Attenzione Giorgia. Rischi la fine di Renzi. In questi ultimi anni chi tocca la Costituzione, tranne nel caso del demagogico nuovo Articolo V e del vergognoso taglio alla democrazia parlamentare, finisce male. E’ successo a Bossi con la devolution, é successo a Renzi con la riforma costituzionale. Diciamo che a proporre il presidenzialismo, il semipresidenzialismo o il premierato, si finisce inevitabilmente a referendum, perché la maggioranza di governo, al massimo aperta a Calenda, non dispone dei due terzi. E al referendum non si voterà nel merito della riforma, ma sul governo e anche sulla vocazione autoritaria di chi lo presiede. La Meloni ha fatto una fatica da matti per smarcarsi dal fascismo, vuoi che lo faccia risorgere nelle accuse propagandistiche dei suoi avversari sulla riforma? Io non credo, per questo, che la presidente voglia davvero andare fino in fondo a prescindere da chi ci sta. Se poi s’impunta a passare con il cosiddetto premierato, che anche i riformisti di Renzi e Calenda possono approvare, dovrà chiarire molte cose. Si tratterebbe di un Italicum giacché l’unico paese che lo prevedeva, e cioè Israele, lo ha abolito. E dovrebbe essere legato a una riforma elettorale per non renderlo inutile e anzi dannoso per la stabilità che si invoca. Nei comuni il sindaco viene eletto direttamente, ma si porta dietro un largo premio di maggioranza nel Consiglio comunale, la giunta se la nomina da solo e pure gli enti di secondo grado. E’ una sorta di padrone, o nuovo podestà, del proprio comune. Si vuole eleggere il padrone d’Italia? Non credo. E allora si devono evitare due rischi: quest’ultimo, appunto, e quello di una netta separazione dell’elezione del premier da quella del Parlamento. Si rischierebbe, in quest’ultimo caso, di eleggere un premier senza maggioranza o addirittura con maggioranza contrapposta. Cosa sarà poi delle funzioni del presidente della Repubblica a cui verrà sottratto il potere della designazione del presidente del Consiglio e della nomina dei ministri (su proposta del presidente del Consiglio) e a cui verrà contrapposto un premier più legittimato di lui perché eletto direttamente? Rifletta la Meloni sul motivo per il quale il premierato non se lo fila proprio nessuno. E perché i sistemi democratici si dividono in tre grandi categorie: quello parlamentare (in Germania completato con un cancelliere eletto dal Parlamento), presidenziale (in Francia attenuato da una forma semi presidenziale in cui il presidente della Repubblica nomina il capo del governo), monarchica (nel Regno Unito, in Spagna e altrove é il re, di origine dinastica, che incarica il presidente del Consiglio che deve tuttavia ottenere una maggioranza parlamentare). Altre forme non esistono. E trovarle in Italia é complicato e anche pericoloso. La sfiducia costruttiva? Se il Pd non racconta storie sarebbe già molto. E non si creda che sia una riformetta da poco. Avrebbe evitato la maggior parte delle crisi di governo. E poi meglio il poco che il nulla.
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.
1 commento
Sono in diversi a ritenere che l’architettura istituzionale concepita nel primo dopoguerra sia in parte figlia della preoccupazione di non creare i presupposti per un nuovo Ventennio, o qualcosa del genere, ossia un Capo del Governo con pieni poteri o quasi, o che potessero comunque nascere tentazioni del genere, così che si optò per una figura di Primo Ministro che non fosse troppo forte, e per un sistema di voto proporzionale (che cioè escludesse premi di maggioranza, forse in ricordo della legge del 1923).
Quanti nutrono tale opinione, sono poi fra coloro che ritengono maturo il tempo per rivedere e rimodellare i poteri dell’Esecutivo, segnatamente quelli in capo al Primo Ministro, e trattasi in ogni caso di esigenza ormai avvertita da tanti, pur nella delicatezza della materia che richiede di muoversi con parecchia attenzione e prudenza, ma d’altronde è quantomeno abbastanza incoerente che si sia passati all’elezione diretta dei Sindaci, e dei Governatori, mentre nulla è da allora cambiato per il Capo del Governo.
Non è necessariamente detto che debba andarsi verso il “Sindaco d’Italia”, come qualcuno ipotizzerebbe, ma una qualche revisione andrebbe pur tuttavia considerata, non fosse altro quella della “sfiducia costruttiva”, onde dare maggiore stabilità all’Esecutivo, meccanismo peraltro già previsto nella Riforma costituzionale del centrodestra, che ancorché non sia riuscita a superare il Referendum 2006, conteneva altri spunti da poter essere ripresi ancora oggi, o dai quali far ripartire il confronto.
Cercando una risposta al perché si voglia “metter mano” alla Costituzione, si potrebbe pensare che la Premier intenda assumere tale iniziativa disponendo di una solida maggioranza in Parlamento, e del resto sono innanzitutto i Governi politici che possono intraprendere la via dell’art. 138, come già successo in passato, ferma restando l’eventualità di dover ricorrere a successivo Referendum, nel senso che la strada non è priva di “ostacoli”, ma può valer la pena di percorrerla (evitando di “personalizzarla”).
Paolo Bolognesi 12.05.2023