Matteotti nel ricordo di Gobetti
Il coraggioso discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 30 maggio 1924 da Giacomo Matteotti per denunciare i brogli elettorali, le violenze e le intimidazioni commesse dai fascisti nel corso dell’ultima campagna elettorale, conclusosi con la richiesta d’invalidazione dei risultati, segnò la sua condanna a morte. Lui stesso ne fu perfettamente consapevole, tanto da invitare, una volta terminato l’intervento, i suoi compagni di partito a preparare il discorso funebre da pronunciare al suo imminente funerale. E così, purtroppo, avvenne. L’assassinio di Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924, mise in serie difficoltà Mussolini e il governo da lui presieduto sembrò barcollare pericolosamente. L’Italia intera si mostrò sconcertata e incredula. Sui giornali e nelle piazze si chiese con forza la verità e la punizione dei colpevoli. Con quell’atto violento e disperato i più irriducibili fascisti della prima ora intesero in realtà costringere Mussolini a chiudere definitivamente con le istituzioni democratiche per imboccare la strada del regime. Giunti a quel punto, o si reggeva il colpo o il regime sarebbe crollato. Mussolini, dopo lo sconcerto iniziale, il 3 gennaio 1925, decise di assumersi in Parlamento ogni responsabilità storica, politica e morale di quanto accaduto, dando così il via alle leggi liberticide e ai Tribunali Speciali nei confronti degli oppositori politici. D’altra parte la decisione dell’opposizione di abbandonare il Parlamento e ritirarsi sull’Aventino non fece altro che facilitare quel disegno criminoso.
La figura del segretario del PSU e il coraggio da lui dimostrato impressionarono molto Piero Gobetti, un giovane intellettuale torinese di matrice liberale, da tempo sotto stretta sorveglianza da parte della polizia politica. In rapporto con molti antifascisti della Torino operaia e socialista, si era già distinto come un organizzatore indefesso, tanto da fondare e dirigere nel corso della sua breve vita le riviste Energie nuove, La Rivoluzione Liberale e Il Baretti, ai quali collaborarono i più illustri intellettuali italiani. Mussolini consapevole del pericolo rappresentato da quel giovane intelligentissimo ed eretico, fece di tutto per farlo tacere: sequestri dei giornali, minacce e infine feroci pestaggi. L’ultima aggressione fisica subita lo porterà alla morte nel 1926 nell’esilio francese. Della sua ricca produzione politica particolare significato riveste dunque il saggio-ricordo di Matteotti che volle pubblicare il 22 giugno 1924 su La Rivoluzione Liberale. Si tratta di un profilo del martire socialista che mira ad evidenziare lo stretto intreccio tra politica e morale che aveva caratterizzato tutta la vita politica di Matteotti. Gobetti aveva incontrato Matteotti una sola volta nel marzo 1924 al discorso di Turati a Torino. Con loro c’era anche Carlo Rosselli: allora Matteotti, aveva 38 anni, Gobetti nemmeno 22.
Da quell’incontro ne aveva tratto un incancellabile ricordo: “Nella fronte corrugata a serietà, negli occhi pensosi, nelle labbra atteggiate a tagliente ironia avvertii un vero stile di oppositore…Ci vuole un’intelligenza fredda e calcolatrice per scoprire l’avversario vero in Matteotti, l’oppositore più intelligente e più irriducibile…Non era dotato delle qualità decorative, che quasi sempre si trovano in un capo, ma ne possedeva l’energia, l’inflessibilità, il fascino personale”. In Matteotti apprezzava la concretezza e l’operatività espressa in una “ascetica solitudine” che lo distingueva dentro il partito e lo contrapponeva all’Italia ufficiale retorica, sempre votata al compromesso. Queste le sue parole: “Eretico e oppositore nel partito socialista, poi tra gli unitari una specie di guardiano della rettitudine politica e della resistenza dei caratteri: sempre alle funzioni più ingrate e alle battaglie più compromesse. Combatté tutta la vita il confusionismo dei blocchi, la massoneria, l’affarismo dei partiti popolari”.
Per Gobetti rappresentava l’antitesi del dannunzianesimo, era l’Italia civile contro l’Italia retorica di una certa tradizione letteraria e “il nemico delle sagre”, come amava definirlo il giovane liberale piemontese. Per questo Matteotti era l’antitesi dell’Italia fascista per la sua personalità intransigente e pronta al sacrificio in nome di principi quali la giustizia, la legalità e la verità. Per Gobetti, Matteotti “non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti. Ma la sua attenzione era poi tutta al momento d’azione intermedio e realistico: formare tra i socialisti i nuclei della nuova società: il comune, la scuola, la cooperativa, la lega”. Gobetti apprezzava l’idea di un socialismo connesso all’iniziativa e al protagonismo dei lavoratori. Ma soprattutto apprezzava il coraggio civile e la testimonianza di libertà dimostrata da Matteotti che, a conclusione del suo ritratto, volle così riassumere: “Egli rimane come l’uomo che sapeva dare l’esempio”. Circa il suo assassinio Gobetti non si illuse certo di scoprire la verità e costringere Mussolini alle dimissioni: “Non saremo così ingenui da chiedere che si faccia giustizia dell’assassinio del nostro amico. In certi casi la giustizia diventa il problema di due civiltà, di due principi in lotta.
Se l’opposizione ha un compito deve smascherare il gioco del mussolinismo che tende, liquidando qualche alto personaggio del fascismo, a creare un altro piedistallo al duce paterno, normalizzatore e addomestificatore”.
Nei primi giorni d’agosto del 1924 Gobetti pubblicò presso la sua casa editrice il libretto Matteotti. Il libro ebbe grande diffusione durante la resistenza, facendo di Matteotti e di Gobetti due icone assolute della lotta per la libertà.
da Fabrizio Montanari