di Salvatore Sechi
Confesso che l’ascesa alla testa del governo di una donna, per di più dell’opposizione, non mi è dispiaciuta. Lo dico perchè politicamente mi sono formato nella cultura dell’antifascismo torinese, cioè del Partito Italiano d’Azione. Pertanto, avere anche minimali segni di compiacenza per la canea (e canaglia) fascista, come per la sopravvissuta manovalanza vetero-comunista (ancora in subbuglio in qualche non di rado esilarante blog dell’Emilia Romagna), per me non è minimamente pensabile. A muovermi verso questo giudizio negativo verso l’ avventura della Meloni è stato un duplice motivo.
Il primo: bisognava mettere fine alla litania dei maschi cazzuti che dal 25 aprile 1945 occupano la scena politica. Dalla sfera delle mansarde del governo a quella dei vertici apicali delle stesse istituzioni. Dunque, un sentimento di eguaglianza contro l’imperante maschilismo(per non parlare, della sagra miserabile del celodurismo lombardo-veneto).
Il secondo motivo: stare a vedere, premendo una calotta sui pregiudizi, che cosa ha da dare e sa fare una fascistozza da periferia romana. Dopo alcuni mesi il bilancio può essere fatto agevolmente. La Meloni, a parte l’encomiabile capacità di lavoro e di resistenza agli stress, è un campione inesauribile di incompetenza (e questo era abbastanza scontato), di cinica spregiudicatezza e trasformismo, con un culto inesauribile per menzogne, sotterfugi, micro-furbizie.
Aveva, per sua fortuna, ereditato l’agenda Draghi. Comunque la si voglia giudica, è certo che aveva ristabilito e rinforzato i rapporti con l’Unione europea e gli Stati Uniti dopo gli sfracelli devastanti del capo-Lega Matteo Salvini. L’Italia era precipitata ad un livello di degrado infimo. L’intrepido sfascia-carrozze è ancora, in auge, gonfio come una rana, dopo aver portato all’8% una forza che era giunta al 33% con la ridicola platea dei decreti sicurezza (cioè per aver negato l’esercizio dei diritti di movimento, di navigazione e di migrazione ai citta dini provenienti da paesi arabi e non solo.
L’esponente di Fratelli d’Italia si è tempestivamente resa conto che a Washington, Bruxelles, Parigi, Berli no, Kiev ecc., non poteva continuare a fare i gorgheggi del suo programma anti-atlantico e anti-europeista. Per essere ascoltata e far pervenire a Roma qualche accredito miliardario di Euro, dove va mandare al diavolo come carta straccia gli spartiti populisti con cui ha infinocchiato il gregge dei suoi elettori. Presto fatto. E per essere ritenuta ancora più affidabile, ha stivato di ogni possi bile vagone di armi nostrane ogni stazione, aeroporto, cella o nascondiglio seminterrato dell’Ucraina.
E non passa giorno che non giuri e spergiuri che sarà al fianco di Zelensky fin quando Putin non ritirerà le sue armate specializzate nello sterminio dei civili. Il suo è stato un atto di opportunismo e di cinismo esemplare dal momento che i suoi maggiori alleati di governo (un politico per tutte le stagioni come Matte o Salvini e il fondatore, ormai assai decotto, di Forza Italia Silvio Berlusconi) sono i tapis roulants italiani lungo i quali l’ultimo gerarca comunista russo ama strusciare felicemente.
Che la Meloni sia persona inaffidabile lo si è scoperto subito. Dopo averla usata, capi di Stato e premiers delle due sponde dell’Atlantico l’hanno messa rapidamente da parte. Direi nel peggior modo possibile almeno per una don na, cioè come un profilattico usato. A isolarla, e costringerla a mettere giù la mascherina carnascialesca della sua finta e posticcia credibilità sono: l’insicurezza dei nostri approdi per migliaia e migliaia di migranti, la litigiosità fino alla rissa continua al governo con la famelica rappresentanza leghista (il prode Salvini l’ha ridotta ad uno scheletro elettorale di basso conio), le continue querelles sul fascismo di ieri e di oggi, le scorribande storiografiche.
Non mi riferisco solo a quelle in cui si prodiga, da par suo, il ministro della scuola Valditara, ma a quella messa in scena dalla stessa premier. L’ultima è relativa all’assassinio, a Roma, di oltre 300 persone (tra antifascisti e civili innocenti) da parte dei reparti militari nazifascisti. Avendo una cultura storica da suburra post-fascista, Giorgia Meloni ha liqui dato l’episodio come il solito, risaputissimo, maltrattamento degli italiani da parte dei tedeschi. Una fanfaluca, una stupidità, le parole in libertà, le sue, di una fascista impenitente.
Com’è possibile che nell’affidarle l’incarico di formare il nuovo governo, Sergio Mattarella (nel suo ruolo di custode e garante dell’origine, cioè della legittimazione, antifascista della nostra costituzione) non abbia preventivamente accertato quel che ogni giorno è sotto gli occhi di tutti? Giorgia Meloni non poteva, e non può, ricoprire il ruolo di premier o di ministro, semplicemente perché è più fascista che antifascista. E’ più vicina ai torturatori e ai fucilieri dei reparti nazifascisti delle Fosse Ardeatine che agli antifascisti romani.
