Tre cose andrebbero meglio precisate a proposito dell’indagine Ocsa e Eurostat sulla media dei salari italiani, che sarebbero tra i più bassi d’Europa. Silvano Veronese, già segretario nazionale Uilm e segretario confederale Uil, precisa, nella lettera a Marco Andreini pubblicata a fianco, che il sindacato, in particolare la Cgil con il suo leader Maurizio Landini, quando denuncia i bassi salari si dà la zappa sui piedi da sola, perché é il sindacato l’autorità salariale e dunque più che una denuncia servirebbe un’autocritica. In effetti l’accordo tra parti sociali e governo Ciampi del luglio 1993 (esattamente un anno prima analogo accordo aboliva la scala mobile e la cosa passò quasi inosservata mentre sul decreto di San Valentino, che abrogava solo pochi punti in cambio di un raffreddamento dell’inflazione, il Pci e la componente comunista della Cgil decisero di promuovere un referendum perso nel 1985) apriva il necessario capitolo degli accordi aziendali come coronamento di quelli nazionali, in base a produttività e utili. Su questo punto la Cgil ha sempre preso le distanze nei fatti per timore di attenuare il suo ruolo antagonistico e di lotta. A questo proposito, dunque, l’autocritica dovrebbe essere propedeutica a una svolta. Se i salari sono bassi andrebbe valorizzata la dimensione contrattuale che si è volutamente oscurata. Secondo punto. Cos’é questa storia del salario lordo medio? Come viene calcolato? E’ così drammatica la situazione italiana? Il salario lordo medio italiano, che Eurostat certifica al nono posto tra quello dei 27, inferiore comunque rispetto a quello dei grandi paesi europei, non tiene conto della trasformazione del tessuto occupazionale italiano che ha cambiato radicalmente il suo profilo, da larga occupazione nelle grandi aziende, a micro occupazione nelle piccole e medie imprese che costituiscono il 95% delle imprese italiane, e nelle quali evidentemente l’intervento sindacale é risultato meno incisivo. Né tiene conto della tredicesima che non esiste negli altri paesi. Dunque a quanto ammonterebbe la distanza dalle retribuzione in questi stessi settori e aggiungendovi le risorse della tredicesima da Francia, Germania e magari anche Regno Unito? Una terza questione: quali correttivi immaginare? Non serve unicamente il taglio del cuneo fiscale e parafiscale col quale il sindacato si sgrava da qualsiasi ruolo e responsabilità a tale proposito. Né solo il salario minimo che non aiuta per un’operazione di recupero di posizioni. Né risulta veritiera la ragione addotta da Landini che riconduce i bassi salari al lavoro provvisorio e precario. A parte il fatto che negli ultimi anni massiccio é stato il ricorso ad assunzioni stabili, i contratti a tempo determinato in Italia assommano a circa il 15% del totale, più o meno la stessa percentuale dei paesi europei che hanno salari più alti. Il problema italiano, che non risulta a fronte di questi dati così scoraggiante, é di legare sempre di più i salari agli utili e alla produttività. Quindi di immaginare un sindacato molto articolato e capace di fotografare la situazione aziendale, dalla più grande alla più piccola, con posizioni altrettanto diversificate, e che non pensi ancora e soprattutto al proprio ruolo come controparte, ma come un servizio a tutela e a consolidamento del benessere dei lavoratori. Con la flessibilità, la razionalità e la rigidità necessarie. Senza più l’ideologia anti capitalista che ancora permea fasce non trascurabili della Cgil soprattutto, ma con la convinzione che “il caso per caso” in grado di correggere e rafforzare un contratto nazionale é l’unica via per essere davvero autorità salariale nel senso autentico della parola. Con questo editoriale e con l’intervento di Veronese, La Giustizia apre un confronto. A presto, dunque.
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.
2 commenti
Nella sfera de “il caso per caso”, cui si accenna sul finire di questo Editoriale, io metterei pure i contratti individuali, a completamento degli accordi nazionali ed aziendali, quale strumento che può consentire al titolare dell’azienda di attribuire una integrazione salariale al dipendente che si distingua per impegno, professionalità, ecc …, così da riconoscerne e remunerarne tali pregevoli qualità.
Oltre a gratificare il dipendente “meritevole”, mi sembrerebbe essere anche la strada per migliorare la produttività aziendale, e dunque la competitività, aspetto affatto secondario in un mercato sempre più globale, e se il sindacato intervenisse anche su questo livello di contrattazione, supportando le due parti in modo non ideologico, darebbe a mio avviso un importante contributo all’economia del Belpaese.
Paolo Bolognesi 12.04.2023
Personalmente credo che il problema della CGIL è che si tratta di un sindacato di lotta e/o di governo ma che non riesce o vuole praticare la concertazione con le controparti.
Intendo dire che CGIL , così come CISL e UIL hanno i più alti riconoscimenti istituzionali e questo è una forma di democrazia e un bene per il paese ma poi quando si va sul pratico i sindacati non riescono ad incidere come il loro riconoscimento istituzionale farebbe supporre. Ecco quindi che viviamo il paradosso di un paese con la 7/8 economia mondiale con stipendi fra i più bassi a livello OCSE e una evasione fiscale da paese in via di sviluppo.
E’ chiaro come l’acqua che in materia di contrattazione sindacale le parti in causa sono plurime e quindi il peccato è condiviso a metà tra i sindacati e le loro controparti tuttavia ed è ancora più chiaro che è questo rapporto dialetticamente vivace ma in sostanza opaco che crea un notevole ostacolo, fra gli altri, all’andamento delle retribuzioni dei lavoratori.
Credo che applicare una vera concertazione per obiettivi a medio-lunga scadenza con la possibilità quindi di sincronizzare i traguardi economici con quelli retributivi può essere una soluzione vincente, responsabilizzante e inclusiva per tutti.