di Giovanni Franco Orlando
Non è costruendo una “fortezza europea” che si troverà la soluzione al problema degli immigrati. L’immigrazione è antica come l’umanità. È un fenomeno che risponde a cause profonde. Le persone si spostano perché nei loro Paesi non c’è futuro, non c’è pace, non c’è stabilità. Va gestita in modo umano.
Queste parole di grande saggezza non sono mie, ma dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e per la Politica di sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrell, davanti ai preoccupanti propositi che emergono in questi ultimi giorni dal Consiglio europeo dove diversi leader dei Paesi membri, con in testa, “ça va sans dire”, la Meloni nazionale, si sono riuniti e hanno cominciato ad avanzare proposte sul controllo dei confini europei per contrastare la migrazione.
Immagino che a breve, se non l’ha già fatto, gli farà eco Matteo Salvini e tutto il suo stuolo di collaboratori e militanti leghisti che correranno a dar man forte al loro “capitano”, in sintonia con la Presidente Meloni.
Val la pena ricordare, a chi fosse eventualmente a digiuno di architettura istituzionale europea, che il Consiglio europeo, pur non avendo una funzione legislativa (che spetta al Parlamento e al Consiglio dell’UE), riunisce i leader dei 27 Paesi membri dell’UE e ha il compito di “definire gli orientamenti e le politiche generali dell’UE” e “gestire questioni complesse e delicate che non possono essere risolte a livello di cooperazione intergovernativa”.
Costruire dei “muri” ai confini europei, finanziandoli con le risorse del bilancio comunitario, se diventa l’orientamento prevalente dell’Unione europea su impulso degli Stati membri, significa che presto in Europa potremmo vedere costruire materialmente barriere e infrastrutture che ci riportano ad un passato che pensavamo di avere per sempre archiviato.
La caduta del muro di Berlino del 1989, che divideva l’Europa e l’Occidente dall’Unione Sovietica, è stata senza dubbio l’evento più alto, non solo dal punto di vista simbolico, che la storia europea abbia conosciuto negli ultimi decenni ed ha aperto la strada, purtroppo non del tutto completata, ad un rafforzamento dell’Unione Europea e al suo allargamento.
Di muri nel nostro mondo, per impedire flussi migratori e per altre finalità tra diversi Stati, ce ne sono già abbastanza anche oggi: ricordiamo, tra gli altri, quello di 1.000 chilometri tra Stati Uniti e Messico; quello di 4.053 chilometri tra India–Bangladesh; quello di 2.720 chilometri tra Marocco e Sahara Occidentale; quello di 482 chilometri tra Zimbabwe–Botswana; e poi tanti altri, tra Israele e Palestina, tra Iran e Pakistan; quello tra Bulgaria e Turchia del 2014, per non parlare della barriera metallica eretta a partire dal 2015 dall’Ungheria del sodale di Salvini e Meloni, Viktor Orbán, lungo i 175 chilometri di confine con la Serbia, replicata a stretto giro anche su quello con la Croazia.
Forse, con una frase fatta, ma che rende bene l’idea, il mondo più che di “muri” avrebbe bisogno di “ponti”.
Nessuno si nasconde che il tema dell’immigrazione sia di scottante attualità, in Italia come in tutti gli altri Paesi europei, e non da oggi: dire questo significherebbe negare l’evidenza e chiudere anche gli occhi di fronte alle tragedie che una gestione non soddisfacente del fenomeno per decenni sta causando in termini di morti e di problematiche rispetto all’accoglienza.
Ma la risposta, siamo sempre lì, non può essere quella facile e propagandistica di erigere barriere, muri, ma di creare percorsi controllati ed efficienti di ingressi nei territori europei.
Occorre una politica migratoria condivisa da tutti i Paesi e gestita a livello europeo con regole certe e condivise che mettano fine alle schermaglie o addirittura liti che abbiamo visto anche di recente tra i diversi Paesi europei, con uno scaricabarile indegno.
Occorre fare in modo che l’arrivo programmato di stranieri nei diversi Paesi possa consentire una loro integrazione nel tessuto culturale, sociale ed economico delle città e dei territori europei che sia fruttuoso e positivo, che costituisca crescita e ricchezza e non fonte di tensioni sociali, problemi di sicurezza urbana, emarginazione e razzismo.
Occorre umanità, come dice Josep Borrel e intelligenza politica: due qualità che purtroppo, di questi tempi, difettano nella classe dirigente di molti Paesi del nostro continente. Diciamo pure che si tratta di merce rara.