Di Lucia Abbatantuono
Anche stavolta la rivista “Time” non perde il suo appuntamento con la fatidica data dell’8 marzo, annunciando quali sono le sue 12 “Women of the Year”. Una per ogni mese dell’anno, sono dodici le personalità femminili che si sono particolarmente distinte nel loro specifico campo e che, soprattutto, usano la propria influenza per plasmare un mondo più giusto e più equo. Donne dalle storie singolari, di origini diverse ma accomunate dall’intensità dell’impatto che hanno esercitato ed esercitano nel loro specifico ambito per promuovere il cambiamento globale (dall’attivismo al governo, dallo sport alle arti) e tutte si incontreranno al gala organizzato dal Time a Los Angeles in loro onore, e in onore di tutte le donne per celebrare la loro giornata.
Alcune di esse hanno affrontato sfide immani, come la giornalista e scrittrice Aniella Franco, che dal 2018 dopo l’assassinio di sua sorella Marielle (consigliera nella municipalità di Rio de Janeiro e sostenitrice dei diritti LGBTQ), conduce una massiva campagna contro la violenza e la corruzione della polizia, e lo fa nelle vesti di attuale ministro per l’uguaglianza razziale del nuovo governo Lula, trasformando la rabbia in azione: “Ho perso la paura quando hanno ucciso mia sorella” – dice la Franco – “Ora combatto per qualcosa di molto più grande di me, ma non mi fermo“.
Accanto a lei, una donna che è simbolo di tutte coloro che protestano da mesi contro l’hijab obbligatorio, e non solo, provocando le continue reazioni del regime di Khamenei: Masih Alinejad è la giornalista che vive con figlio e marito negli USA, in un rifugio segreto protetto dall’FBI, da quando è stata esiliata da Teheran nel 2009; da sempre grida contro le restrizioni imposte alle sue compatriote, definendo l’hijab obbligatorio un “muro”, cosa che le è valsa un tentato rapimento nel 2021, cui è riuscita a fuggire eludendo gli sgherri del regime iraniano; ma non basta: l’anno scorso il Dipartimento di Giustizia statunitense ha svelato l’esistenza di una cospirazione per assassinarla. Il suo impatto mediatico è altissimo: su Instagram è seguita da oltre nove milioni di giovani, e le sue parole emozionano: “La Repubblica islamica ha i giorni contati” – sostiene Masih – “Le parole significano: perché sono una donna, fiorisco attraverso le mie ferite“.
Non può mancare, mai come quest’anno, una donna che venga dall’Ucraina e dall’Ucraina lanci la sua preghiera di pace immediata: questa è Olena Shevchenko, che ha passato anni a difendere i diritti delle donne e LGBTQ, subendo ben sette attacchi personali di violenza diretta, ma questo non è bastato a impedirle di fondare a Kiev, nel 2017, l’organizzazione no profit Insight, nè a spezzarle il coraggio di denunciare che “la maggior parte degli aiuti umanitari non tiene conto delle persone con disabilità e il livello di violenza sessuale durante la guerra è inimagginabile“.
Un’altra Donna dell’Anno è Ayisha Siddiqa, poetessa pakistana, che ha visto gli effetti devastanti del cambiamento climatico sulla sua comunità ed è stata ispirata a parlare, pronunciando un potente discorso alla Conferenza ONU sul clima dello scorso novembre in Egitto, sull’urgenza della giustizia climatica: “Sono cresciuta con l’idea che la terra è un essere vivente, che ti dà la vita e in cambio hai una responsabilità. E penso che, collettivamente, siamo arrivati a un punto in cui stiamo ignorando le grida di madre terra” – dichiara Ayisha.
Arriva invece dal Messico un’altra Donna simbolo del 2023, la femminista Véronica Cruz Sánchez, che è anche la prima attivista messicana in assoluto a battersi per i diritti umani e a ricevere nel 2006 il premio Difensore dei diritti umani da Human Rights Watch, proprio per il suo operato: è lei, infatti, che ha garantito alle messicane l’accesso ai servizi legali e medici, aiutandole a superare in sicurezza le restrizioni all’aborto. Al suo fianco si schiera anche un’altra Donna esemplare, la giovane musicista indie-rock Phoebe Bridgers, che ha a lungo mescolato la sua arte con l’attivismo, e pochi mesi fa ha dichiarato ai media sia di aver subito violenze negli ambienti discografici e di aver abortito, ma lo ha fatto evidenziando il valore della trasparenza: “Più sono onesta“ – dice – “e più il mondo continua ad aprirsi per me“.
