di Graziano Luppichini.
Si presenta un personaggio scomodo a Sanremo ed il “Barbaro padano” inizia a movimentare la “ganascia” come usava fare Costanzo Ciano, rilasciando torbide dichiarazioni quasi ad intimorire chi poi si presenterà davanti alle telecamere per la diretta: fosse in galera, gli si applicherebbe forse il 41bis, ma essendo uomo di strada e non di legge, evito di avventurarmi in giudizi che potrebbero influenzare qualche giudizio in tribunale. Detto questo, veniamo al punto. Ciò che scrive il direttore de “La Verità” non fa altro che confermare quanto la Paola Enogu ha affermato nel suo monologo “frenato” appunto dalle polemiche salviniane prima che andasse in onda in diretta dal palco dell’Ariston. Mario Giordano, che porta immeritatamente nel cognome il nome di chi, in ragione di una verità si fece bruciare in Campo dei Fiori, è l’esempio palese di quanto sostenuto dalla campionessa durante il suo intervento, ossia che spesso le frasi attribuitele altro non sono che estrapolazioni da un contesto più generale, o semplicemente operazioni di copia/incolla ormai tipiche delle fake news presenti sui social. Non mi va di contestare aprioristicamente l’articolo del giornalista, ma vorrei puntualizzare alcune cosucce. La nostra pallavolista, nata in Italia (fosse nata negli USA tanto apprezzati da Giordano, sarebbe stata americana dal primo vagito), fino ai sedici anni è risultata essere apolide, quindi senza nessun diritto di tutela dall’essere cittadina di uno Stato del mondo, assumendo poi la cittadinanza italiana, non già per i meriti sportivi, visto che lì gareggiava come Sivori, Jorginho o Montuori (primo nazionale azzurro di colore e capitano) da oriunda, ma quando agli stessi genitori fu dato il riconoscimento. E se nell’intervista a Vanity Fair, presentando il suo libro autobiografico “In ginocchio da te”, ha fatto un’analisi da ragazza giovane, sul mondo futuro che l’aspetta, su quella che lei vede l’Italia, beh allora proprio Giordano si fa un autogoal. Sa bene il direttore de “La Verità” di possedere delle doti che però non sono paragonabili a quelle di Fontana o di Giannini, altrimenti dirigerebbe il Corriere della Sera o La Stampa, così come Egonu sa bene delle sue doti di fortissima schiacciatrice, ma anche dei suoi limiti come atleta e come persona, a cui fa male essere presa di mira dai giornalisti in prima persona, proprio per i sacrifici che fa sulla sua pelle e sacrificando anche la famiglia con cui rinuncia a stare insieme per un bene più alto che è il lavoro che assolve dl quale, lo dice bene, ottiene soldi e popolarità, in contesto diverso da quello del nonno di Giordano, del nonno mio e del nonno di Fedez o della Ferragni costretti a lavorare nei campi, o a turni massacranti in cava o in fabbrica. Il vero problema, è che il malcelato razzismo italico di un popolo buonista, ma ancora profondamente razzista, è quello che Giordano vuol far trasparire nell’animo degli altri, gettando lui i semi di ciò che ha nel cuore: nessuna persona, anche la più sfortunata, mette in dubbio l’essenza della vita, il coraggio e la forza di viverla seppur consapevole delle proprie limitazioni: più che mai tutto ciò lo potrà comprendere una donna o un uomo di sport che mette l’impegno massimo per raggiungere un obiettivo, sia quello di una vittoria, sia quello di riuscire a darsi delle opportunità e successi, nel lavoro e nella vita. Ed è questa una dimensione che vale per tutti, indipendentemente dal colore del bicchiere che contiene acqua sorgiva come ricordava la collaboratrice speciale di Amadeus sul palco dell’Ariston, dalle tradizioni culturali di provenienza, dalla religione di appartenenza; vale per Paola Egonu e per Bebe Vio, vale per Ganna come per Zanardi, vale per il Maestro Riccardo Muti come valeva per Ezio Bosso. Permane però, in ciascuno di noi, la preoccupazione del domani, caro direttore de “La Verità” che poi è quella che dice lei e per la quale, stia tranquillo, nessuno l’arderà a Campo dei Fiori. Finita la sbronza di vanità, l’ebbrezza del successo, tornata ad essere una tra le tante donne (o uomo che sia, questo vale poco, se non per l’imposizione di genere) comuni, quali saranno le condizioni di affrontare la realtà del quotidiano? e per i figli? e se saranno frutto di adozione: chi ci sarà per loro nel dopo di noi? quale società li accoglierà e saprà farne dei figli al pari di una figlia del successo, magari senza il successo? e quale sarà ancora considerato successo: l’affermarsi della bellezza e della visibilità mediatica, oppure quello del lavoro, dell’abnegazione e della ricerca spesso solitaria e sconosciuta.