta il povero Celestino V, di cui si è già detto. Se però “la situazione di quest’ultimo“, che di certo si era dimesso pienamente dal Papato, non poteva per Benedetto XVI “in alcun modo essere invocata come precedente”, bisogna domandarsi in che cosa le due situazioni differiscono.
Già, in cosa differiscono?
Nel fatto che Celestino V da subito, spogliandosi delle vesti pontificie, abbandona “liberamente e spontaneamente il Pontificato (“cedo Papatui”) e rinuncia espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale”.
Benedetto XVI, da un momento successivo e mantenendo le vesti pontificie, dichiara di rinunciare al “Ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a lui affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.
Beh, qualcosa di strano c’è, non è che Cionci sia proprio pazzo!
Perchè allora il libro di Cionci è starordinario?
Ho detto “stra-ordinario”, col trattino o, se preferisce, “extra-ordinario” per fare il verso al Summorum Pontificum, che è il Motu Proprio con cui è stata liberalizzata la “Messa in latino”.
Dunque è divenatato “cioncista”?
Certo che no! Allora Lei proprio non capisce!
Allora si spieghi!
Cionci, si ispira ad un assunto di don Minutella, che si basa però, a sua volta, su un equivoco, cioè che Benedetto XVI fosse un tradizionalista, una sorta di S. Pio X redivivo. E’ in base a ciò che nasce la suggestione della predisposizione da parte di Ratzinger e insieme con Wojtyla fin dal 1983 di un “piano B anti-usurpazione” per salvare la Chiesa.
Invece…
Invece Benedetto XVI non era affatto un tradizionalista (e nemmeno un conservatore): era un “riformista prudente”. Non ha mai rinnegato il Vaticano II e ciò che esso ha detto e gran parte di ciò che ne è seguito. Riteneva (su suggerimento del… card. Ratzinger) che occorresse un’interpretazione del Vaticano II, in grado di evitare un’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”.
Sta dicendo che Benedetto XVI non difendeva la Tradizione, almeno nel modo in cui lo fanno ad esempio i seguaci di Lefebvre…
Certamente: non era affatto un campione della Tradizione, ma della “Riforma della Tradizione” nella continuità dell’ “unico soggetto-Chiesa” che è uscita dal Vaticano II: insomma il suo motto si poteva manzonianamente rissumere con “Adelante, Pedro, si puedes. […] Pedro, adelante con juicio” e comunque “indietro non si torna”.
Molti però hanno parlato di Benedetto XVI come un Papa che aveva modificato le proprie posizioni iniziali rispetto a quelle del giovane teologo Ratzinger…
Molto parzialmente e comunque molti degli assunti fondamentali della teologia attuale sono nella sostanza da lui condivisi. E comunque, quando se ne allontana o sembra farlo, il suo linguaggio è sempre – come certe interviste – molto complesso, se non contorto…
… perchè a detta di molti era un teologo finissimo…
Talmente “fine” che alla fine è lecito domandarsi: “Ma cosa ha voluto dire davvero”?
Lei l’ha capito?
No. Credevo, ma poi mi sono perso…
Torniamo a Ratzinger che non è tradizionalista.
… no, neppure nell’idea di Chiesa. Richiamando Agostino, in lui rimane fino alla fine l’idea – cito quasi testualmente – di una “chiesa solo apparente” pur nella “Chiesa” e di una “chiesa” fuori dalla “Chiesa“, quindi di una sovrapposizione misteriosa della presenza di Dio e delle forze del male nella Chiesa. Insomma sarà la storia che svelerà i veri credenti e i non credenti.
Vabbè lo dice anche Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”…
Ma questo riguarda l’ipocrisia dei credenti, mica giustifica l’apostasia nella dottrina! Ascolti: nell’ Udienza Generale del 22 aprile 2009 Ratzinger cita Ticonio, che era vissuto una generazione prima di sant’Agostino e dice: “Non era cattolico; apparteneva alla Chiesa scismatica donatista; era tuttavia un grande teologo. Egli vede soprattutto nell’Apocalisse riflettersi il mistero della Chiesa. Ticonio era giunto alla convinzione che la Chiesa fosse un corpo bipartito: una parte, egli dice, appartiene a Cristo, ma c’è un’altra parte della Chiesa che appartiene al diavolo. Agostino lesse questo commento e ne trasse profitto, ma sottolineò fortemente che la Chiesa è nelle mani di Cristo, rimane il suo Corpo, formando con Lui un solo soggetto, partecipe della mediazione della grazia. Sottolinea perciò che la Chiesa non può mai essere separata da Gesù Cristo”.
