di Niccolò Musmeci
Compagni e compagne,
non è facile scrivere, soprattutto quando si è alla fine di un ciclo. Quasi dieci anni fa, alla nostra prima scuola di formazione, l’allora segretario nazionale, Roberto Sajeva, mi disse che i tempi duri per la sinistra italiana dovevano ancora arrivare. Da allora ci siamo consolati: eravamo al governo e in parlamento, mentre a livello internazionale potevamo fare affidamento sul Partito Socialista Europeo e sulle nostre organizzazioni internazionali.
Oggi la notte è sempre più profonda e questa lunga agonia della “Seconda Repubblica” si può riassumere con un verbo: ridurre.
Tagliati i finanziamenti pubblici, ridimensionati gli enti locali, diminuiti i nostri rappresentanti in parlamento, a favore di un potere che si sposta in mano ai “tecnici”, la democrazia italiana si è ridotta, e con lei la qualità della politica. L’astensione, elettiva e partecipativa attuale, riflette questo percorso, voluto da una parte degli italiani e dal loro ceto politico.
Le comunità politiche si sono fatte sempre più piccole, l’attività politica un percorso secondario e dispendioso, da fare in un tempo libero che, il più delle volte, è sempre più scarso.
Ma se il tempo da dedicare alla politica si riduce, insieme ai suoi strumenti, i primi a subirne i danni sono le minoranze.
Il grande equivoco della concezione popolare della democrazia, infatti, è quello di un sistema di potere ove chi ha “la maggioranza” governa, e gli altri si devono adeguare.
Le moderne democrazie, invece, esistono per tutelare le minoranze, e, mediante un efficiente stato sociale, garantire a tutti, e, a tutte, pari opportunità sociali.
In un paese per vecchi i giovani sono minoranza.
Siamo sempre più poveri, abbiamo minori opportunità, siamo costretti a impegnarci molto di più dei nostri genitori, per poi ottenere risultati minimi. Sono tornate alla ribalta retoriche reazionarie, travestite da messaggi motivazionali, che costringono la nostra esistenza al servizio di un sistema che ci da due possibilità: partire o sopravvivere.
Ma queste sono cose che già sappiamo, no?
Parliamo un po’ di noi allora.
Per la Federazione Giovani Socialisti sono stati anni di crescita e di sviluppo, indice di una volontà, da parte dell’attuale generazione, di non rassegnarsi alle disuguaglianze e alle ingiustizie del contemporaneo.
Sono stati anche anni di profonda trasformazione dove noi non ci siamo illusi; se il movimento socialista vuole crescere nella società allora dovrà esserne realmente partecipe.
Oggi la FGS è un’associazione plurale e a vocazione internazionale.
Qui studenti, lavoratori, femministe, persone LGBT, amministratori locali e semplici militanti hanno trovato la loro agorà.
Chi credeva che le nostre azioni fossero futili esercizi si è sbagliato.
La nostra voce è arrivata nelle commissioni parlamentari, nei consigli comunali, negli enti pubblici -primo tra tutti il Consiglio Nazionale dei Giovani-, nel mondo dell’editoria, nelle altre associazioni e nei partiti. Il tempo della rinascita per noi è terminato, abbiamo avviato un processo virtuoso che ha portato la FGS ad essere uno dei punti di riferimento tra le associazioni politiche giovanili italiane.
Noi non siamo un gruppo di soli amici, non siamo una pagina social, non siamo un club esclusivo di cosplayer, come non siamo un gruppo di nostalgici di un’epoca che non abbiamo vissuto.
Siamo, e dobbiamo essere, politici.
Siamo i detentori di un metodo, di un modello e dei nostri ideali.
Il socialismo è metodologico e per questo i socialisti non devono rifugiarsi nell’illusione di un rassicurante fondamentalismo ideologico.
Apprendiamo gli strumenti della conoscenza per creare una nuova critica al sistema, non adeguiamo la realtà a ciò che ci piace immaginare come “il vero”.
Non rimaniamo inerti e indifferenti, ammantati da una subdola e ipocrita purezza, bensì ci sporchiamo le mani, dialoghiamo nel politeismo della democrazia, compromettendoci: non siamo inutili per paura di essere criticati.
Il socialismo non si ottiene con la sola fede, nella speranza di una rivoluzione messianica o di un’apocalisse di mercato.
Non ci crogioliamo nella cenere riempiendoci la bocca di fumo: siamo una luce tra le decadi di un crepuscolo apparentemente eterno.
Questo ci rende preziosi.
Il lungo cammino iniziato alla fine del diciottesimo secolo ne è prova.
Il socialismo democratico e riformista ha cantato vittoria sui cadaveri dei reazionari dell’Ottocento e sulle macerie lasciate dalle dittature del Novecento, per poi adagiarsi in un nuovo millennio sempre più imprevedibile.
