di Fabrizio Montanari.
Il cammino percorso dal congresso di fondazione del partito socialista di Genova del 1892, passando per quelli di Reggio Emilia del 1893 e del 1912, aveva fatto di Reggio la città socialista per definizione. La conquista dei comuni, la nascita delle cooperative, la creazione delle farmacie, della mensa comunale e della biblioteca popolare, lo sviluppo delle leghe bracciantili e del sindacato, la realizzazione delle bonifiche, della rete ferroviaria provinciale e la diffusione dell’educazione scolastica, facevano percepire l’esistenza di un vero e proprio “sistema socialista” di gestione della società.
Il pragmatismo sociale e l’umanesimo socialista avevano convinto grandi masse di lavoratori, e tra loro molti giovani, ad aderire al PSI. Tra gli oltre 700 aderenti alla FIGS si distinse un giovane colto, determinato e insofferente di ogni disuguaglianza sociale.
La sua parabola politica lo portò a compiere difficili e sofferte scelte di campo, che ne determinarono la tragica fine. Poiché diventò uno dei massimi intellettuali e uno dei più rispettati esponenti del movimento anarchico internazionale, studiando i suoi scritti e conoscendo le sue prime esperienze politiche nel PSI reggiano, possiamo affermare che siamo in presenza di un caso più unico che raro nel panorama politico nazionale. Si tratta, infatti, della vicenda umana e politica di un anarchico cresciuto e formato alla scuola del riformismo socialista.
D’altra parte Camillo Berneri, per le sue tesi federaliste, antiautoritarie, umaniste, sempre ispirate a uno spiccato senso di gradualismo sociale, si autodefinì un anarchico “sui generis”.
L’anarchico Camillo Berneri Croce nacque a Lodi nel 1897 dal Stefano e Adalgisa Fochi, allora molto nota per le sue conferenze in difesa dei bambini abbandonati e dei diritti delle donne. Grande successo avevano riscosso le sue conferenze presso la Biblioteca Popolare e in diverse sezioni del partito. Camillo trascorse, dunque, l’infanzia seguendo la madre, maestra elementare e di idee socialiste, nella sua attività politica e nei suoi trasferimenti a Palermo, Milano, Cesena, Forlì e Reggio Emilia.
Ancora giovanissimo entrò nella Federazione giovanile del PSI reggiano, dove si distinse subito per il suo attivismo e l’acuta capacità d’analisi politica. Essendo l’unico studente iscritto al movimento giovanile, Camillo venne attentamente seguito e valorizzato da Prampolini e dal direttore de La Giustizia Giovanni Zibordi. Non passava giorno che, dopo aver terminato gli studi, non si recasse presso la sede del giornale per confrontarsi con la redazione sui temi a lui più cari: L’antimilitarismo e l’anticlericalismo.
In quel periodo, infatti, scrisse sugli stessi temi diversi articoli per l’organo nazionale della FGSI L’Avanguardia e per La Giustizia. Fece parte del Comitato Centrale nazionale dell’organizzazione giovanile, partecipò ai congressi provinciali dell’organizzazione e fondò, affiancando il futuro deputato Alberto Simonini, alcune sezioni socialiste in diversi comuni reggiani. Nel tempo libero amava frequentare anche la libreria cooperativa gestita dall’amico socialista Gino Prandi e considerata il principale punto di ritrovo in città di molti socialisti di ogni età.
Ancora nel febbraio del 1915, quando la protesta di piazza contro la conferenza interventista di Cesare Battisti provocò due morti e diversi feriti, ritroviamo, troviamo anche la sua firma in calce al documento della Federazione socialista, che invitava la popolazione alla calma e a non reagire con atti inconsunti alla violenza delle forze dell’ordine. Probabilmente però, vista l’incapacità socialista di fermare il conflitto, in cuor suo già meditava di lasciare il partito.
In contrasto con la posizione del PSI di fronte al Primo conflitto mondiale che si esplicitò nella equivoca formula “né aderire, né sabotare”, nel luglio del 1916, lasciò dunque la FIGS per aderire definitivamente al movimento anarchico. Decisiva si dimostrò l’amicizia con il rilegatore di libri Torquato Gobbi, altro storico anarchico reggiano, poi morto suicida in Uruguay nel 1963. Camillo conosceva la sincera contrarietà all’entrata in guerra di Prampolini, ma tale convinzione non la giudicò sufficiente. Occorreva a suo parere mobilitare le masse e opporsi con ogni mezzo a una simile carneficina, tesi questa sostenuta anche da Simonini.
Emozionato e timoroso per l’accoglienza che la segreteria gli avrebbe riservato all’atto della presentazione della lettera di dimissione, rimase piacevolmente sorpreso dalle parole pronunciate in quella occasione da Camillo Prampolini.
Camillo ricorderà per tutta la vita quelle parole improntate al massimo rispetto per la sua scelta politica e di stima nei suoi confronti. Dopo essersi alzato in piedi, lo guardò negli occhi e esclamò: “Camillo ora ci lascia, ma resta sempre nel socialismo”.
