Di Alessandro Perelli
Il Montenegro, afflitto da una crisi istituzionale e democratica senza precedenti, conferma che in democrazia solo dando la parola ai cittadini si possa uscire dalla paralisi e dalla confusione. Almeno questo è l’auspicio che tutti, a livello interno e a livello internazionale, sperano si tramuti in realtà. Gli scorsi mesi sono stati caratterizzati sia dalle accuse mosse al Presidente della Repubblica, accusato di non rispettare la Costituzione, sia dall’impossibilità dell’esecutivo dimissionario di passare la mano, a causa della mancata legittimazione da parte del Capo di Stato; il tutto condito da una sequela di insulti reciproci.
Domenica 19 marzo si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali, in cui è emerso il carattere fortemente politico del voto. Nei fatti si è resa necessaria la verifica di un’effettiva presenza della maggioranza, dal momento che dopo la formazione del primo Governo Krivokapic (senza i socialisti di Djukanovic al potere da oltre trent’anni), nel dicembre 2020 l’esecutivo non è mai riuscito a stabilizzarsi politicamente, a causa delle ripetute crisi interne e delle numerose defezioni, che ne hanno stabilito ancora una volta la sostanziale debolezza.
Domenica 19 marzo si sono presentati, oltre a Milo Djukanovic, i candidati espressione dei tre partiti che, in Parlamento, hanno sostenuto la candidatura di Krivokapic. Al fine di una più precisa analisi, è necessario partire dai dati: il Presidente uscente, leader incontrastato dei socialisti, ha ottenuto il 36%, Jakov Milanovic, candidato del movimento Europe Now il 24%, Andrija Mandic del partito filoserbo il 20% ; Aleksa Becic, leader dei Democratici il 14% ( godeva anche dell’ appoggio del movimento URA dell’ attuale Primo Ministro Abazovic). Le elezioni hanno registrato un’affluenza del 62%.
Dall’ esame del risultato prettamente numerico due sono le osservazioni che si possono trarre: la vittoria parziale di Milo Djukanovic, indubbiamente molto sotto le aspettative e ben lontano da quel 50% +1, indispensabile per evitare il ballottaggio in programma il prossimo 2 aprile. Altra osservazione riguarda lo sfidante, che sarà Milanovic che, contrariamente alle previsioni, ha superato nettamente Mandic. Guardando l’andazzo, conviene non azzardare pronostici rispetto l’appuntamento del 2 aprile .
I candidati anti Djukanovic hanno dunque superato insieme il 50% dei consensi, ma ciò non rappresenta necessariamente un chiaro segnale di una probabile vittoria di Milanovic; come non lo è neppure l’assicurata garanzia di sostegno a Mandic. L’impressione è che la partita si giocherà per pochi voti di differenza.
Il motivo fondamentale che aveva generato il Governo Krivokapic, ovvero quello di escludere per la prima volta dal potere il partito dell’ex comunista, poi diventato socialista aperto alle idee liberali Milo Djukanovic, potrebbe non bastare più, proprio a causa dell’incapacità dimostrata nel dare effettiva governabilità al Paese. A ciò va aggiunta una certa scontentezza dei montenegrini per le promesse mancate dell’Esecutivo.
Dujanovic, nell’ultimo periodo, ha giocato la carta del nazionalismo rivendicando una ripresa dei motivi che avevano portato all’indipendenza dalla Serbia , facendosi interprete e protagonista dell’adesione alla Nato, oltre ad essere anche il promotore delle riforme per il progetto di entrata nell’Unione Europea. Da questo quadro emergono chiaramente le contraddizioni del partito filoserbo, sostanzialmente orientato verso una posizione più morbida verso l’invasione di Putin all’Ucraina. I suoi contatti e legami con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea non saranno forse determinanti in queste elezione, ma non possono essere sottovalutati se riferiti agli aspetti economici e quindi in rapporto con gli investimenti, che portano riflessi positivi in prospettiva occupazionale.
L’ altra faccia della medaglia riguarda le accuse di corruzione e di speculazioni edilizia, che hanno sommerso di provvedimenti giudiziari il suo partito ( DPS) e l’esigenza di un rinnovamento. Da non sottovalutare quello che sarà anche il pronunciamento della chiesa ortodossa che con Djukanovic ha più volte dissotterrato l’ascia di guerra. I motivi vanno rintracciati nelle appropriazioni di edifici religiosi e nel supporto alla chiesa ortodossa indipendente di Cetinje, non riconosciuta da Podgorica. Di rilievo sono anche le norme emanate dall’esecutivo in favore delle coppie di fatto e della comunità LGBT.
Alla luce di quanto riportato, l’unica previsione ammissibile e certa è che il prossimo 2 aprile condizionerà pesantemente il risultato delle elezioni politiche, previste per il mese di maggio- giugno.