Eppure i giovani, socialisti e non, sono esposti ad una serie di illusioni che possono irrimediabilmente compromettere la loro vita.
Sempre più spesso gli esseri umani si avviliscono, racchiudendosi nelle loro piccole bolle sociali, nella monotonia di una esistenza ripetitiva e frastornante. La tentazione massima è quella di annullarsi gradualmente.
Procedendo con la propria esistenza decidiamo di gestire il nostro tempo, prima come una risorsa illimitata, poi come un inevitabile flusso destinato a esaurirsi. Passivamente ci intratteniamo costantemente, chiusi in camere dell’eco, tra jingle di consumo e piccole soddisfazioni effimere.
Gli anni passano tra una quotidianità frustrante e un’irreparabile angoscia, oggi per un lavoro che scomparirà, domani per un clima sempre più ostile.
Alla fine l’umano post-moderno pensa alla sua vita come azione fine a sé stessa, disturbata da una coscienza ingombrante, attraversata da una serie di eventi che non riuscirà a dominare.
La società, la classe, l’etnia, l’orientamento religioso, sessuale o il genere prendono la forma di etichette buone per limitare e incanalare, impedendoci di trascendere la nostra condizione, per allearci nella prospettiva di un futuro migliore. Sempre di più scivoliamo verso un mondo irreale, di persone oggettificate e di rapporti asettici.
Ma non c’è nessuna catarsi in questa scarnificazione esistenziale.
E l’inquietudine verso il mondo e le altre persone prendono il sopravvento .
Altra delle massime piaghe della politica contemporanea è quella dei giocatori di ruolo.
Questa malattia colpisce tutte le età diffondendosi come il peggiore dei tumori.
Un esempio a noi vicino lo troviamo in una parte dei socialisti facenti parte della miriade dei corpuscoli della cosiddetta diaspora.
Per certa gente il socialismo è avere una tessera in tasca, memorie in testa, e qualche vecchio amico nella sezione locale, di solito di un piccolo comune.
Alcuni si scelgono uno scenario in cui giocare le proprie “partite”.
C’è chi ragiona come se si fosse nella Prima Repubblica, dove ci sono ancora i “comunisti” e i “fascisti missini” e dove è lecito allearsi con chiunque pur di arginare oggi i primi, domani i secondi.
Altri sono fermi al modello dell’Ulivo, che certe volte diventa un pretesto per far parte di qualcosa di grande in cui far sentire la propria piccola voce.
Peggio ancora è chi è ancorato al 2016, dove la soluzione di ogni male è ripristinare articoli mai abrogati, e fare l’uomo di “sinistra” contro chi vuole andare troppo al “centro”.
L’ultimo testo socialista che hanno letto o ha le pagine gialle o è un lungo post su Facebook.
L’azione politica si ferma a “quattro proposte forti”, chiamare la stampa, recuperare i “vecchi compagni”, magari dirigenti di altri partiti, e una volta l’anno montare un gazebo in piazza con due bandiere “per far vedere che esistiamo”.
Inoltre, e infine, questo continua necessità di difendere ciò che si era, o ciò che è stato, e il mancato superamento del trauma degli anni novanta, ha portato queste persone, e coloro che avvicinavano al socialismo, ad agganciarsi al passato, impedendo qualsiasi possibile momento creativo .
Tutto questo ha portato ad una aridità culturale e valoriale diffusa, alla supremazia delle piccole clientele locali e delle logiche tipiche dei mercenari al posto delle strategie politiche.
L’azione politica per loro è un passatempo, occasionalmente qualche stipendio.
Le poche strutture locali sono contenitori di nepotismi e familiarismi.
Desolante è riscontrare dinamiche simili in tutti i partiti, seppure con forme e intensità diverse.
La FGS deve fare la differenza anche su questo. Mentre loro pensano al loro passato, avvinghiandosene come se fosse un feticcio, per sentirsi ancora protagonisti di qualcosa, noi dobbiamo pensare al nostro futuro, vivendo rigorosamente nel presente.
Noi non abbiamo nulla da difendere e tutto da conquistare.
Non possiamo permetterci di perdere tempo mentendo a noi stessi, non dobbiamo accettarlo.
Ma il tempo è sempre contro di noi, e, mentre la socialdemocrazia cantava vittoria, un nuovo terribile nemico è apparso, prima silenziosamente, come un’ombra, per poi diventare un demone immanente: il capitalismo della sorveglianza .
Siamo di fronte al capolavoro del capitalismo contemporaneo: rendere merce il comportamento umano, sotto forma di dati, per poi trasformarlo in uno strumento capace di condizionarci a fini commerciali -e non solo-, ai fini di un sistema impostato sul consumo.
