di Lucia Abbatantuono.
“La peggiore tirannia è quella delle parole. Per apprendere di nuovo e seriamente a pensare con lealtà bisognerebbe cominciare a rimettere un po’ d’ordine nel nostro linguaggio, specialmente politico“. Così Ignazio Silone nel 1965, tra le pagine della sua raccolta “Uscita di Sicurezza”. E l’attualità della sua riflessione non può lasciarci indifferenti, specialmente quando raggiunge vette di tale limpidezza da sembrare profezia. Come quando sostiene: “Il dovere più importante degli intellettuali detti di sinistra è apprendere dal popolo le sue verità, anche quelle nascoste, e fargli conoscere le nostre“.
Un monito tanto semplice quanto aspro, considerando che gli attuali vertici della nostra politica sembrano aver del tutto perso ogni minima capacità di rapportarsi ai cittadini.
Capacità che, invece, sembra acuirsi ad ogni tornata elettorale nei rappresentanti di questa destra pigliatutto. O meglio, nella loro nuova veste di attenti ascoltatori delle masse e professionisti della comunicazione mediatica, requisiti ai quali la Sinistra continua a mostrarsi assente. Oppure ha scelto di abdicarvi?
Anche quando passa ad esaminare lo stato dei fatti mettendosi dalla parte dei votanti, Silone non perde il suo acume sociologico: “Alla generale insicurezza personale, corrisponde la ricerca affannosa da parte dei singoli di una qualche protezione in uno dei partiti di massa, il che non esclude affatto il doppio gioco con il partito avversario, possibile vincitore di domani“.
È cambiato qualcosa, in questi 60 anni? Dovremmo chiedercelo con l’umiltà e la curiosità dei padri fondatori della nostra Sinistra, nei confronti dei quali Silone già si poneva in veste di sconfitto testimone nell’epoca del primo disincanto, che portò di lì a poco al Sessantotto e agli Anni di Piombo.
“Se le critiche ideologiche e le campagne morali non scuotono la compattezza dei partiti di massa e lasciano indifferenti la maggior parte degli iscritti” – continua Silone – “ciò accade appunto perché son ben rari quelli che vi aderiscono per un’intima convinzione ideologica. A questa disposizione opportunistica dei singoli, ossessionati dalla propria sicurezza e da quella della propria famiglia, corrisponde la tendenza usurpatrice degli enti collettivi“. E ancora, di fronte alla chirurgica schiettezza di simile analisi, dovremmo chiederci cosa abbiano fatti finora i leader di Sinistra per recuperare una situazione già tanto compromessa.
Specie considerando il successivo e ancora più amaro verdetto di Silone, quando confida: “A dire il vero, non saprei indicare quale collettività, oggi, possa considerarsi immune dalla lebbra del nichilismo. Si direbbe addirittura che la vita associata crei le temperie più favorevoli all’incubazione dei suoi germi. Come è monotona la stupidità umana. Il meccanismo mortifero è sempre lo stesso: ogni gruppo o istituzione sorge in difesa di un ideale, ma strada facendo si identifica con esso e poi vi si sostituisce, ponendo al vertice di tutti i valori i propri interessi. I vantaggi non sono trascurabili poiché l’abdicazione da ogni responsabilità personale è completa“.
E per quanto riguarda la netta perdita di sostegno che la Sinistra registra da qualche anno proprio tra le fila di chi da sempre ha rappresentato il suo bacino elettorale più affidabile (i lavoratori), sempre Silone non manca di lucidità nell’asserire che “L’operaio può essere un attivista delle cause più opposte: può essere camicia nera e partigiano, boia e vittima. O più semplicemente, nei paesi ricchi e tranquilli, un pigro filisteo senza ideali, assicurato contro la disoccupazione, contro la vecchiaia, contro le malattie, e anche contro il pericolo che le società di assicurazione falliscano. Ma, di preferenza, nei paesi come il nostro, a causa della sua relativa semplicità, il proletario può essere una facile preda degli opposti estremismi. Egli può essere ancora Cristo, il povero Cristo che prende su di sé peccati degli altri e si sacrifica per tutti; e può essere anche Barabba, un ignobile Barabba totalitario, calpestatore di tutto ciò che nel prossimo è di più umano. Comunque, sulla scena, esso continua a fare figura di protagonista“.
È importante, ancora una volta, considerare che sono trascorsi 60 anni da quando questo intellettuale ha espresso le sue paure, e oggi si fronteggia esattamente quello che egli aveva paventato con tale sicurezza allora.
“Il proletario è il deus ex machina della politica moderna. Sarebbe ingenuo illudersi di poter abolire questo rapporto di forze. Che sciocchezza, credere che una democrazia possa reggersi alla lunga, contro gli operai, mediante la polizia e i tribunali. Per la posizione che i lavoratori occupano nel processo produttivo, per il loro numero, per la loro maggiore compattezza e omogeneità sociale, l’orientamento che in ogni paese essi assumono costituisce il fattore decisivo del destino politico. Non ve n’è di più potente; la libertà degli uomini ne dipende, e tutto il resto. Ma poiché non è più la classe, bensì la coscienza che decide, allora siamo da capo. La scelta che ci si impone è duplice: la classe e nella classe“.
Riscoprire Silone, scrittore e intellettuale, con ben dieci candidature al Nobel, oggi non sarebbe affatto male, magari considerando proprio il suo percorso politico.
Fu uno degli ispiratori della nascita dell’area culturale e politica del socialismo italiano. Poi nel 1921, a Livorno, seguì Bordiga e divenne, nel PCI, l’uomo degli esteri, approdando a Mosca dove coltivò i rapporti con la nomenklatura sovietica. Nel 1930 ampie riflessioni sulla realtà comunista lo riportarono a casa, nella famiglia socialista. Nel 1947 all’interno del PSI abbracciò l’autonomismo sfidando Nenni e schierandosi contro la scelta filocomunista del “fronte popolare”. Nel 1946 fu eletto nell’Assemblea Costituente come esponente di punta del Partito Socialista, per poi fondare l’anno successivo (insieme a Saragat) il Partito Socialdemocratico, costola nata dalla scissione di Palazzo Barberini.
Sì, riscoprire il socialismo democratico ed europeo di Ignazio Silone non sarebbe affatto male: una medicina assolutamente necessaria.