Veramente anche nella “parabola della zizzania” i servi del padrone vorrebbero fare come lei e passare al diserbante, ma il padrone li ferma…
Ma lì lo scenario è quello del Mondo, Gesù lo spiega chiarissimamente. Nel mondo il buon seme e la zizzania (che è seminata da un nemico mentre tutti dormivano, come fanno troppi preti) vengono lasciati crescere insieme fino al Giudizio finale. Anche qui stiamo parlando degli uomini, mica dell’insegnamento! Nella Chiesa ci sono sempre stati gli “anticristi che sono usciti da noi”, ma mica si possono lasciare crescere indifferentemente verità ed errore! Mica il precetto di Cristo è quello di andare ad ammaestrare le genti nell’errore! La verità è che qui si vuole versare il vino nuovo in otri vecchi, ma come avverte il Cristo «ciò non è possibile, altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti”.
E l’ecclesiologia di Benedetto XVI tenterebbe questa conciliazione impossibile?
Su questo il pensiero di Bergoglio è simile: “Non bisogna fare un’altra Chiesa, ma una Chiesa diversa”. Insomma niente otri nuovi (un’altra Chiesa), ma vino nuovo (una Chiesa diversa). E i risultati si vedono.
Gli otri si sono rotti…
Sì, il vino nuovo conciliare ha definitivamente rotto gli otri della Tradizione ed ogni cosa si sta perdendo: otri e vino. Oramai “l’unico soggetto-Chiesa” è poco più che un’espressione verbale
Quindi?
E’ una cosa che ho faticato anch’io a comprendere: Benedetto XVI (su suggerimento del… card. Ratzinger…) è interprete di un approccio ecclesiale dialettico.
Sta parlando di uno sdoppiamento di personalità?
Sto parlando di un “bipolarismo eccelsiale”, del fatto cioè che in questa logica dell’ “unico soggetto-Chiesa” verità ed errore convivranno. E’ una convivenza “pastorale”, non dogmatica, senza anatemi, in qualche modo condivisa. In questo senso mi pare che partendo da differenti (ma non opposti) punti di partenza il Card. Ratzinger e il Card. Bergoglio abbiano condiviso l’idea che il tempo fosse più importante dello spazio.
Quindi Benedetto XVI era…
… il più intelligente esponente del moderatismo modernista. Diciamo che era il “freno” della macchina lanciata altrimenti verso “qualche nuovo millenarismo”. E in effetti la conversione all’ecologia integrale bergogliana denota che l’Autista è spericolato, ama guidare “senza freni” e ha innalzato il cartello: “E’ vietato parlare al conducente”. Credo che più di qualche “moderato” e perfino i più avveduti “progressisti” sentano che ora c’è il rischio di schiantarsi e che un Ratzinger, specialmente ora, a loro servirebbe proprio. E per il prossimo Conclave si starebbero tutti attrezzando per un Papa “moderato e condiviso”…. non avesse già 80 anni, Bagnasco per esempio…
Torniamo alla Declaratio.
La Declaratio di rinuncia è in linea con l’ermeneutica della riforma nella continuità, che è in linea con il Summorum Pontificum, con cui è stata autorizzata la “Messa in latino” come forma “stra-ordinaria” dell’unico rito romano. E potremmo dire che Benedetto XVI è in linea col Card. Ratzinger. Infatti è stato il Card. Ratzinger a “non chiudere” l’accordo con i lefebvriani ed è stato Benedetto XVI a rimuovere unilateralmente le scomuniche ai quattro vescovi lefebvriani. Due “chiese” in un’unico soggetto-Chiesa, due forme dell’unico Rito Romano, due ermenutiche del Concilio: due Papi, in un’unico “soggetto Papa”. “Due di tutto”, come diceva il noto programma TV. Ecco … il “bipolarismo ecclesiale.
Ma Lei è più pazzo di Cionci!
