Con una fierezza da cavaliere della tavola rotonda la Meloni, da Vespa, ha giurato: “Il no al Mes sono pronta a firmarlo col sangue”. Non si comprende bene se il suo giuramento si riferisca all’adesione, che ancora manca della sola Italia, alla partecipazione e alla riforma del Meccanismo europeo salva Stati istituito nel 2012 o al suo utilizzo. Nè se la sua contrarietà si riferisca anche alla cosiddetta linea sanitaria messa a disposizione in piena pandemia per un ammontare di 36, 37 miliardi praticamente senza interessi e senza i condizionamenti del Mes originario, che peraltro non hanno distrutto nessuno visto che Paesi ora solidi come Irlanda e Spagna ne hanno fatto uso. La contrarietà della Meloni, dubito che Forza Italia sia concorde, mentre il ministro Schillaci aveva aperto alla sua utilizzazione sanitaria visti i fondi insufficienti a disposizione, pare oggi trasformato in un niet totale e categorico proprio nel giorno in cui crollano banche e non solo in America e il fondo potrebbe risultare utile per tanti investitori in difficoltà e a rischio default. Ma circoscriviamo il problema al Mes sanitario. In un Paese che impiega un anno per una Tac e che con tempi biblici impegna un servizio per un’operazione chirurgica 8 o 9 miliardi da spendere sarebbero come la manna dal cielo. Perché la Meloni si rifiuti è presto detto. La sua contrarietà appartiene alle dimensioni di un dogma ideologico, mascherato con supposti dichiarati rischi di mercato (chi accede al Mes verrebbe considerato con sospetto in Europa). Questo dogma unisce Meloni e i Cinque stelle in un micidiale intruglio di falso sovranismo e populismo. E di conseguente riserva per molte operazioni comunitarie. Basta pensare alle direttive e alle disposizioni europee in fatto di auto elettrica, di adozione delle coppie omosessuali, di messa in sicurezza degli edifici e di messa all’asta delle gestioni delle spiagge. Ormai non si contano le misure europee che il governo sta contrastando. D’altronde la Meloni, rispondendo al renziano Marattin ad un Question time alla Camera, ha esplicitamente ricordato che il 25 settembre l’elettorato non l’ha votata per far quello che fa la Germania. Come dire: l’Italia sa far da sola. Bene, ma il rischio di finir fuori strada può risultare molto alto. E la solitudine nel mondo globale puo facilmente trasformarsi in emarginazione.
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.