L’impressione suscitata in Berneri da quelle parole fu tale che, quando, nel 1930, Prampolini morì, volle dedicargli un commovente saluto e un sentito ringraziamento per l’opera svolta con assoluto disinteresse personale a favore dei più deboli.
“Contro l’Italia crispina, contro il governo di Bava Beccaris, contro le sopraffazioni poliziesche e le mostruosità giudiziarie, Prampolini fu sempre con eloquenza e passione. Ma, imprigionato nel suo tolstoianismo, fu sempre a predicare la resistenza pacifica. Durante la guerra libica, durante l’agitazione interventista, ai primi attacchi fascisti, la sua propaganda non mutò tono. Contro la guerra, contro la reazione, ma nervi a posto? calma? piuttosto vittime che peccare di violenza…Prampolini fu, con Turati, Matteotti e tanti altri socialisti riformisti di grande carattere, uno dei maggiori responsabili della non sufficiente resistenza al fascismo squadrista, e, prima al colonialismo e all’interventismo.
Ma al di sopra degli errori resta la sua opera immensa di proselitismo socialista e la nobiltà della figura, come uomo e come politico. Non fu politico veramente. Non tribuno pur essendo oratore, alieno dalle insidie, dalle riserve, dalle viltà pur essendo un dirigente accorto, popolarissimo pur conservando una naturale signorilità di modi, rifuggente alla violenza ma sempre pronto a subirla per impedire una sopraffazione di più contro un solo e di armati contro inermi.
Camillo Prampolini fu quel che si dice una bella figura. Polemista cortese, spirito tollerante, sapeva imporsi agli avversari sì che non ebbe mai nemici che tra i fanatici o fra canaglie. Molti che, poi, si sono allontanati da lui e dal partito socialista, da lui ebbero la prima rivelazione di sé stessi, la prima spinta ad entrare nella lotta per l’emancipazione proletaria.
Non posso dimenticare di aver avuto, in una lontana sera a Reggio Emilia, durante una conferenza di Prampolini, la prima commozione profonda che il dolore dell’umanità doveva ispirarmi. E il vedere due compagni di scuola, nazionalisti, ed un carabiniere di servizio partecipi della mia emozione mi rivelò, la prima volta, quanto possa l’eloquenza a servizio dell’ideale…Leggendo della sua morte ho pensato anche ad un breve momento in cui fummo vicini. Fu alla mia uscita dalla Federazione Giovanile Socialista. Mi mandò a chiamare, lui che non mi aveva mai parlato, per dirmi:” Dunque ci lascia”. Ma soggiunse: “Ma resta sempre nel socialismo”. E quella parola mi fu di sollievo, che mi pareva triste di veder allontanarsi quello che allora ero: l’unico studente militante nella città socialistissima…Sono stato sempre parco nel criticare il socialismo reggiano, quello che Mussolini chiamava “il socialismo delle tagliatelle”. Un po’ sono i dolci ricordi del mio catecumenato socialista che mi rendono pietoso, un po’ l’affetto per i mistici reggiani, dal nostro Gobbi al socialista Levoni e al repubblicano Montasini, ma, ancor più, è il ricordo, ricco di fascino di Camillo Prampolini.
Quando un politico si fa amare così e come uomo, bisogna che in lui vi sia stoffa di santo e di poeta.
Mi piace essere con tutto il cuore vicino a quei contadini e a quegli operai emiliani che piangono non il deputato socialista, non il fondatore della Giustizia, ma il loro Camel… È morto, povero e isolato, lungi dalla sua città. Esule in patria. Vinto e deluso, ma fidente nel domani.
Ne sono certo, ché gli era di quegli uomini che hanno fede che non isterilisce. E non è questo il dono che fa santi e poeti?”.
L’umanesimo socialista appreso da Prampolini non andò disperso, ma informò tutta la sua vita politica.
Fu così che Berneri entrò a far parte del circolo anarchico cittadino “Spartaco”. Dopo essersi trasferito con la madre ad Arezzo, il 4 gennaio 1917, ancora minorenne, si sposò a Gualtieri (RE) con Giovanna Caleffi, già allieva della madre alla Scuola Normale (magistrale) di Reggio Emilia. Dalla loro unione nacquero due figlie: Maria Luisa e Giliana, che, dopo la sua morte, continueranno la sua battaglia in Italia e all’estero.
Chiamato alle armi, trascorse qualche mese all’Accademia di Modena per essere poi mandato al confine di Pianosa per insubordinazione e come pericoloso sovversivo. Congedato nel 1919, iniziò a collaborare assiduamente alla stampa anarchica e fu tra i fondatori dell’Unione anarchica italiana.
Nel 1922 si laureò in filosofia a Firenze con Gaetano Salvemini, divenendo un assiduo frequentatore del circolo culturale “Studi Sociali”, fondato in quella città da Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi. Di particolare importanza storica e culturale risulta anche la sua collaborazione a Rivoluzione Liberale, il giornale di Piero Gobetti.