Ma guardi che non lo dico io, lo spiega fin dal 2016 Mons. Gaenswein, il suo segretario, quando parla di “Pontificato d’eccezione”, di “Ministero petrino allargato”. Ascolti. “Come ai tempi di Pietro, anche oggi la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica continua ad avere un unico Papa legittimo. E tuttavia, da tre anni a questa parte, viviamo con due successori di Pietro viventi tra noi – che non sono in rapporto concorrenziale fra loro, e tuttavia entrambi con una presenza straordinaria! Perciò, dall’undici febbraio 2013 il ministero Papale non è più quello di prima. È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat)… https://www.acistampa.com/story/bendetto-xvi-la-fine-del-vecchio-linizio-del-nuovo-lanalisi-di-georg-ganswein-3369
Cos’è “una poltrona per due”?
Così pare!…. e uso ancora le parole di Gaenswien, che commenta il libro di don Roberto Regoli “Oltre la crisi della Chiesa”: “Dall’elezione del suo successore Francesco il 13 marzo 2013 non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo. Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è “Santità”; e per questo, inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano – come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del Papato che egli, con quel passo, ha arricchito con la “centrale” della sua preghiera e della sua compassione posta nei Giardini vaticani”.
Vuole che continui?
Faccia Lei!
Allora continuo.
Gaenswein cita Regoli.
Senta qua: “È stato “il passo meno atteso nel cattolicesimo contemporaneo”…. Trentacinque anni dopo egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che gli sarebbe stata del tutto impossibile a seguito della sua accettazione irrevocabile dell’ufficio nell’aprile 2005. Con un atto di straordinaria audacia egli ha invece rinnovato quest’ufficio (anche contro l’opinione di consiglieri ben intenzionati e senza dubbio competenti) e con un ultimo sforzo lo ha potenziato (come spero). Questo certo lo potrà dimostrare unicamente la storia. Ma nella storia della Chiesa resterà che nell’anno 2013 il celebre Teologo sul Soglio di Pietro è diventato il primo “Papa emeritus” della storia. Da allora il suo ruolo – mi permetto ripeterlo ancora una volta – è del tutto diverso da quello, ad esempio, del santo Papa Celestino V, che dopo le sue dimissioni nel 1294 avrebbe voluto ritornare eremita, divenendo invece prigioniero del suo successore Bonifacio VIII (al quale oggi dobbiamo nella Chiesa l’istituzione degli anni giubilari). Un passo come quello compiuto da Benedetto XVI fino ad oggi non c’era appunto mai stato.
Benedetto XVI un rivoluzionario…?
Cito le sue parole: “Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora cominciato”. E ancora nel libro-intervista “Ultime conversazioni” pubblicato da Benedetto XVI con il giornalista Peter Seewald nel 2016, tre anni dopo la sua rinunzia, il giornalista Seewald chiede: “Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici, prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il Papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del Papa come l’abbiamo conosciuto finora?” Risposta di Benedetto XVI: “Tutto può essere”.
Cos’è il “Codice Ratzinger” allora?
E’ l’’ “istituto” del “Papa emerito” e l’istituto del “Papa emerito” è tecnicamente reso possibile solo dalla distinzione tra “Munus” (ufficio) e “Ministerium” (esercizio dell’ufficio)”. E Ratzinger non ha abbandonato l’ufficio. Lo ripete Gaenswein: “Egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che gli sarebbe stata del tutto impossibile a seguito della sua accettazione irrevocabile dell’ufficio nell’aprile 2005. Nell’anno 2013 il celebre Teologo sul Soglio di Pietro è diventato il primo “Papa emeritus” della storia”.
Come è successo?
Le domando io: “Perchè Papa Ratzinger non ha detto con Celestino V “cedo Papatui”, ma “declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, commisso renuntiare”?
Lei insinua che senza la distinzione tra “Munus” e “Ministerium” e senza questa “invenzione” del “Papa emerito”, Benedetto XVI avrebbe dovuto semplicemente abbandonare “l’ufficio di Pietro” come Celestino V. Invece non l’ha fatto, quindi Cionci ha ragione!
