di Aldo Repeti
È fin troppo scontato considerare il mondo calcio in Italia come lo specchio della società. Il moralismo a là carte è un brutto vizio nel nostro Paese. La necessità, spesso la morbosità, di dover giudicare gli altri, presumendosi moralmente “giusti”, fa velo sul necessario approfondimento delle situazioni, ovvero sulle ragioni che hanno scatenato “la” questione. Giudicare è più semplice e mentalmente meno impegnativo, consente di rimanere nel gioco dicotómico: giusto/sbagliato, colpevole/innocente. Approfondire significa comprendere, farsi carico di tutte le ragioni in campo e non solo di quelle utili a definire la propria posizione nel gioco dicotomico. Mancini si è dimesso da commissario tecnico della nazionale. Subito giornalate, tutte omologate, nel sostenere che le ragioni risiedessero in un imminente contratto con i miliardari arabi. Nessun dubbio che le ragioni potessero essere altre. Eppure quantomeno la storia personale di Mancini, può piacere o meno, risultare simpatico o meno, è contraddistinta da serietà e professionalità ed avrebbe dovuto e potuto consentire il sorgere di un dubbio. Niente: venduto all’avidità del dio denaro!
Ma anche se fosse vero, quanta ipocrisia in queste reazioni.
Da troppi anni il calcio è solo un business, in cui girano fior di milioni. In cui già allenatori e calciatori di serie A percepiscono al minimo 3 milioni all’anno, ovvero 250.000€ al mese e senza contare il quantum derivante dagli sponsor!
Certo le cifre arabe sono esorbitanti ma già in questa condizione il circuito di soldi che gira nel calcio è intollerabile. Quindi è ipocrita indignarsi per il fatto che allenatori e calciatori si “vendano” al miglior offerente. È il mercato!
Ciò detto, però, fosse vera la motivazione “dei soldi” per Mancini, si aprirebbe una riflessione sui modi che lo hanno spinto alle dimissioni. Ovvero tempistica e modalità farebbero venir meno, nel caso, la caratteristica di serietà e professionalità del soggetto che, dopo aver ricevuto maggiori responsabilità ed in una fase delicata per le qualificazioni al campionato europeo, abbandona la nave creando serie difficoltà.
Ma anche qui, un conto sarebbe il giudizio sulla scelta di Mancini, altro metterlo sulla “forca” quale unico imputato.
Eh si! Perché quando De Laurentiis a proposito della clausola che lega Spalletti al Napoli, sostiene che è “l’intero sistema del calcio italiano, che deve spogliarsi del suo atteggiamento dilettantistico per affrontare le sfide guardando al rispetto delle regole delle imprese, delle società per azioni, del mercato. Ma fino a quando si consentirà che la ‘regola’ sia la ‘deroga’ il sistema calcio non si potrà evolvere..”. E poi ancora aggiunge “che si arrivi a poche settimane da due gare molto importanti della Nazionale, subendo le dimissioni dell’allenatore Roberto Mancini, si pongono due considerazioni da fare: non si sanno tenere i rapporti con i propri collaboratori inducendoli alle dimissioni; mancano strumenti giuridici idonei a trattenere gli stessi determinando il rispetto dei contratti sottoscritti anche attraverso la previsione di specifiche penali“.
Ebbene proprio per evitare anche qui moralismi che vadano a crocifiggere De Laurentiis, bisognerebbe analizzare quanto dice e comprendere che tutto sommato non sostiene una tesi folle. Perché pretendere deroghe contrattuali da società che fanno impresa cavalcando moralmente il rispetto del ruolo della Nazionale calcio? Quali tutele sono oggi in campo per garantire dignità alla nostra Nazionale? Quali tutele per i calciatori che dovrebbero vestire la maglia della Nazionale se consentiamo che le squadre fucina schierino in campo spesso 9/11 di stranieri? Quale appetibilità ha guidare o giocare per la Nazionale quando è palese che è considerata dagli stessi club più un prezzo da pagare, un peso, piuttosto che un investimento?
Anche in questa occasione, l’unica strada che si vuol perseguire è quella di far scendere in campo un peloso moralismo che serve per additare il colpevole (Mancini) ma non per proporre soluzioni alle domande che tale vicenda lascia sul terreno. Più facile crocifiggere Mancini che trovare soluzioni radicali nel mondo del calcio.
In ultimo, sembra che le vere ragioni delle dimissioni di Mancini, siano attribuibili a divergenze di vedute fra lui ed il Presidente Gravina sul nuovo staff del commissario tecnico che sarebbe stato solo “subito” da Mancini.
E qui entra in campo la seconda parte delle considerazioni di De Laurentiis. Se non c’è fiducia nel commissario tecnico tanto da cambiargli lo staff introducendo persone scelte dal presidente, non sarebbe più logico cambiare il commissario tecnico anziché “commissariarlo”? Quali “sentimenti” può nutrire una persona che sente di non godere più della fiducia tanto da essere commissariato? Anziché subdole manovre di ridimensionamento di Mancini, non era più lineare esonerarlo dopo l’eliminazione dalla qualificazione mondiale? E quindi una domanda: possibile che Gravina sia in questo contesto la vittima e Mancini l’uomo nero da additare? Chi deve riformare il calcio chi ha l’onore di esaltare i valori sportivi alla base della Nazionale di calcio? I protagonisti, leggi i calciatori, certamente , ma le istituzioni debbono essere passive? Gravina non ha responsabilità su questa farsa di ferragosto?