di Lucia Abbatantuono.
Giuseppe Garibaldi nacque un 4 luglio di 216 anni fa. Quindi non si tratta di un anniversario tondo, di quelli che occupano le prime pagine dei media. Eppure ricordarlo oggi non è poi così inutile, e non solo perché fu lui a stabilire che “Il socialismo è il sole dell’avvenire“, ma anche perché sempre più numerosi sono gli storici e i politologi su scala globale che tendono ad accreditargli il merito di aver inventato l’idea stessa di democrazia transnazionale. Partendo dall’evidenza che fu proprio lui ad essere fin da subito appellato “eroe dei due mondi” (per aver sostenuto l’indipendenza sia europea che latinoamericana), sarà sufficiente analizzare alcune vicende per spiegarsi le cause di questa nuova luce che molti puntano sul nostro Giuseppe nazionale.
Cresciuto in una famiglia dai rigidi principi cattolici, con una madre che lo sognava prete, Garibaldi notò quanto addormentata sui propri privilegi fosse la Chiesa di Papa Leone XII per poter essere affidabile. Perciò considerò necessario un cambiamento generale del Paese, che partisse comunque da qualcosa di mistico, capace di sostituirsi con pari forza proprio a quella Chiesa che con Pio IX (secondo il nostro eroe) giunse al decadimento morale peggiore dell’era moderna. E quello slancio mistico Garibaldi sembrò riconoscerlo e coglierlo quando a 26 anni si affiliò alla Giovine Italia di Mazzini, che altro non era se non la faccia pubblica della Carboneria, da molti considerata gemella della Massoneria (movimenti allora entrambi considerati fuorilegge in tutta la penisola tranne che in Piemonte). Carboneria e Massoneria avevano molti fini comuni: entrambe, infatti, si opponevano al dominio della Chiesa cattolica in Italia, ed entrambe puntavano ad una politica basata sulla crescita del singolo individuo attraverso successive fasi di iniziazione, concetto cardine di molti scritti mazziniani. Nonostante resti difficile tracciare l’esatta influenza delle società segrete nella Storia, la Carboneria lasciò il segno sia in Spagna sia in alcuni Stati italiani nel 1820-21, e molti carbonari furono coinvolti sia nella guerra per l’indipendenza greca che nei moti decabristi russi del 1825: con la loro visione transnazionale della politica, i carbonari erano pronti ad adoperarsi ovunque ci fosse spazio per l’affermazione degli ideali democratici, spesso usando la forma cruda delle rivolte armate.
Lo stesso Garibaldi partecipò nel 1834 al colpo armato contro il Duca di Savoia, guadagnandosi l’esilio in America Latina dal 1836 al 1848. Fu così che, in Uruguay e in Argentina, insieme ad alcuni volontari italiani organizzò le forze di guerriglia meglio note come Camicie Rosse: rosse come le uniformi da lavoro indossate dai macellai, il cui colore nascondeva meglio le macchie del sangue. Tornato in patria nel 1848, Garibaldi prese atto del fallimento delle rivoluzioni democratiche nazionali, mentre i movimenti politici italiani non riuscivano ancora a decidere quale tipo di Italia volessero: federale o centralizzata, repubblicana o monarchica? Di certo, da allora in poi il concetto stesso di governo autocratico non sarebbe stato mai più lo stesso. Nel 1861 si stabilì il potere del re Vittorio Emanuele, nonostante la vera unità d’Italia avrebbe impiegato più tempo per realizzarsi: gli Stati della Chiesa non erano ancora del tutto integrati, e fu in gran parte merito di Garibaldi se il governo piemontese si estese su tutta la penisola lasciandosi guidare da quella vecchia volpe di Cavour, ma senza mai abbandonare il progressivo convincimento repubblicano di Mazzini.
Dopo l’unificazione italiana, Garibaldi si dedicò alla guerra franco-prussiana degli anni 1870-71, sostenendo le aspirazioni repubblicane francesi. Gli ultimi dieci anni della sua vita (morì nel giugno del 1882) lo videro spendersi come massimo promulgatore della politica democratica transnazionale.
Dalla sua isola di Caprera, come presidente della Lega Democratica, Garibaldi invocava un’Europa unita e democratica, l’emancipazione delle donne, l’universalità e la gratuità dei sistemi educativi (“Le scuole torrebbero alla miseria ed alla ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro grado di civiltà, sono condannate dall’egoismo del calcolo, e dalla cattiva amministrazione delle classi privilegiate e potenti, all’abbrutimento, alla prostituzione dell’anima e della materia“, diceva), l’abolizione della pena di morte, la fine del papato e l’indipendenza delle menti: tutti temi che già esistevano in nuce nei suoi primi anni da carbonaro.
E socialista Garibaldi lo era convintamente: “E che serve all’Italia d’aver dei bei porti e delle terre ubertose” – diceva – “quando i suoi governi ad altro non pensano che a far dei soldi per pascere le classi privilegiate, ed obbligar colla forza, coll’astuzia e col tradimento alla miseria ed al disonore le classi laboriose?“. Ed era saldamente socialista anche quando constatava che: “Le società operaie molto hanno giovato all’Italia, moltissimo devono giovare per l’avvenire; il lavoro è virtù; il lavoro è libertà; benedetti coloro che lavorano! Il lavoro ci farà liberi, la libertà ci farà grandi“.
Molti dei principali movimenti italiani, compresi fascismo e comunismo, lottano per accaparrarsi Garibaldi tra i propri fondatori. L’Italia stessa lo ha consacrato eroe del patriottismo. Tuttavia Max Gallo, nel suo celebre saggio Garibaldi, la forza di un destino, lo definisce come un Europeo dalle spiccate idee europeiste e transnazionali, per le quali lottò fino alla fine dei suoi giorni. E ancora oggi, cestinando l’uso della forza, le sue aspirazioni possono ancora essere da sprone e monito per sviluppare nuove pulsioni politiche imperniate sui concetti universali e inscalfibili di democrazia e giustizia: del resto, “Giustizia! Santa parola, prostituita, derisa dai potenti della terra!” – ipse dixit.