Io ritengo che la distinzione Munus e Ministerium è sostanziale nelle parole e nelle intenzioni di Papa Benedetto XVI. E la rinuncia al Ministerium Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri è parte di quel ridimensionamento voluto dal Vaticano II del Munus Christi che è proprio del Romano Pontefice e che deriva da tutta la Tradizione cattolica e che è stato sancito dal Vaticano I (che lorsignori vogliono smatellare un pezzo alla volta). Non dimentichiamo che il Papa diviene vescovo di Roma in quanto è eletto Papa, e non Papa in quanto vescovo di Roma, come pretende, errando, la nuova ecclesiologia progressista.
Si spieghi meglio…
”Tu es Petrus” viene detto a Simone quando stava a Gerusalemme, mica a Roma. Poi va Roma, ma era già Papa. Per questo chi è eletto Papa, anche se laico e semplice sacerdote, deve essere quanto prima ordinato vescovo, perché il Papa è vescovo di Roma, ma non è la consacrazione episcopale che gli conferisce il Papato.
Quindi proprio a causa di ciò e procedendo all’indietro, se uno rinunzia al ministero di Vescovo di Roma, potrebbe non avere rinunziato al Papato…
Benedetto XVI dice: “Declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum (commisso) renuntiare”. Ma non dice “ceduo Papatui”. Infatti resta Papa… emerito.
Rifaccio la domanda: Cionci ha ragione?
Cionci ha ragione (come conferma Mons. Gaenswein “Benedetto non ha abbandonato l’ufficio di Pietro), ma contemporaneamente ha torto: il “Papa emerito”, contrariamente a ciò che Cionci afferma, non è “il Papa che merita” e non c’è nessun “piano B antiusurpazione”. Il “Papa emerito” è stata un’applicazione analogica dell’istituto del “vescovo emerito”, attuata dal prof. Ratzinger, perito del Concilio Vaticano II e suo sostenitore, all’interno della sua visione ecclesiologica che intende “aggiornare la Tradizione”, in cui, in ragione di una progressiva collegialità del governo della Chiesa, del c.d. primato d’onore del Vescovo di Roma, ci sta un Papa che esercita il ministero ed un altro Papa che è legato a lui in un vincolo spirituale, all’interno dell’unico Ufficio petrino.
Insomma un Papa o due Papi?
Ce l’hanno ripetuto: “Il Papa è uno solo”, ma ce ne sono due e forse in realtà è uno e mezzo o nessuno: “bipolarismo petrino”.
Questo se lo inventa Lei…
No, no. Ogni parola di Benedetto XVI è soppesata oltre ogni misura. Qual’è la ragione della rinuncia al “Ministerium Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri”, che gli ha consentito di non abbandanare il Munus petrino?
Non lo so.
Per caso la “debilitas corporis” quale fu per Celestino V?
Dica lei…
No! C’è una parola “magica” che è presente nella Declaratio: “ingravescente aetate”. Lo sa cos’è – diciamo così – l’ “ingravescente aetate”?
L’invecchiamento, caro Savino, quello che Lei dimostra inequivocabilmente…
Faccia pure l’ironia che crede, ma in realtà “Ingravescentem aetatem” è il titolo di un “motu proprio” del 1970, firmato da Paolo VI, con cui i Cardinali preposti ai Dicasteri della Curia Romana sono pregati di voler “spontaneamente” presentare, al compimento del settantacinquesimo anno di età, la rinuncia al loro ufficio. E lo stesso era già accaduto per i Vescovi, col Decreto Christus Dominus del 1965, ove al n. 31 ricompare la magica parolina: “ingravescentem aetatem”, anche qui per presentare “spontanee” dimissioni. Il codice del 1983 istituirà poi la figura del Vescovo emerito, poichè al compimento dei 75 anni il vescovo diocesano è tenuto a presentare la rinuncia (quello che Benedetto fa con la Declaratio…).
Stessa logica dunque, anche per il Papa, nonostante i molti pareri contrari degli storici?
Lo spiega Ratzinger, ancora dialogando con Seewald e protestando contro l’idea che fossero gli studiosi a dover definire se fosse ammissibile il “Papa emerito”, per concludere: “Non si capisce perché questa figura giuridica non debba essere applicata anche al vescovo di Roma” (attenzione, al Vescovo di Roma!).
