Domenica 22 ottobre, data in cui si sono svolte le elezioni presidenziali, doveva essere il giorno della consacrazione di Javier Milei, l’economista di destra populista, candidato a succedere all’attuale Capo di stato Alberto Fernandez. Era infatti lui ad essere indicato favorito da tutti nei sondaggi in quella che era la più importante competizione elettorale del Paese. Addirittura taluni osservatori ritenevano che potesse trionfare al primo turno totalizzando, secondo quanto prevede la legge elettorale, un consenso superiore al 45% o con un distacco rispetto al secondo arrivato di più di dieci punti. L’Argentina è una repubblica presidenziale federale e chi viene eletto a questa carica guida anche il Governo.
Lo Stato sudamericano, ottavo per estensione al mondo, è diviso in 23 provincie e una città autonoma, Buenos Aires, che è la capitale e nella cui area metropolitana è concentrato un terzo della popolazione del Paese. In essa è presente una numerosa comunità di origine italiana frutto di storiche emigrazioni dei nostri connazionali. Ma le previsioni di voto sono state clamorosamente smentite. Dei cinque che si erano presentati, il candidato che ha avuto più voti eè stato il peronista Sergio Massa, leader della coalizione di centro sinistra Union por la Patria, che ha riportato il 36,7%. Massa, attuale Ministro dell’Economia, ha basato la sua campagna elettorale sulla necessità di raddrizzare la preoccupante situazione economica con un occhio di riguardo alle categorie più deboli. Ha difeso quanto resta del potere di acquisto della moneta nazionale, il peso, escludendo, se sarà eletto, ulteriori svalutazioni. Il suo obiettivo sarà quello di formare un Esecutivo di unità nazionale dando spazio a persone competenti e non scelte per la loro appartenenza politica.
Oltre a garantire ordine e sicurezza, Massa ha promesso di cancellare il debito con il Fondo monetario internazionale e di fare uscire il Paese dalla crisi economica con lo sviluppo del settore energetico e delle materie prime come il litio aderendo inoltre ai Brics. Diversa la ricetta di Milei, che ha ottenuto il 30%, molto meno rispetto alle aspettative. Definito il Trump argentino, amico di Jair Bolsonaro, che è giunto a Buenos Aires a sostenerlo, il capolista di Libertad Avanca si è impegnato a rompere i rapporti con tutti gli Stati comunisti, tra i quali la Cina, con la quale l’attuale Presidente Fernandez aveva instaurato parecchie relazioni commerciali. Ha sostenuto la necessità di chiudere la Banca Centrale e di fare uscire l’Argentina dalla “dollarizzazione”. Convinto antiabortista, promuove la privatizzazione di sanità, scuola pubblica e trasporti e ritiene i cambiamenti climatici una farsa della sinistra. Propugna anche la vendita libera di armi.
Il 19 novembre si svolgerà il ballottaggio tra questi due. Fondamentale sarà l’accaparramento dei suffragi andati alla candidata arrivata terza, Patricia Bullrich, della lista Juntos per il cambio, conservatrice legata all’ex Presidente Macri’ che ha fatto segnare il 23%. Gli altri due in corsa hanno riportato percentuali piuttosto basse. Ma è un vero rebus dove saranno diretti i voti della Bullrich. Anche se lei ha affermato che mai appoggerà il candidato dei peronisti, attua al potere, occorrerà verificare quanti appoggeranno Milei, le cui uscite a favore di una selvaggia privatizzazione non sono piaciute a una parte dell’elettorato conservatore, e quanti proprio per questo motivo non si recheranno a votare al ballottaggio.
Massa, da parte sua spera di raccogliere anche i voti dell’estrema sinistra e di tutti coloro che in questi anni si sono battuti per i diritti umani come quel settore, non indifferente per numero, della salute mentale che da tempo in Argentina è impegnato a seguire la riforma Basaglia italiana per la chiusura dei manicomi. Anche se i sondaggi, in queste ore danno leggermente favorito Javier Milei, visto anche la sconfessione delle previsioni elettorali al primo turno, domina l’incertezza. Del resto l’Argentina ci ha abituato alle sorprese. Il fatto che Sergio Massa, Ministro dell’economia di un Paese vicino al default e con più del 40% della popolazione in stato di povertà, sia risultato il più votato domenica 22 ottobre la dice lunga sull’affidabilità dei sondaggi sugli orientamenti politici degli argentini.