di Lucia Abbatantuono
Susanna Camusso è una ragazza dai capelli bianchi spettinati e la sciarpa rossa al collo. Spettinata sì, ma con uno sguardo vigilissimo che scruta l’uditorio come fosse un falco. Così si è presentata a Torino, al Circolo dei Lettori, per presentare il nuovo libro della politologa Chiara Tintori. Una pubblicazione che è frutto di lunghi studi condotti dalla Tintori sull’attuale condizione delle donne nell’impresa, nelle professioni e nella politica italiana. Tra le voci che hanno contribuito alla stesura del saggio (Adesso tocca a noi, TS Edizioni) c’è, appunto, quella dirompente della Camusso. Quando la invitano a dire la sua sul cosiddetto “soffitto di cristallo” che è al centro dell’inchiesta appena divulgata, la sua voce parte piano, ma con profondità e ponderazione: «Il soffitto di cristallo è solo una gigantesca trappola per ogni tipo di dibattito su questo tema» – dice la senatrice – «C’è il rischio che, pur abbattendo questo soffitto, si costruisca intanto un attico. Se alcune donne sono riuscite a sfondarlo, questo ha troppo spesso gettato ombre su quelle che invece non ci sono riuscite: non si riconosce la fatica delle vittoriose, ma si colpevolizzano le sconfitte». Per spiegare meglio la sua radicale asserzione, l’ex Segretaria Generale CGIL continua: «Il femminismo occidentale bianco ha sempre sostenuto il mito dell’esempio, ma forse non è questa la risposta migliore alla perdurante discriminazione delle donne».
Le chiedono allora se durante gli anni trascorsi nel sindacato, e pure in posizione apicale, abbia mai risentito di tale discriminazione. Riflette un attimo, riprende il microfono e con aria sorniona rivela: «Ho sempre saputo che la CGIL fosse maschilista, ma del resto qualunque luogo collettivo di massa lo è. Il sindacato è specchio della società, quindi dire al suo interno che “noi donne siamo diverse e abbiamo il nostro specifico valore” crea uno scompiglio mica da poco. Eppure, a conti fatti, ai tavoli delle conciliazioni le donne sono quelle che ottengono i risultati migliori. Del resto, da millenni le donne sono educate, istruite e cresciute per “mettersi nei panni degli altri“, e gli uomini no». Passa poi a snocciolare la carrellata di esempi tipici tanto cara a dibattiti simili: congedi parentali, distribuzione degli orari lavorativi, gestione della famiglia dopo le ore in ufficio o in fabbrica, ferie per motivi familiari. «Tutti questi gap sono l’evidenza della miopia culturale in cui viviamo» – dice Susanna, e quando le chiedono se, per modificare l’andazzo, serva essere radicali, esclama: «Le parole sono sempre difficili da manovrare. Ma per essere riformisti bisogna essere radicali, e quando lo dico mi assalgono. Eppure, “cambiare” vuol dire “cambiare“!».
Per rafforzare la sua dichiarazione, la Camusso prende direttamente a baluardo la Costituzione: «L’articolo 3 della Costituzione dice “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini“: bisogna dunque rimuovere gli ostacoli, ma non con le carezze e i sorrisi. La Costituzione dice “rimuovere“, non “spostare“. Purtroppo anche la parola conflitto è diventata difficile da gestire; la si associa alla guerra, che però è ben altro. Quindi, è difficile anche solo parlare di qualcosa che va comunque riformato».
Invitata ad ampliare i concetti di conflitto e necessità riformatrice, la senatrice non perde l’occasione per andare più a fondo: «Nessuna delle conquiste delle donne si è ottenuta senza conflitto: una società che ha paura anche solo di usare il conflitto è una società che ha paura di cambiare. Cambiare è, di per sé, un atto radicale».
Spostando poi l’attenzione dalla sostanza della questione alla forma necessaria per ottenere il cambiamento, la Camusso spiega che «Se io, donna, reagisco a un linguaggio maschile chiaramente offensivo, mi si aprono due strade: o quella dello scherzo (e quindi dell’accusa di permalosità a mio carico) oppure quella del conflitto aperto. Significa avere il coraggio di reagire e rispondere, una volta per tutte “tu con me questo linguaggio non devi usarlo più“, perchè bisogna spezzare quella prassi insana in base alla quale un uomo veemente e aggressivo è ritenuto “volitivo” ma una donna con simili caratteristiche è tacciata solo di “isterismo”. Si tratta di un circolo vizioso che bisogna impegnarsi a spezzare, radicalmente».
Ma esiste una ricetta per innescare il cambiamento? «Dobbiamo lasciare alle spalle la posizione di vittime. Gli uomini pensano che le donne debbano risolvere questa impasse da sole, ma non è questa la soluzione» – dice Susanna – «Le discriminazioni che subiamo sono sempre molto concrete: in Italia ci sono tre milioni di lavoratrici part time involontarie, cioè che non hanno scelto liberamente la tipologia contrattuale a tempo ridotto. Siamo l’ultimo paese europeo per tasso di occupazione giovanile: meno del 31%. Per questo sono favorevole alle quote rosa, perché il loro senso fondamentale è “se non mi vogliono, io ci vado lo stesso“. Anzi, credo sia arrivato il momento di introdurre anche le quote azzurre: fare in modo, cioè, che una porzione fissa della forza lavoro occupata nei luoghi storicamente gestiti dalle donne sia obbligatoriamente affidata agli uomini, e penso alle scuole, agli ospedali, alle case di cura, all’assistenza ai clienti».
Nel salutare il pubblico, l’ultima riflessione della scapigliata Camusso è di respiro internazionale: «Un uomo che non è in grado di prendersi cura di qualcuno o di qualcosa è ovvio che continuerà a fare la guerra invece che preoccuparsi di aver cura del mondo. Se vogliamo pensare seriamente al futuro del pianeta, che sia in pace e fuori dai gravi rischi ambientali che conosciamo fin troppo bene, servono cambiamenti radicali. Quelli che solo le donne possono e devono realizzare».
1 commento
Donna Uomo uno schema che mi sembra possa essere sostituito da Femminile Maschile, in ognuno c’è un tasso di maschile e femminile che porta ad essere unici ed adatti ad ogni compito lavorativo e culturale.