E prosegue: “La formula riesce a rendere conto di entrambi gli aspetti: da un lato nessun mandato giuridico concreto, dall’altro un incarico spirituale che si mantiene, seppure invisibile. Proprio la figura giuridica e spirituale dell’emerito consente di scongiurare anche solo l’idea della convivenza di due papi, dato che una sede vescovile può avere un solo detentore”.
Questo però nella sua testa, perchè tutti hanno avuto ben più che l’idea della convivenza di due Papi…
Sì, ma il Professor Ratzinger ha pensato che con una giusta ermeneutica due Papi potessero essere anche uno solo… e quindi ha suggerito a Papa Benedetto XVI di non dire “cedo Papatui”, come Celestino V, ma – appunto – declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, commisso renuntiare. Viene il dubbio che dietro la famosa frase “il Papa è uno solo” non vi sia alcun Papa, ma un Papato, che sottende la presenza di due Vescovi di Roma titolari della medesima sede vescovile, di cui uno esercita il Ministerium Episcopi Romae e l’altro, l’ “emerito”, lo affianca “orando et patiendo”. Il Papato comincia così a dissolversi lentamente nella “cooperatio” per finire chissà dove: “Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora cominciato”.
Peraltro , scusi, ma quali sono state le prime parole che Bergoglio ha pronunciato, affacciatosi alla finestra della Santa Sede, il 13 marzo 2013? “Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un Vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma siamo qui”. E infatti cosa ha detto Bergoglio? “Quando andrò ‘in pensione’ vorrei essere vescovo emerito di Roma”.
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2022/07/12/news/papa_francesco_quando_andro_in_pensione_vorrei_essere_vescovo_emerito_di_roma-5437213/
La contrapposizione Ratzinger-Bergoglio è in realtà apparente, fa parte del medesimo schema “dialettico” che impedisce alla “Tradizione vera” di apparire per ciò che è: “totalmente altra”.
Quindi, alla faccia degli studiosi, Ratzinger ha deciso: “Il Papa emerito si può fare, in quanto Vescovo di Roma”. E lo ha fatto!
Ha già risposto Gaenswein: “Per esso mi viene sempre di nuovo in mente il noto e geniale assioma con il quale nel Medioevo Giovanni Duns Scoto giustificò il divino decreto per l’Immacolata Concezione della Madre di Dio: “Decuit, potuit, fecit”.
… facendo imbestialire un fedelissimo come il Card. Brandmüller…
Certo, il quale è inorridito, perchè ha capito benissimo cosa si andava profilando: la dissoluzione del “Papa” nel Episcopato di Roma e perciò, riguardo alle dimissioni (se la si sfanga questa volta, silenziando questo “chiacchiericcio”, cui Cionci ha dato e dà un contributo, che è fastidiosissimo Oltretevere!), per il futuro precisa: “Il dimissionario, per conseguenza, non è più né vescovo di Roma né Papa, e neppure cardinale. Questa constatazione oggettiva rimanda nell’ambito di speculazioni edificanti o di poesia religiosa certe riflessioni e idee di una permanente partecipazione mistica nel Munus Petrinum”. http://www.internetica.it/Brandmüller.m_renuntiatio_1.pdf
Altrochè ministero petrino allargato… Un sonoro ceffone a Gaenswein, alla sua “poesia religiosa” e pure – consenta – all’Emerito!
E Brandmüller aggiunge: “Un Papato ‘bicipite’ sarebbe una mostruosità. Il tentativo di ridefinire il Munus Petrinum in tal senso è inaccettabile dal punto di vista teologico e comporterebbe una minaccia all’unità della Chiesa. Perciò senz’altro va rifiutato. Insomma: la sostanza del Papato è così chiaramente definita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione autentica, cosicché nessun Papa può essere autorizzato a ridefinire il suo ufficio”. E puntualizza: “la figura di un Papa emerito è estranea a tutta la tradizione canonistica-teologica”. E conclude: “La rinuncia del Papa è possibile e si è fatta. Ma è da sperare che non succeda mai più”.
E Ratzinger l’ha presa malissimo!
Malissimo!? Peggio!
Dapprima gli ha risposto piccato: “Se Lei conosce un modo migliore e quindi ritiene di poter censurare quello che ho scelto, La prego di parlarmene”.