Inclusi quelli, comunisti, che, più o meno responsabilmente (il dibattito tra gli storici venne aperto da Marco Pannella) aprirono il fuoco su una colonna in transito dell’esercito di occupazione hitleriano. Giorgia Meloni non si è ancora resa conto di quel che non solo i ragazzi dalle scuole medie in avanti apprendono, ma che un esponente capace e saggio del suo stesso partito come il ministro Guido Crosetto ha più volte sottolineato, cioè che le istituzioni della nostra repubblica sono figlie dell’anti-fascismo, della lotta partigiana, della guerra civile contro gli italiani al servizio dei nazi sti invasori.
Non si deve, e non si può, quindi, contestare questo atto di nascita. Occorre prenderne atto dopo aver giurato rispetto e fedeltà alle regole del gioco e ai valori di una carta costituzionale che è intrisa -dalla prima all’ultima riga- di sangue partigiano. Si tratta esattamente di quel che alla Meloni (ragionevolmente, dal suo punto di vista di camerata postfascista) fa più schifo che altro. Dovendo scegliere un presidente della Camera dei deputati, si è orgogliosamente riconosciuta in un ex esponente del MSI, come Lei, che ha la casa ingombra di effigie e corpi (in ferro e marmo) raffiguranti Mussolini.
Il doppio gioco, le parodie, le falsità della premier sono venute in luce meridiana in questi ultimi giorni. A differenza di quanto hanno diffuso i telegiornali e la stampa destrorsa (a lei legata o vicina),il suo viaggio a Bruxelles, compreso l”incontro con Macron, sono stati un buco nel l’acqua. Non il successo di cui biascicano i giornalisti asservi vi e il Minculpop, ma un plateale fallimento. Ecco di che cosa di tratta. Sul piano delle migrazioni, il Consiglio d’Europa non va oltre la più banale pulizia della bocca, cioè emette re gridolini di comprensione e solidarietà.
Ma niente che assomigli ad un sostegno, cioè accreditare che gli sbarchi nei nostri porti sono sbarchi non solo in Italia, ma anche in Europa. Niente politiche-coordinate con Bruxelles-di rinforzi della sicurezza nei viaggi, di lotta non contro gli imprenditori del traffico criminale , ma solo i soliti an nunci di maggiori pene contro gli scafisti. Questi sono l’ultima ruota del carro di una furfantesca mangiatoia coperta dalla Libia e dalla Turchia. Non è un caso caso che Meloni e Salvini abbiano schierato contro di essa i loro ben noti eserciti di pappa molle.
E nessun tribunale della repubblica nostrana né turca né libica abbia mai osato emettere, anche per sbaglio, delle sentenze sanzionatorie a carico degli organizzatori ed esecutori delle stragi in corso da qualche decennio nei nostri mari. E mentre la salmeria addetta ai servizi di stalla sui circuiti della Rai-Tv e della stampa sbandiera la gran de conferenza annunciata (il 21 febbraio) dalla Meloni, da tenersi a Roma a fine aprile (addirittura), sulla ricostruzione dell’Ucraina, i leaders politici e imprenditoriali invitati (dell’Unione europea e di Kiev) hanno fatto capire che erano interessati solo alla grande Conferenza prevista per il 21-22 aprile a Londra.
Lo stesso Zelensky ha dato forfait. Una dèbacle cocente. Per non parlare della mancanza di ogni proposta realistica sul riarmo dell’Ucraina e sulla sospensione delle ostilità. Il governo italiano mostra di essere puramente al servizio di Washington che ha, fin dall’inizio, affidato all’ecatombe degli ucraini la sconfitta di Putin. Di fronte alla tragedia epocale dell’immigrazione, le armi della nostra sovranista, non diversamente da quella di Salvini (suo predecessore, alleato e in realtà insidiosissimo competitor), sono quelle di una strategia annunciata in pompa magna durante a le elezioni, ma già ampiamente fallita.
In altre parole, i flussi migratori non possono essere impediti alla partenza (addirittura con blocchi navali), e neanche durante la navigazione da un porto all’altro del Mediterraneo, che a loro volta non possono essere chiusi, come sentenziava un ministro dell’Interno nostrano di inenarrabile incapacità. Un recente articolo, “Realtà che batte le balle (“Il Foglio” 29 marzo 2023) ha documentato il carico (vero e proprio tonnellaggio) della demagogia che sui migranti hanno montato Meloni e quel pessimo Drake mediterraneo che risponde al nome di Salvini. In queste ore sta dando il meglio di sé abolendo i reati di abuso di ufficio e di evasione fiscale, e distribuendo a destra e a manca appalti senza gara.
Uno spettacolo licenzioso sul quale il Quirinale non si vede come possa essere connivente. Tanto i Fratelli d’Italia quanto la Lega si trovano ora a dovere rendere conto di un elemento per nulla contestabile. Non è, cioè, vero, è anzi una grande balla, che l’Europa non si prenda cura degli immigrati, e tutto sia stato riversato sulle fragili spalle dell’Italia. Ogni anno in Europa ne arrivano tre milioni. In Italia sbarcano otto decimi e sono e sono di passaggio, cioè diretti a stabilirsi in Francia e Germania. Detto diversamente: in seno all’Ue l’Italia funziona come primo paese di ingresso, ma come numero di richiedenti asilo scende al quinto posto.
Ad averne tre volte di più è la Germania, e due volte di più la Francia. Al presidente della Repubblica Sergio Mattarella dobbiamo chiedere la ragione per cui ha approvato la creazione di questo governo affidandola a personaggi non di rado privi di ogni competenza e responsabilità.