T. è una bella e brava ragazza. Ma soprattutto è intelligente, arguta, intuitiva, ironica.
Per molto tempo ha lavorato alle dipendenze di una comunità, non una di quelle di recupero o che opera nel settore sociale. Una comunità di persone che si richiamano a dei valori e a delle idee di cui si fanno vanto, con ottime ragioni, di esserne gli unici depositari in uno dei panorami del paese nel quale i valori da tempo latitano.
Avete capito bene! Stiamo parlando di una comunità politica, di un partito per essere più chiari.
E all’interno di questo movimento c’è un’altra vanità che si coltiva, anch’essa a ben ragione: quella del primato dei rapporti umani su qualunque altra forma di correlazione tra le persone, sia essa di natura contrattuale, sia essa di natura gerarchica, sia essa di natura politica.
Perché questo partito ha sempre fatto della solidarietà l’emblema della sua esistenza.
La solidarietà verso i deboli, la mano tesa verso gli ultimi, affinché, diceva uno dei suoi padri storici, nessuno fosse lasciato indietro nella corsa della vita.
E poi c’è il lavoro e la dignità del lavoro, ci sono Brodolini e Giugni e prima di loro un pantheon che parte da Turati e finisce ai giorni nostri.
“Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero.” disse Pertini.
Una somma di sensibilità particolari, dunque, che ha fatto degli appartenenti a questo partito una rara categoria di donne e uomini diversi, molto diversi dagli altri appartenenti allo stesso mondo, talmente rara da rischiare di diventare una specie in via di estinzione.
All’improvviso a T. fanno crollare il mondo addosso. “Non servi più,” avranno pensato e “Siamo in crisi economica e dobbiamo ridurre il personale,” invece le avranno forse detto.
Il risultato non cambia, dopo diversi anni T. si ritrova fuori della porta. Licenziata, senza più un lavoro.
E forse per lei l’aspetto economico, lo stipendio sicuro, sono il dolore minore.
Sicuro l’umiliazione per come è stata trattata, per come è stata scelta per essere lei la goccia in meno che non farà traboccare il vaso.
Non è stato perché lavorava male o era lavativa. Anzi, T. lavorava bene e con grande impegno.
La vicenda non è una questione giuslavorista. L’aspetto che duole e fa sanguinare il cuore è etico.
Dove è finita quella storia di cui ci si faceva vanto e quei valori che quella storia quotidianamente richiamava?
Dove sono finite la solidarietà, l’equità, l’amicizia, l’affetto e tutto il resto che ora non mi viene in mente?
Riduzione del personale, crisi, difficoltà economiche diranno nel forbito linguaggio formale del maestro della scuola bresciana. Ma si vede, si intuisce, si capisce, che questa è solo forma. Perché altrimenti si sarebbe potuto fare uno sforzo, un invito alla solidarietà e proporre di ridurre una piccolissima somma a ognuno degli stipendi degli altri per salvare anche quello di T.
Ma T. deve andarsene, perché forse chi era rimasto in quella comunità non la vedeva più come parte del gruppo.
E fa niente quello che disse Pertini. Fa niente che a T. è stata ferita la dignità.
Con una cicatrice nel cuore se ne andrà per il mondo alla ricerca di un po’ di quella libertà che le hanno rubato.