di Alessandro Perelli.
Non ha scelto certamente il momento più opportuno Il Premier di Israele Benjamin (Bibi) Netanyahu per effettuare la sua visita in Italia. Visita che doveva essere semplicemente un naturale accreditamento internazionale per l’uomo che era stato Primo Ministro ininterrottamente dal 2009 al 2021, messo, insieme al suo partito, il Likud, all’opposizione per poco più di un anno dal 2021 al 2022, poi riuscito, dopo le ultime elezioni politiche anticipate, a ricostruire una coalizione di maggioranza con l’appoggio fondamentale dei partiti religiosi ortodossi di estrema destra e ritornato alla guida del Governo nel dicembre scorso. Passi per l’ intensificarsi e l’aggravarsi della questione arabo palestinese con la recrudescenza degli attacchi missilistici di Hamas seguita dalla pronta reazione sulla striscia di Gaza, gli incidenti in Cisgiordania con la dura risposta dell’ esercito israeliano,gli attentati terroristici (l’ ultimo proprio il giorno della partenza per Roma, il nove marzo, nel centro di Tel Aviv): purtroppo per un Paese in costante minaccia di guerra questa è quasi la normalità. Ma a ciò si era aggiunto il fatto della situazione interna con le continue manifestazioni di protesta che, con grande partecipazione popolare, l’opposizione stava organizzando contro la presentazione nel Parlamento della Knesset della riforma della giustizia. Come è noto questa riforma rappresenta per Netanyahu un specie di salvacondotto per le accuse e i processi in corso contro di lui per corruzione riducendo il ruolo della Corte Suprema non più in grado di incidere sulle decisioni del Parlamento ritenute in contrasto con le leggi fondamentali dello Stato e eliminando, di fatto, la possibilità di impeachment per il Premier. Fra le norme c’è anche quella per il ripristino della pena di morte che scatterebbe quando si commetta un omicidio con l’aggravante del razzismo contro Israele, evidentemente scritta contro i palestinesi. Una riforma definita antidemocratica e a uso e consumo di Netanyahu e dei partiti di estrema destra che lo appoggiano e che sta vedendo in Israele una mobilitazione di protesta che non si riscontrava da molti anni. Ne ha fatto le spese personali lo stesso Primo Ministro in quanto, per lo sciopero dei piloti, è risultato difficile reperire l’equipaggio che, giovedì 8 marzo, gli consentisse di volare in Italia, ma addirittura anche quando, ha dovuto utilizzare un elicottero per raggiungere l’aeroporto di Tel Aviv a causa del blocco del traffico nelle strade invase dai manifestanti. A Roma però il clima non è mutato granché. Il primo segnale è giunto dalla difficoltà dell’Ambasciata di reperire una valida interprete che lo accompagnasse in quanto quella più volte utilizzata si è rifiutato perché lo riteneva un pericolo per la democrazia. Ma al Tempio Spagnolo, la Sinagoga romana, dove era previsto l’incontro con la Comunità ebraica, il Premier di Tel Aviv ha toccato con mano la tensione esistenti all’interno della stessa tra i suoi supporters italiani e gli oppositori con scambi di accuse pubbliche tra gli uni e gli altri a mala pena sedate da un intervento del rabbino capo. Venerdì poi neile strade della capitale si sono svolte, in punti diversi, manifestazioni da una parte di ebrei romani che protestavano contro la riforma della giustizia, dall’altra di palestinesi che scandivano i loro slogans contro l’occupazione dei coloni in Cisgiordania. Non proprio il contorno ideale per precedere quello che, a Palazzo Chigi, è stato l’incontro con Giorgia Meloni e con il Ministro Urso. Incontri che hanno confermato la grande sintonia operativa e la grande amicizia tra Italia e Israele e che non hanno risentito dell’improvvida dichiarazione del nostro Vicepremier Salvini che si è espresso chiaramente per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, causando qualche malumore nella maggioranza. Al di là delle dichiarazioni di principio, l’aspetto sostanziale dei colloqui ha riguardato i problemi energetici. L’Italia potrebbe diventare un hub europeo per la distribuzione del gas israeliano (e egiziano con cui Tel Aviv coopera), non più attraverso la realizzazione di un gasdotto, già valutato dal Governo Draghi ma attraverso la distribuzione di gas liquefatto. La grande quantità delle fonti energetiche, oltre a sostituire l’apporto del gas russo, potrebbe controbilanciare quello che arriverà dall’Africa mediterranea (Algeria) per non avere una sola dipendenza energetica. Progetto indubbiamente interessante con un unico problema per quanto ci riguarda: per attuarlo sono necessari i rigassificatori . Ma da noi ,come è ampiamente noto, sembra che la polemica politica su questo tema ( vedi quanto sta accadendo a Piombino) possa bloccare tutto.
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