È stato un urlo forte, potente. Non come quello angosciante di Munch, ma neanche festoso come quello esplosivo di Tardelli al Santiago Bernabeu o come quello liberatorio di Grosso al Westfalenstadion, che ci aprirono le porte alle vittorie mondiali del 1982 e del 2006.
No, nulla di tutto ciò. Quello che Papa Francesco ha gridato ieri è stato un urlo carico di rabbia e se vogliamo anche, a suo modo, violento: “Giù le mani dall’Africa!”
Con pochissime parole ha descritto il destino oscuro di una terra meravigliosa, una condanna, una dannazione. Un terra ricca come nessuna ma con i popoli più poveri del mondo. I cui tesori finiscono nelle mani di chiunque tranne che in quelle dei legittimi proprietari, gli africani.
Siamo in Congo, l’ex Zaire, l’ex Congo Belga per intenderci, il paese di Lumumba e Mobutu. Siamo nel cuore dell’Africa centrale, quella della foresta equatoriale del Congo, un’area boschiva enorme, che si estende da lì sino al di dentro di altri quattro grandi paesi, Camerun, Gabon, Guinea, Repubblica Centroafricana, con una superficie complessiva che supera i duecento milioni di ettari e che costituisce, dopo quella dell’Amazzonia, il secondo polmone verde della terra.
Si chiama Africa Nera e il Congo, che ne copre gran parte, è il simbolo del dramma africano. La sua storia è l’emblema di quella della intera Africa.
Una terra dove tutto è gigante, per andare da un confine all’altro c’è la stessa distanza che divide Parigi da Mosca, gli alberi delle sue foreste raggiungono gli 80 metri, come un palazzo di 30 piani e i limoni sono grandi come cocomeri.
Il mal d’Africa esiste e, almeno una volta nella propria vita, bisognerebbe visitare quei posti dove i suoni festosi della vitalità ti accompagnano giorno e notte, dove il tempo non esiste perché si mangia quando si ha fame e si dorme quando si ha sonno, dove alle voci della gente si mescolano i suoni degli animali, dove i tramonti ti avvolgono e non sono un dipinto da ammirare ma un’aria da respirare.
Ma quella è anche la terra delle grandi ricchezze naturali. È la terra del legno, dell’oro, dei diamanti, del rame, del ferro, ed è anche la terra della grande instabilità, dei ribelli, delle rivolte. degli assassini e degli eccidi.
È la regione del Kivu, agli estremi confini orientali, dove il Papa si sarebbe voluto recare ma non potrà andare. Troppo pericoloso. Sono i luoghi, dell’assassinio dell’ambasciatore Attanasio e della strage dei Tutsi.
Ci sono stato là in mezzo, ci ho vissuto per anni, conosco bene quei posti e quella gente, ne ho scritto un libro. Bukavu, Goma, il Katanga sono aree dove la storia da sempre racconta di vicende nelle quali il sangue è stato versato con grande copiosità.
Dagli anni ‘60, dai primi giorni dell’indipendenza, dalla rivolta dei Simba, dal rapimento di Ciombe e dall’assassinio di Lumumba, per finire alla rivolta del Kivu, a Bob Denard, e l’occupazione di Bukavu del ‘67 dove Jean Schramme mosse i primi passi per suo tentativo di colpo di stato, la prima grande crisi internazionale nella quale furono coinvolti degli italiani. Io ero lì, e i nostri connazionali rapiti erano tecnici e operai che lavoravano alle dipendenze di mio padre, e Schramme l’ho conosciuto. Quando ancora tutto cominciava, ci ho cenato insieme.
E così all’età di dieci anni vissi dal di dentro il dramma di eventi che trasformarono la casa, dove eravamo acquartierati, in un crocevia di diplomatici, militari, agenti segreti, reporter d’assalto e faccendieri e non potetti fare a meno di ascoltare, intuire, vedere, annusare, vivere il cinismo crudo dell’intrigo internazionale.
Quelle vicende furono solo le prime scene di un film che è durato sino a oggi. Perché sin da allora, sin da quei tempi, sin dal 1960 da quando con un editto reale Baldovino proclamò la indipendenza del Congo, il thema musicale del grande film sulla storia del Congo, e dell’Africa in generale, è stata la cupa musica della razzia guidata dal sorriso cinico e crudele dell’avidità. Presidenti senza scrupoli e politicanti mossi dalla bramosia, grandi potenze straniere, multinazionali tessevano, e tessono ancora oggi, le loro oscure trame per cominciare a depredare o continuare farlo.
E così un paese e delle terre, benedette da grandi ricchezze, sono abitate da popoli poveri di infrastrutture, di servizi sociali o sanitari, di istruzione oltre che ovviamente senza ricchezze personali. Non sono certo quell’oceano di disperati che dipinge Salvini pronti a precipitarsi sulle nostre coste. Vi ho già detto che conosco quei posti, ci sono stato anche di recente, è bellissima gente e non sono affatto selvaggi, anzi, sono civili quanto noi, a volte più di noi. Indubbiamente vi è differenza tra le grandi città e i villaggi, ma in generale però è la qualità della vita che è palesemente arretrata rispetto alla nostra.
È il destino amaro dell’Africa, drammaticamente diviso tra una ricchezza inverosimile, una instabilità politica e sociale tumultuosa e sanguinosa, un debito pubblico dilagante.
E al grido di un Papa, che in molte cose sembra un socialista, fanno l’eco le parole di uno che socialista lo fu davvero.
Uno che aveva dato la soluzione per trasformare un continente, in perenne bisogno di aiuti, in una risorsa che sapesse camminare con le sue gambe.
“Azzerare il debito pubblico dei paesi africani”, disse Craxi. Era il 24 febbraio 1990, e già da allora aveva capito tutto.
La sua Africa, l’Africa di Papa Francesco, la mia Africa.
(Foto di Luciano Fagagnini)
2 commenti
Bellissimo articolo, mi piacerebbe leggere in seguito degli approfondimenti sulla storia del Congo
Grande racconto dott. Carugno.. tutti dovrebbero sapere queste cose, a cominciare dalla scuola.. grazie. E grazie al coraggio di questo papa.. e di pochi altri al mondo.