Nel 1926, con la promulgazione da parte del fascismo delle leggi eccezionali, fu costretto ad espatriare in Francia e ad abbandonare definitivamente Reggio. A Parigi, dove venne poi raggiunto anche dalla madre Adalgisa, dovette arrangiarsi nei lavori più disparati, senza per questo abbandonare i suoi studi e la collaborazione con la stampa libertaria.
Amico e collaboratore dei più autorevoli esponenti anarchici come Luigi Fabbri, Errico Malatesta, Buenaventura Durruti, Armando Borghi, D.A. De Santillan e tanti altri, durante l’esilio francese fondò diversi giornali, impegnandosi nella riorganizzazione del movimento. Coinvolto da agenti provocatori fascisti (vedi: il caso E. Manapace) in una serie di denunce e di complotti, nel 1928 venne espulso dalla Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania. Quelle accuse lo portarono diverse volte in carcere e lo fecero considerare l’antifascista più espulso d’Europa.
Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, fu con Carlo Rosselli tra i primi organizzatori del contingente italiano legato alla FAI-CNT. Dopo aver partecipato alla battaglia di Monte Pelato, divenne commissario politico della “Colonna Italiana” e si dedicò alla redazione del giornale Guerra di Classe, dalle cui pagine sostenne il suo personale dissenso sulla militarizzazione dei volontari voluta dai comunisti, e sul silenzio della stampa anarchica di fronte ai crimini stalinisti.
Nonostante questo suo aperto dissenso, la notte prima del sequestro, non esitò a commemorare Antonio Gramsci a Radio Barcellona e a ricercare una soluzione politica capace di ricomporre i dissidi interni al fronte repubblicano. Ancora una volta dunque gli insegnamenti appresi alla scuola del riformismo socialista reggiano lo portarono a ricercare i fattori politici unitari, gli unici in grado di conseguire la vittoria del fronte antifranchista.
In breve però gli eventi precipitarono, culminando nei i tragici fatti di sangue del “maggio barcellonese”, durante i quali Camillo venne prelevato dalla sua abitazione e ucciso insieme al compagno Francesco Barbieri, il 5 maggio 1937, da agenti comunisti della CEKA.
Il suo corpo fu ritrovato sulle Ramblas e portato all’ospedale civico dove venne riconosciuto dai compagni di fede. Il suo assassinio impressionò molto tutto l’ambiente antifascista internazionale, facendo emergere la debolezza del fronte repubblicano sempre più lacerato da lotte intestine e incapace di opporsi con successo ai franchisti.
Il suo enorme impegno politico e culturale traspare dal suo ricco epistolario dal quale emergono le lettere a lui indirizzate da personalità dell’antifascismo come Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, Max Nettlau, Pietro Nenni, Carlo Rosselli, Manlio Bonaccioli, Mario Bergamo, Sandro Pertini, Alberto Jacometti e molti altri.
Come autore di saggi e come giornalista si sforzò sempre di conferire all’anarchismo dimensioni teoriche che ne valorizzassero le potenzialità immediate, attraverso l’analisi critica delle sue forme estremistiche, movimentiste e massimaliste.
La sua enorme produzione letteraria è ancora oggi attualissima e continua a essere oggetto di molti studi storici e filosofici.
Tra le sue opere più note e significative, senza voler dimenticare gli articoli pubblicati su quasi tutti i giornali libertari del tempo e i molti scritti ripresi da diverse testate di altro orientamento antifascista, ricordiamo: “L’Autobiografia”; “Neo-malthusianesimo ed anarchia”; “La concezione anarchica dello stato”; “Bolscevismo e sovietismo”; “L’operaiolatria”; “Il lavoro attraente”; “Mussolini: psicologia di un dittatore”; “Mussolini grande normalizzatore”; “Scritti scelti: Pietrogrado 1917-Barcellona 1937”; “Il federalismo libertario”; “Un federalista russo: Pietro Kropotkin”; “L’emancipazione della donna”; “Carlo Cattaneo federalista”; “Mussolini alla conquista delle Baleari”; “Lo spionaggio fascista all’estero”.
La moglie, le figlie e la madre difesero per tutta la vita la sua memoria e la reale dinamica che lo portò alla morte. Adalgisa Fochi, nell’ultima sua testimonianza d’affetto e di dedizione al figlio, volle che sulla sua tomba fosse scritto solamente: “Madre di Camillo”.
I comunisti impiegarono parecchi anni prima di ammettere le loro responsabilità nell’uccisione del prof. Berneri, mentre per tutte le altre forze politiche antifasciste impegnate in Spagna contro Franco tutto fu chiaro fin dal giorno del tragico evento.
La Città di Reggio Emilia gli ha dedicato una strada periferica, diversi convegni e un archivio del movimento anarchico presso la biblioteca A. Panizzi. La locale sezione della FAI a lui intitolata, ha collocato una lapide ricordo presso la sua sede, proprio nel centro storico di Reggio, a pochi passi dalla sua abitazione reggiana e dal palazzo comunale.
Fabrizio Montanari