Manca poco al 2 ottobre, Festa dei Nonni: giornata nazionale istituita nel 2005 con apposita legge dello Stato. Ricorrenza perfetta per descrivere un paradosso nazionale che non dovrebbe più restare sottaciuto, come troppo spesso accade. Quale paradosso? Il nostro è da anni un Paese in progressivo invecchiamento. E in effetti rispetto al 2005 il numero degli italiani Over 65 è aumentato del 24%. Ma non è l’unica variazione che riguarda questa ampia fascia di popolazione: la loro posizione si è stabilizzata all’interno di nuclei familiari sempre più poveri. Specialmente quelli con figli. Eppure bambini e ragazzi rappresentano la fascia di cittadini più spesso in povertà assoluta. Ne consegue che i nonni si trovano a soddisfare molte delle necessità famigliari di base: conciliano la vita lavorativa e quella domestica degli adulti, visto che in Italia l’offerta di asili nido resta ancora molto limitata; e tutelano il welfare familiare, con il loro continuo sostegno a figli e nipoti nel caso di una loro (sempre più frequente) difficoltà economica.
Dopo la grande recessione seguita all’annus horribilis del 2008, e dopo l’emergenza Covid, abbiamo ereditato enormi divari generazionali. Se nel 2005 i più in difficoltà erano proprio gli anziani (4,5% in povertà assoluta), gli effetti delle successive crisi economiche hanno invertito la situazione, colpendo soprattutto le famiglie lavoratrici, specialmente quelle con giovani e precari. Anche per questo l’incidenza della povertà assoluta è rimasta più stabile tra chi aveva un reddito fisso, come quello garantito da una pensione: oggi la quota di Over 65 poveri (5,3%), seppur in aumento, non è troppo lontana da quella di 15 anni fa (4,5%).
Invece lo stesso non si può dire per la popolazione più giovane: 14,2% sono i minori in povertà assoluta. Un’incidenza più che triplicata rispetto al 2005 (quando era ferma al 3,9%). Un dato che da solo conferma le difficoltà vissute dai nuclei familiari con figli piccoli.
Con la pandemia si sono ulteriormente ampliati i divari generazionali, penalizzando soprattutto i più giovani: da qualche anno possiamo affermare che, in Italia, più si è giovani e più è facile trovarsi in povertà assoluta.
Invece lo stesso non si può dire per la popolazione più giovane: 14,2% sono i minori in povertà assoluta. Un’incidenza più che triplicata rispetto al 2005 (quando era ferma al 3,9%). Un dato che da solo conferma le difficoltà vissute dai nuclei familiari con figli piccoli.
Con la pandemia si sono ulteriormente ampliati i divari generazionali, penalizzando soprattutto i più giovani: da qualche anno possiamo affermare che, in Italia, più si è giovani e più è facile trovarsi in povertà assoluta.
In uno scenario simile è ovvio che il ruolo dei nonni si riveli molto prezioso: il loro è un contributo sommerso che i dati difficilmente riescono a cogliere, eppure ben noto a tutti nella vita quotidiana. Il fatto evidente che gli anziani siano il perno operativo del benessere familiare non fa che confermare la criticità del sistema attuale: nonostante la massiccia propaganda sui temi, gli strumenti di supporto alla genitorialità e i servizi per l’infanzia risultano ancora troppo limitati. Cosa sulla quale riflettere seriamente, considerando il netto calo demografico e l’inesorabile invecchiamento della nostra popolazione.
E ricordiamo che il rapporto tra giovani e anziani non è mutato solo in termini economici, con i primi sempre più spesso in povertà e gli altri (nonostante le difficoltà) stabili sui livelli degli anni 2000. A risentire dell’invecchiamento della popolazione sono pure i rapporti numerici tra generazioni: nel 2005 gli Over 65 erano il 19,5% della popolazione; oggi hanno raggiunto quota 24%, e si prevede che nel 2050 arrivino al 38% dei residenti. Quasi il doppio.
I dati sono confermati pure dall’andamento dell’indice di vecchiaia, cioè dal numero di Over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni: nel 2022 ha sfiorato il 188%. Un aumento di quasi 50 punti percentuali in meno di due decenni (nel 2005 il rapporto era al 138%). L’Istat annuncia che nei prossimi 20 anni ci sarà un ulteriore aumento di oltre 100 punti: nel 2042 l’indice di vecchiaia arriverà al 293%.
Basta, per considerare critico lo scenario?
E ricordiamo che il rapporto tra giovani e anziani non è mutato solo in termini economici, con i primi sempre più spesso in povertà e gli altri (nonostante le difficoltà) stabili sui livelli degli anni 2000. A risentire dell’invecchiamento della popolazione sono pure i rapporti numerici tra generazioni: nel 2005 gli Over 65 erano il 19,5% della popolazione; oggi hanno raggiunto quota 24%, e si prevede che nel 2050 arrivino al 38% dei residenti. Quasi il doppio.
I dati sono confermati pure dall’andamento dell’indice di vecchiaia, cioè dal numero di Over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni: nel 2022 ha sfiorato il 188%. Un aumento di quasi 50 punti percentuali in meno di due decenni (nel 2005 il rapporto era al 138%). L’Istat annuncia che nei prossimi 20 anni ci sarà un ulteriore aumento di oltre 100 punti: nel 2042 l’indice di vecchiaia arriverà al 293%.
Basta, per considerare critico lo scenario?
Se non invertita o mitigata, la tendenza all’invecchiamento della popolazione si aggraverà, fino al progressivo spopolamento di intere porzioni di territorio. Con tutta la grave serie di conseguenze per la tenuta sociale del paese. Chi pagherà le prossime pensioni? E dove troveremo il denaro per la sempre crescente spesa sanitaria? E si tratterà di un malcontento che non potrà dirsi trasversale lungo tutta la penisola, perchè avremo conseguenze asimmetriche che colpiranno l’Italia in modo diverso regione per regione, come già oggi inizia a capitare. L’indice di vecchiaia, infatti, riporta forti variabili dalle Alpi agli Appennini: in Liguria ha raggiunto la quota di 262,43 e ha superato i 200 in Molise, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Piemonte, Umbria, Toscana, Marche e Basilicata. Si tratta, in pratica, di regione nelle quali vivono mediamente almeno due anziani per ogni adolescente. Invecchiano meno solo la Campania (135,1), il Trentino-Alto Adige (142,4) e la Sicilia (159,45). A livello urbano, indici di vecchiaia molto inferiori alla media si registrano a Napoli (121,8), Caserta (122), Bolzano (126,9) e Catania (140,3). Invece i valori più alti, superiori a 270, si rilevano a Biella, Savona e Oristano. Assisteremo a un nuovo tipo di migrazioni interne, con città che si spopoleranno restando prive di qualunque ricambio generazionale, e altre che diverrano sovrappopolate sì, ma da giovani poveri.
Chissà se anche Puccini, con la sua proverbiale ironia, avrebbe lasciato la sua Lauretta parafrasare la celebre aria del Gianni Schicchi per scuoterci dal torpore di questa impasse sociale: O mio nonnino caro, quanto mi costi, ma quanto mi vali.