In coma da diversi giorni è morto, questa notte, Matteo Messina Denaro. Malato di tumore era ricoverato da diversi mesi all’Ospedale dell’Aquila. Il boss di Cosa Nostra, che stava scontando una condanna all’ergastolo, era affetto da un tumore al colon. Era stato arrestato il 16 gennaio 2023 a Palermo davanti alla clinica La Maddalena, dove si stava sottoponendo a chemioterapia esattamente a trent’anni e un giorno dalla cattura, sempre nella stessa città, di Totò Riina. Era considerato il Capo dei Capi e il suo arresto ha chiuso un’epoca: quella della sfida allo Stato con le stragi di Chinnici, Falcone e Borsellino.
Venerdì 19 settembre era stato dichiarato in coma irreversibile. I medici, sulla base delle indicazioni date dal paziente, che nel testamento biologico ha rifiutato espressamente l’accanimento terapeutico, nei giorni scorsi gli hanno interrotto l’alimentazione. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, Messina Denaro ha chiesto di non essere rianimato in caso di necessità.
La cattura di Denaro ha chiuso i conti con la strategia del terrorismo e dell’attacco al cuore delle istituzioni che ha rappresentato io marchio dei Corleonesi.
E il padrino di Castelvetrano si è portato tutti i segreti con sé.
Negli otto mesi scarsi in cui è stato in carcere non ha mai voluto collaborare con i magistrati per fare luce sulla stagione delle stragi di mafia.
Con la sua morte si chiude anche il processo per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Matteo Messina Denaro era stato condannato all’ergastolo, sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, come uno dei mandanti per la sua partecipazione alla riunione di Castelvetrano in cui si decise di uccidere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Dagli atti al processo quella fu una riunione che sancì una frattura tra la storia recente e quella passata della storia mafiosa.
Il collaboratore di giustizia Nino Giuffré la descrisse come, “una riunione dove regna il silenzio più assoluto. Si era ormai coscienti che si andava a uno scontro totale che era l’inizio della fine di Cosa Nostra”.
Le certezze sulla partecipazione cosciente di Messina Denaro a quel disegno criminale sono confermate dalle parole di un altro pentito, Francesco Geraci, che era un suo grande amico, che disse di essere stato consigliato da Messina Denaro di non prendere l’autostrada.
“Una volta lui mi ha detto di non recarmi più a Palermo in autostrada. Io dissi che siamo tre fratelli che andiamo tutti i giorni a Palermo. E lui: Vabbè per adesso non ci andare”, per poi, dopo la strage, avvisarlo di poter riprendere le sue abitudini, “Adesso puoi andare a Palermo”.
Matteo Messina Denaro nasce a Castelvetrano il 26 aprile del 1962. È il secondo figlio maschio di Francesco Messina Denaro, ufficialmente campiere nei terreni della famiglia D’Alì, la proprietà più grande di tutta la Sicilia. In realtà capo di Cosa Nostra nel paese e poi in tutta la provincia per volere di Totò Riina. ll padre gli insegna a sparare a 14 anni e quando non ne aveva compiuti nemmeno 18 celebra il suo battesimo del fuoco commettendo il suo primo omicidio.
Con la latitanza del padre comincia il suo percorso di formazione criminale all’interno della organizzazione mafiosa partecipando alle faide di Cosa Nostra.
Quando Riina dichiara guerra allo Stato, Messina Denaro è uno dei suoi soldati più fedeli.
Insieme a Giuseppe Graviano all’inizio del 1992 è a Roma dove si era recato per progettare gli omicidi di Falcone, del ministro della Giustizia Claudio Martelli e dei giornalisti Maurizio Costanzo e Michele Santoro. Quando torna scopre che Riina ha cambiato idea. Falcone e Borsellino devono morire in Sicilia.
Dal 1994 Matteo Messina Denaro diventa “L’invisibile” o “Il camaleonte”. Gli inquirenti per dargli la caccia seguiranno i piccioli, come insegnava Falcone. Negli anni gli vengono sequestrati beni per un controvalore di 4 miliardi di euro. I rapporti investigativi seguiranno le sue tracce dalla Sicilia a New York, dagli hotel di Dubai fino alle coste della Tunisia. Si parla di investimenti per cinque milioni di euro in aziende di pollame in Venezuela e di partecipazioni a joint venture con la ‘Ndrangheta per i villaggi turistici della Tunisia. Nell’ordinanza che ha portato in carcere i suoi fiancheggiatori però si legge che Messina Denaro ha passato gran parte dei suoi trent’anni di latitanza nel suo territorio, protetto dalla rete mafiosa che in parte aveva ereditato e in parte contribuito a costruire.
Ma è la malattia che alla fine lo porta in carcere. Il tumore al colon che lo aveva colpito quando è stato scoperto era già ad uno stadio molto avanzato e il suo destino era segnato.
Un destino che si è realizzato poche ore fa, nella notte del 25 settembre.
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1 commento
Che sia stramaledetto per tutta l’eternità.