Alcuni dati sono senza dubbio preoccupanti, come gli indicatori del benessere dei giovani: quelli italiani sono ai livelli più bassi in Europa e, nel 2022, quasi la metà dei giovani tra i 18 e i 34 anni riporta almeno un segnale di deprivazione, specialmente nei campi dell’istruzione e del lavoro. Un milione di italiani tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione, rappresentando una fetta di popolazione che a livelli europei è più bassa solo rispetto a quella della Romania. Ne consegue un tasso di disoccupazione giovanile davvero elevato (il 18%, superiore di 7 punti rispetto a quello medio europeo). Per quanto riguarda, invece, gli ultracentenari, l’ISTAT sottolinea che non sono mai stati così tanti in Italia. Sono 22mila, cifra che raggiunge il suo più alto livello storico, e gli scenari demografici ne prevedono un consistente aumento in futuro: nel 2041 la popolazione di ultraottantenni supererà i 6 milioni e quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni. Del resto, si tratta di un’evidenza collegata al fatto che il nostro Paese invecchia sempre di più, tanto da fissare l’età media a 46 anni. Il dato emerge nonostante l’elevato numero di decessi registrato negli ultimi tre anni a causa della pandemia Covid.
Interessante il capitolo che l’ISTAT rubrica alla voce “trappola della povertà”: lo stato di indigenza sembra infatti passare di padre in figlio, come fosse un’eredità inalienabile, ed è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. Quasi un terzo degli adulti a rischio povertà proviene da genitori che, a loro volta, da giovani versavano in cattive condizioni finanziarie.
E lo scenario non è roseo neanche spostando l’attenzione sui salari degli italiani, che sono inferiori rispetto alla media europea di circa 3.700 euro annui.
La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media UE a parità di potere d’acquisto.
Inoltre, una famiglia su quattro risulta ancora in povertà energetica nonostante abbia beneficiato dei bonus sociali per l’elettricità e il gas. L’Istat sottolinea, a tal proposito, che “l’impatto della crescita dei prezzi dei beni energetici è stato relativamente più pesante per le famiglie con più bassi livelli di spesa“.
Tra le previsioni di medio/lungo periodo, l’Istituto di statistica ha anche calcolato che nel 2041 la popolazione italiana in età da lavoro si ridurrà di oltre il 12%, causando una molto probabile perdita di 3,6 milioni di occupati. In termini geografici, l’entità della riduzione della forza-lavoro sarà maggiore nel Mezzogiorno, mentre il Centro-Nord sarà favorito dall‘aumento delle migrazioni interregionali. Ma tra il 2021 e il 2050 è pure attesa una riduzione della popolazione residente fino a quasi 5 milioni, cosa che affiancherà il continuo processo di invecchiamento generale.
Dal rapporto emergono anche altri dati che definire curiosi sarebbe eufemistico: nel nostro Paese circolano 673 auto ogni 1000 abitanti, al top nell’Unione Europea, dove soltanto Polonia e Lussemburgo superano questo valore pro capite. Per avvalorare questo dato l’Istat ricorda che circa un terzo delle famiglie italiane è insoddisfatto dei trasporti pubblici. Vogliamo elementi ancora più allarmanti? Oltre la metà degli edifici scolastici risultano difficilmente raggiungibili utilizzando i soli mezzi pubblici. E se non bastasse la logistica a disamorare gli italiani dalle istituzioni scolastiche, l’ISTAT aggiunge che da noi la spesa pubblica per istruzione in rapporto al PIL mostra un minore impegno del nostro Paese per questa funzione rispetto alle maggiori economie europee (4,1 per cento del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, ad esempio).
Spaventano anche i dati idrici: mai così poca acqua in Italia, al minimo storico nel 2022 è al minimo storico, e quasi il 50% in meno rispetto all’ultimo trentennio 1991-2020. E questo problema “naturale” si affianca invece al suo gemello “artificiale”: l’ISTAT mette in guardia sulla “persistente criticità dell’infrastruttura idrica italiana“dove, nel 2020, il 42,2% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile non arriva agli utenti finali.
Che spreco inammissibile. E deleterio, considerando che siccità e problemi di approvvigionamento idrico hanno influito pesantemente sull’annata agricola appena trascorsa, causando nei conti economici nazionali una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell’occupazione dell’intero settore agricolo. La conta dei danni è lunga: la flessione di produzione riguarda coltivazioni (-2,5% in volume), legumi (-17,5%), olio d’oliva (-14,6%), cereali (-13,2%), ortaggi (-3,2%) e perfino vino (-0,8%).
Eppure i sondaggi realizzati dall’ISTAT dimostrano che oltre il 70% degli italiani considera il cambiamento climatico e l’aumento dell’effetto serra come “preoccupazioni prioritarie“. Ma qualcuno li ascolta? A quanto pare no, leggendo i dati: siamo indietro nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e nella gestione dei rifiuti urbani: nell’ultimo triennio, ad esempio, sono rallentati i progressi della raccolta differenziata, che si attesta al 64% della raccolta globale, ancora al di sotto del target nazionale del 65% fissato per il 2012. Siamo indietro di dieci anni. O forse, semplicemente, non abbiamo davvero più tempo.