Ai primi albori del socialismo “scientifico” marxista ai giorni nostri, il tema del lavoro è sempre stato fulcro delle discussioni socialiste, tant’è che v’è chi reputa il Lavoro unico vero pilastro portante della società.
Dai laburisti agli stalinisti un filo conduttore tiene legata la discussione socialista: Il lavoro è tutto.
Da buon eretico, mi chiedo invece se questo principio vada o meno messo in discussione.
Per farlo bisogna però comprendere le ragioni non solo filosofiche ma soprattutto pratiche del perché si sia arrivati a tanto; facendo un balzo nel passato, ci si rende conto che l’ozio e l’inoccupazione erano lussi, in primis che potevano essere goduti solo da individui di un certo ceto sociale ma và soprattutto denotato.
in una società perlopiù agraria che non aveva ancora goduto degli effetti di tutte quelle innovazioni tecnologiche che presto avrebbero preso piede, chi avesse goduto dei suddetti avrebbe automaticamente costretto i terzi che aventi invece l’ardire di rimboccarsi le maniche a farsi carico anche delle mancate fatiche dei primi, creando non poche ingiustizie.
Questo fatto, accompagnato da una mentalità tutta cristiana facente verso al suo famoso concetto del “Ora et Labora” e da previsioni ben poco lungimiranti di un certo saccente barbuto teutonico, ha portato allo sviluppo di quella mentalità lavorista ancora oggi difesa e propagandata da molti nostri compagni; trattasi però perlopiù di dogmatica fede che di razionale concezione.
Il perché lo si comprende prestando particolare attenzione alla continua, ascendente e violenta meccanizzazione e digitalizzazione dei processi produttivi, amministrativi et similia.
A differenza da quanto previsto dal sopracitato barbuto (e da quanto tuttora difeso dai suoi odierni seguaci) l’uomo sta scomparendo dai suddetti processi, tant’è che una delle maggiori sfide riservatoci dal futuro sembra essere l’impossibilità di garantire a tutti un lavoro; fatto già di per sé preoccupante, maggior modo in un contesto ove si vede il Lavoro come unico vero strumento necessario per potersi garantire l’accesso al diritto alla sopravvivenza, costola del diritto alla vita.
Questa realizzazione portano a pormi un quesito: Quanto ha ancora senso continuare a dare alito alla mentalità catto-comunista del Laboro Caput Mundi? 
Appurato che presto sarà non difficile ma bensì impossibile garantire a tutti un lavoro, visto e considerata la quasi totale meccanizzazione e digitalizzazione dei mezzi produttivi, la quale anche solleverebbe l’essere umano delle fatiche del lavoro per sé e degli abusi del lavoro per terzi.
non sarebbe forse il caso di rivedere le nostre posizioni sulla indiscutibile necessità del lavoro per poter garantire l’universale accesso alle risorse fondamentali alla sopravvivenza?
Non è forse quest’ultimo a dover essere obbiettivo fondamentale e indiscusso, indipendentemente dagli strumenti e dai processi grazie ai quali questi si realizzi?
Di Francesco D’Aguì
1 commento
LAVORO equivale a fare, si possono fare tante cose le une diverse dalle altre, i modi cambiano ma la sostanza è sempre quella, chi non fa non mangia, e questo da tanto tempo e per tanto tempo ancora.