Poi in una seconda lettera il “mitissimo” Professor Ratzinger gli chiude letteralmente la bocca: “Dalla tua gentile lettera del 15 novembre suppongo di poter concludere che in futuro non farai più commenti pubblici sulla questione delle mie dimissioni, e per questo ti ringrazio. Il dolore profondamente radicato che la fine del mio pontificato ha causato in te, come in molti altri, posso capirlo molto bene. Ma il dolore in alcuni – e mi sembra anche in te – si è trasformato in rabbia, che non riguarda più solo la rassegnazione, ma si sta espandendo sempre più verso la mia persona e il mio pontificato nel suo insieme. In questo modo un pontificato viene svalutato e sciolto nella tristezza per la situazione della Chiesa oggi”.
E allora, tristezza per tristezza, sulla mafia di San Gallo che dice?
Cionci ha ragione, ma il primo scandalo fu nel 1963, alla
morte di Giovanni XXIII. Nella tarda mattinata del 18
giugno, che precede l’inizio del Conclave, i cardinali
“progressisti” (ci sarebbero stati Achille Liénart,
Bernard Jan Alfrink, Paul–Émile Léger, Franz König,
Montini stesso, Léon–Joseph Suenens e Joseph Frings),
prima di trovarsi “ufficialmente” presso il convento dei
frati cappuccini a Frascati, su iniziativa di Lercaro (il
vescovo di riferimento dei dossettiani) si riuniscono in
gran segreto nella villa di Grottaferrata (l’episodio,
oltreché dall’interessato, verrà confermato anche da
Giulio Andreotti e di recente da Ignazio Ingrao), per
sostenere l’elezione al soglio pontificio di Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano. Quella
villa era di proprietà di Umberto Ortolani, il gran sodale di Licio Gelli e della loggia massonica P2 e
“accompagnatore” di Lercaro nei salotti buoni della Capitale. Per ricompensarlo del servigio,
appena un mese dopo la cerimonia di incoronazione, Ortolani sarà nominato da Paolo VI
“Gentiluomo di Sua Santità”, carica che sarà scrupolosamente riportata nell’Annuario pontificio fino
al 1984. Poi, dopo la vicenda P2, la menzione scomparve. Poi potremmo ricordare che l’ascesa di
Sindona partì proprio sotto il Pontificato di San Paolo VI e che Calvi era il “banchiere di Dio” ai
tempi di San Giovanni Paolo II….
Conclusioni sul libro di Cionci
Un “libero adattamento” di una storia vera, una sceneggiatura da film, ma intrigante: Cionci ricostruisce a modo suo (e – a mio modesto parere – sbagliando) una vicenda intricatissima, cioè attribuisce a Benedetto XVI intenzioni che gli erano lontane (cioè il “piano B” e il vero significato del “papato emerito”). Ma il contesto è ambiguo e quindi quello di Cionci può essere definito – coerentemente con la figura di Ratzinger – un libro “stra-ordinario”, su un pontificato “stra-ordinario”, un abbaglio “stra-ordinario.
Fa dell’ironia?
La mia non è affatto ironia. A Cionci va comunque riconosciuto il merito – al di là della sua stessa intenzione ed interpretazione dei fatti – di aver aperto uno squarcio nel muro di “omertosa normalizzazione” e “inquieto silenzio” che è seguita alla rinuncia di Ratzinger (… va bene tutto purchè non se ne parli in giro): se il “Piano B” non esiste e se il “Papa che merita” neppure, il “Papa emerito” (con la devastante prospettiva dello sgretolamento della persona e della figura del Sommo Pontefice) c’è, ma solo ”in virtù della rinuncia al ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri e non all’Ufficio petrino!
Che conseguenze possono comunque derivare?
Se – come ha detto Mons. Gaenswein – “Benedetto non ha abbandonato l’ufficio (Munus) di Pietro”, resta l’oggettività del testo della Declaratio, oggettività che il Card. Brandmüller ha colto nella sua drammatica gravità: “Il Papa può sempre de-, ab- od obrogare qualsiasi legge disciplinare mere ecclesiastica, ma la sostanza del Papato è così chiaramente definita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione autentica, che nessun Papa può essere autorizzato a ridefinire il suo ufficio”.
