Sono trascorsi due anni da quando gli Stati Uniti decisero di ritirarsi dall’Afghanistan. Oggi i riflettori sono puntati su altri territori e spesso concentrati sulla guerra in Ucraina e l’aggressione di Putin, ma non si può dimenticare quello che si e’ risolto con la sconfitta dell’ Occidente, e con l’abbandono ai talebani di un Paese che cercava di sottrarsi al potere dell’ ideologia religiosa. L’ intervento americano era iniziato nel 2001 a seguito degli attentati alle Torri gemelle dell’11 settembre come risposta ai talebani che avevano offerto ospitalità ai terroristi di matrice islamica. Ma non si era limitato a questo: l’obiettivo era quello di costruire istituzioni afgane moderne, di realizzare servizi pubblici essenziali, di garantire il rispetto delle diversità religiose e i diritti civili. In parte questo obiettivo era stato raggiunto: migliaia di profughi erano rientrati per ricostruire il Paese in cui la violenza, mai cessata, lasciava spazio alle conquiste sociali e al riordino logistico. Nelle grandi città, dove era presente il contingente italiano unitosi ai soldati USA insieme a quello di altre nazioni, si notava la nascita di una nuova e moderna classe di insegnanti e funzionari che arricchiva il Paese, i diritti umani, soprattutto quelli delle donne venivano parzialmente tutelati. Ma, dopo vent’anni dall’inizio dell’intervento la spesa per sostenerlo era divenuta eccessiva e un’azione militare che doveva durare limitatamente si prolungava eccessivamente convincendo la politica (sia nell’era Trump che con Joe Biden) e l’opinione pubblica dell’opportunità del ritiro. I talebani hanno messo in pratica una pressione di logoramento continuo puntando sulla stanchezza degli occidentali e alla fine hanno avuto successo portando in porto, con una trattativa segreta, l’uscita dal Paese delle forze occidentali e degli americani. Abbiamo ancora sotto gli occhi la fuga di migliaia di afgani spaventati dal ritorno dei talebani e dall’accusa di essere stati dei collaborazionisti degli americani e degli occidentali. Per quelli che non ce l’hanno fatta a scappare vi è ora la persecuzione da parte dei vincitori, in modo particolare per coloro che hanno una fede religiosa diversa. Ma per tutta la popolazione e’ iniziata due anni fa’, con il ritiro delle forze della Nato, una lenta ma costante involuzione. Ormai i talebani hanno mani libera e hanno emanato una serie di editti, ordini e disposizioni che hanno certificato la loro politiche di diseguaglianza. Chi ne ha fatto più le spese sono le donne. Sono arrivate le restrizioni e le limitazioni nel settore dell’istruzione e del lavoro. Inoltre e’ aumentata la rigidità per quanto riguarda l’abbigliamento. Infine si è aggiunta l’imposizione sulla libertà di movimento (con l’obbligo per certi spostamenti di accompagnarsi con una persona di sesso maschile) e la discriminazione per l’accesso ai luoghi pubblici. Questo stato di cose ha giàLe donn determinato migliaia di denunce da parte di governi stranieri, associazioni per i diritti umani, organismi globali. Ma il Governo talebano non le ha mai prese in considerazione. Hanno fatto però breccia nell’opinione pubblica e in modo particolare tra le donne. Ci sono state manifestazioni a Kabul e in altre città afgane dove le donne, con coraggio, hanno marciato per le strade chiedendo il diritto al lavoro e allo studio e la cancellazione delle norme illiberali e antidemocratiche. La risposta del regime è stata sempre la stessa: arresti e uso della violenza per disperdere le dimostranti.
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Autore. Alessandro Perelli è Vice Presidente di ALDA (Associazione del Consiglio d'Europa) e membro del Consiglio di amministrazione, in rappresentanza della Regione Friuli-Venezia Giulia, Italia. Dal 1980 ha lavorato alla Regione e dal 1999 presso il Servizio Relazioni Internazionali dove si è occupato di progetti e accordi di cooperazione internazionale fino ad agosto 2017. Dal 2000, anno in cui la Regione Friuli-Venezia Giulia è entrata a far parte di ALDA, Perelli ne ha seguito la vita associativa per conto della regione , facendo parte del Consiglio Direttivo, dove ricopre dal 2016 il ruolo di Vice Presidente. È particolarmente interessato all'area del Mediterraneo e alla creazione delle nuove Agenzie della Democrazia Locale in Tunisia e Marocco. Inoltre, Perelli ha seguito le attività delle Agenzie a Verteneglio, nell'Istria croata e Gyumri in Armenia con cui è associata la Regione Friuli-Venezia Giulia e Niksic in Montenegro di cui la Regione che rappresenta è capofila. Ha partecipato ai lavori preparatori della neonata Rete Balcanica per la Democrazia Locale (BNLD) svolgendo attività di promozione di ALDA in qualità di ambasciatore organizzando convegni di cui uno a Lecce con la presenza di enti e associazioni locali e uno all'Università di Trieste insieme a l'Associazione giovanile serba. Inoltre, per conto della Regione Friuli-Venezia Giulia, è entrato a far parte della Commissione Consultiva Nazionale sulla nuova Legge di Cooperazione e del Gruppo di Lavoro Interregionale Nazionale, occupandosi in particolare del tema dell'adesione dei Paesi dei Balcani Occidentali all' Unione Europea e alla creazione di un mercato unico, proseguendo la collaborazione con la Camera di Commercio serba anche dopo il suo pensionamento. Alessandro Perelli ha inoltre svolto attività politica come segretario provinciale del Psi, assessore e consigliere comunale di Trieste. Ha collaborato scrivendo articoli di politica estera per il quotidiano Avanti! i e oggi per la Giustizia online È anche presidente dell'Associazione Culturale "Socialisti liberali triestini".