Però siamo noi siamo quelli che vengono consumati, insieme al nostro pianeta.
Si prospetta un mondo interconnesso, ma sotto costante controllo; osserviamo un mercato in costante crescita, che rende le disuguaglianze, economiche e di potere, sempre più estreme; sviluppiamo nuove tecnologie ogni attimo, per poi rimanere inerti di fronte ai loro effetti.
A vecchi sfruttamenti se ne aggiungono di nuovi: schiavi negli uffici, nei campi, dietro degli schermi, appigliati alle loro necessità e a qualche illusione, oggi con una paga in nero, domani con l’ennesimo tirocinio, tra un burn out e qualche terapia psichiatrica, perennemente in affitto, in balia di un precariato che gli impedirà di proseguire molte strade.
Le nuove reazioni conservatrici e retrive si sommano a quelle vecchie. Una società piccolo borghese, per gran parte anziana, oltre che ignorante di questi eventi, è destinata a subire i colpi più fatali di un periodo di crisi che non accenna ad estinguersi.
Oltre tutto questo male e latente nichilismo c’è un percorso di crescita, di formazione e di speranza.
La via del socialismo è una via di missione, è un significato vitale profondo.
L’FGS deve addestrare i suoi soldati per una guerra che durerà molto tempo.
Però le nostre forze non bastano e, come ci insegna il nostro metodo, avremo bisogno di molti alleati.
Se il conflitto dovrà essere guidato dalle minoranze allora dobbiamo iniziare a comporre un fronte necessariamente plurale.
Il nostro fronte sarà composto da coloro che vedono nei valori della democrazia, dello stato sociale, dei diritti umani universali, oggi sempre più in discussione, la giusta strada che devono percorrere i popoli verso la civiltà.
Laici, progressisti, riformisti e liberali sono termini che sono a noi vicini, le persone che pronunciano queste parole sono nostre alleate.
Ma queste stesse persone devono comprendere che anche il socialismo è un termine a loro vicino.
Noi della FGS l’abbiamo sempre sostenuto: in democrazia è necessario compromettersi insieme.
Questo è il mezzo per i nostri fini.
I nostri equivoci vanno risolti.
Il socialismo non è antitetico alla democrazia liberale, bensì un suo naturale sviluppo.
Come non è tutto oro quel che luccica così i riformisti attuali dovranno capire come, a favore, e contro chi, andranno eseguite le riforme. Mentre i progressisti dovranno capire che dietro ad ogni fenomeno che la storia ci pone innanzi, soprattutto se si parla di nuove tecnologie, si celano nuove insidie.
Una missione ardua e apparentemente impossibile.
Ma noi sappiamo dove collocarci, come sempre: dalla parte giusta della storia.
Sarà questa nuova energia, i cui pilastri verteranno nelle nuove generazioni, le più provate e schiacciate da questo sistema, ad aprire una nuova stagione, oltre i giochi di ruolo, gli interessi neo-corporativi e il brutto potere fine a sé stesso, tipico dei reazionari.
Serve una forza capace di far saltare alcune logiche di sistema, siano esse un lascito culturale, una comodità dell’oligarchia che spadroneggia in politica, o un mero interesse economico.
Nei prossimi anni i giovani socialisti, insieme ai loro alleati, dovranno prendere coscienza delle loro capacità e dei loro strumenti.
Dobbiamo prepararci ad attendere che le crepe del sistema siano ampie a sufficienza da poter affondare le nostre armi.
Non sempre si può costruire sugli edifici: è necessario distruggere.
Correggere gli errori di sistema, con la costanza dei riformisti: questa è l’unica via per ottenere ciò che è giusto agli occhi della storia.
Sarà la nostra volontà distruttrice a rinnovare concetti decaduti, a ripristinare le vie dello stato sociale, a rinvigorire e difendere principi e diritti dalle orde barbariche.
Sarà questo il progredire della nostra rivoluzione, senza crimini e senza ipocrisie, con le mani sporche del nostro lavoro, e non con il sangue della furia irrazionale.
Sarà una distruzione creatrice.
Avanti!
Hanno firmato la mozione:
Federazione dei Giovani Socialisti – FGS Sicilia: Mattia Carramusa
Fgs Calabria: Mattia Caruso
Fgs Basilicata: Prospero Tantone
Fgs Puglia: Gabriele Zammillo
Fgs Campania: Giorgia Natalini De Simone
Fgs Lazio: Valerio Canonico
FGS Toscana: Matteo Mugnaini
Fgs Emila Romagna: Giacomo Mazzi
Fgs Lombardia: Francesco D’Aguí
FGS Veneto: Andrea Comberlato
Fgs Trentino Alto Adige: Simone Garipoli
Fgs Umbria: Mattia Scoglio Bacchetta
Fgs Marche: Michael Sommovigo