Di identica, ma differente forza, è fatta un’altra Donna dell’Anno, Makiko Ono, la manager giapponese che a breve diventerà CEO della Suntory Beverages, una delle aziende di food & beverage più grandi al mondo: con un valore di mercato pari a circa 10,4 miliardi di dollari, Suntory è l’azienda di maggior valore a guida femminile in Giappone, dove meno dell’1% delle aziende quotate ha una donna come CEO. Come riporta il Time, le donne giapponesi ai vertici delle società pubbliche sono solo l’8%, cifra irrisoria rispetto al 26% degli Stati Uniti e al 45% della Francia. E questo nonostante il Giappone sia la terza economia più grande del mondo: del resto, questo paese si è piazzato solo 116esimo su 146 paesi della lista annuale sul Gender Gap edito dal World Economic Forum nel 2022: Makiko può e deve essere, quindi, slancio ed esempio per tutte le prossime dirigenti giapponesi. E non solo giapponesi, considerati i livelli di disparità di genere registrati anche in Italia.
Rilevanti nel 2023 sono state considerate anche tre attrici: Cate Blanchett, Angela Bassett e Quinta Brunson. La prima, con quasi 3 oscar sul caminetto e innumerevoli altri premi cinematografici, da sempre lotta per il cambiamento sociale servendosi della sua indiscussa leadership a Hollywood. Gli stessi ruoli da lei scelti negli anni, hanno riportato davanti alle telecamere molteplici testimonianze di quanto varie e differenti siano le sfaccettature di ogni donna, ciascuna fondamentale. “Siamo coraggiosi, siamo nobili, siamo generosi, siamo collaborativi” – afferma la Blanchett proprio nel suo ultimo grandioso film- “Ma siamo anche il lato oscuro di questo, perché le donne sono esseri complessi e creature imperfette”.
La sua collega Angela Bassett potrebbe ripetere le medesime parole, ma lo farebbe come simbolo della cultura afroamericana, di cui è tuttora regina incontrastata. Con loro anche un’altra giovane attrice è rientrata nelle Best Twelve del 2023, la giovane Quinta Brunson, che come produttrice di una delle serie più amate dei teenager, è riuscita a delineare un quadro satirico ma compassionevole sul mondo di insegnanti, bidelli, presidi e genitori che cercano di sbarcare il lunario in una scuola pubblica sottofinanziata, una come le tante che ovunque nel mondo cercano di educare al meglio (nonostante tutto e tutti) generazioni migliori.
Tra le 12 Donne dell’Anno c’è anche la calciatrice statunitense Megan Rapinoe, centrocampista della nazionale a stelle e strisce, nonché pallone d’oro nel 2019: dichiaratamente lesbica, da anni si batte per la parità retributiva tanto agognata nell’ultra-maschilista mondo del calcio. E ci sta riuscendo: a settembre le squadre femminili e maschili americane hanno firmato storici accordi di contrattazione collettiva che garantiscono non solo modalità retributive identiche per le presenze in nazionale e per le vittorie nei tornei, ma anche la condivisione delle entrate e un’equa distribuzione dei premi in denaro della Coppa del Mondo.
E’ sportiva anche l’ultima (ma non ultima) Donna dell’Anno, Ramla Ali, che è stata la prima pugile somala a competere ai Giochi Olimpici ed è attualmente ambasciatrice globale del marchio sia per Cartier, che per Dior. Nonostante la fama, Ramla non ha mai smesso di tenere alta l’attenzione sulla grave e perdurante crisi dei rifugiati somali e africani. Già nel 2018, infatti, fondò il Sisters Club, un‘organizzazione no-profit che offre lezioni di boxe alle donne con difficoltà nell’avvicinarsi allo sport, quindi specialmente a quelle provenienti da minoranze etniche o religiose, ma anche le sopravvissute ad abusi domestici. In pochi anni il Sisters Club ha moltiplicato i suoi sforzi, con largo successo, fino a contare le odierne quattro sedi a Londra, una filiale a Los Angeles e un’altra a Fort Worth.
Signore e Signori, nel 2023 delle Donne il catalogo è questo.