Quindi?
A prescindere dall’intenzionalità di Benedetto XVI (il “Piano B” che non esiste), nella sua oggettività c’è da domandarsi se la rinuncia al Ministerium, senza che – come ha detto Gaenwein – Benedetto “abbia abbandonato l’ufficio di Pietro”, sia valida…
Lei pone il dubbio che, nonostante Cionci sbagli, il Codice Ratzinger sarebbe comunque preterintenzionalmente attivabile da chiunque volesse sostenere che Papa Bergoglio sia oggettivamente stato eletto in mancanza dei presupposti dell’elezione, perchè il Soglio pontifico non era “del tutto” vacante?
Dice Brandmüller: “Non mancano in questo momento persone o gruppi seguaci del Papa rinunciatario i quali, scontenti dell’accaduto, potrebbero minacciare l’unità della Chiesa e persino provocare uno scisma”.
Tipo i seguaci di don Minutella…
Non solo, anche se in questo caso la cosa paradossale sarebbe che al “sedevacantismo postlefebvriano” si venga giustapponendo un “sedevacantismo postratzingeriano”, che riconoscendo la legittimità dei Papi “conciliari” (da Giovanni XXIII a Benedetto XVI) determini l’ossimoro di un “sedevacantismo vaticansecondista”. Ma…
Ma…?
Come accennavo altri ne potrebbero seguire. Io aggiungo che la cosa va al di là dei supporter di Benedetto XVI, la questione è oggettiva e domando: Benedetto XVI (a parte il “piano B” che non esisteva, a parte il “Papa che merita”, che non esisteva, a parte l’hora vigesima e tutte le altre geniali “suggestioni” di Cionci) davvero poteva – per usare le parole di Brandmüller – “ridefinire la sostanza del Papato così chiaramente definita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione autentica”, inventando -per usare le parole di Gaenswein – de facto un ministero allargato con un membro attivo e un membro contemplativo, quest’ultimo “Papa emerito” che “non abbandona l’Ufficio” e la cui figura – per dirla con Brandmüller “è estranea a tutta la tradizione canonistica-teologica”?
Dica Lei!
Se la risposta è negativa, cioè non poteva ridefinire la sostanza del Papato, com’è – per dirla ancora con Mons. Gaenswein – che “dall’11 febbraio 2013 il ministero Papale non è più quello di prima?”. Com’è che il ministero Papale – cito sempre Gaenswein “ – “è e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat)”?
“Decuit, potuit, fecit” – dice Gaenswein
“Fecit”… certo lo ha fatto.
Ma davvero “decuit”, cioè davvero era conveniente? Conveniente per chi? E soprattutto “potuit”, cioè poteva?
Insomma se il Papa – come ha scritto Gaenswein – “non ha abbandonato l’Ufficio di Pietro ed ha dato vita ad un pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat)”, la Sede petrina (sempre a parte Cionci, il Piano B e l’hora vigesima) dopo la Declaratio era davvero “vacante” o “quasi del tutto vacante” o “libera, ma non vacante”?
E se non era vacante (in quanto – come ha scritto Gaenswein – Benedetto XVI “non ha abbandonato l’Ufficio di Pietro”), il Conclave (sempre a parte Cionci, il Piano B e l’hora vigesima) era legittimamente convocato e l’elezione di Bergoglio valida?
E casomai si convenisse che è stata un’elezione valida, domando: è successo allora che per 10 anni il Papa è stato “uno solo”, però con due Papi, di cui uno ha “assunto l’Ufficio di Pietro e il nome di Francesco” e l’altro “non ha abbandonato l’Ufficio di Pietro”, conservando quello di Benedetto”?
Ma se l’Ufficio petrino è uno, dato che (come ci è stato ripetuto allo sfinimento) “il Papa è uno”, ma c’erano due Papi e se – come dice Brandmüller – “un Papato ‘bicipite’ sarebbe una mostruosità”, sempre a parte Cionci, il Piano B e l’hora vigesima, in quale Chiesa siamo vissuti?
Ci risiamo, serve un’ermeneutica?
In claris non fit interpretio! Questione “stra-ordinaria” la Declaratio… come il libro di Cionci…