di Aldo Repeti
Approfondiamo l’analisi del voto a seguito dei commenti post risultati.
Un dato è certo, il centrodestra ha nettamente vinto questa competizione dimostrando come non esistano più roccaforti inaccessibili. Su tutte, va detto con chiarezza, la Toscana rappresenta il “bottino” grosso.
Da certezza della sinistra a terreno ampiamente contendibile!
Ma che cosa non ha funzionato?
Abbiamo già detto che tra il 2018 ed il 2023, pur in presenza di una maggiore astensione (meno elettori che si esprimono), il centrodestra ha incrementato decisamente il totale dei voti assoluti conseguiti. Per il solo primo turno, nei tredici capoluogo di provincia (esclusa da questa analisi la Sicilia) ha conquistato circa 33.000 voti in più. Dato ulteriormente amplificato nel secondo turno e senza considerare le realtà dove al primo turno il centrodestra era separato (p.es. Massa).
Di contro il centrosinistra, sia senza che con il M5S, ha perso nettamente voti. Perdendo complessivamente circa 11.000 voti, compensando con le realtà civiche ciò che ha significativamente perso il PD ovvero 27.000 voti.
Nei commenti risaltano due concetti:
• Il Pd è il primo partito di centrosinistra;
• Divisi si perde!
Innegabile e lapalissiano il primo concetto. Anche se occorre riflettere sui 27.000 voti che il PD perde per strada tra il 2018 ed il 2023.
Sul secondo occorre chiarezza.
La lezione delle ultime elezioni, politiche, regionali ed amministrative, dovrebbe aver fatto comprendere che il centrodestra non ha vinto perché unito. O meglio non è questa la ragione prima della vittoria.
A Massa, per esempio, era decisamente diviso. Eppure ha vinto. Di più la somma delle due aree di centrodestra rispetto al 2018 ha raddoppiato i consensi mentre il centrosinistra ne ha persi 2.000.
La prima riflessione da fare, non sottovalutabile, è che l’astensionismo penalizza il centrosinistra e solo la presenza di altre liste civiche o di espressione più propriamente politica, compensano la perdita del PD di 27.000 voti, contenendo la perdita del centrosinistra ad 11.000 voti.
Quindi è un falso problema sostenere che il tema politico si racchiuda nel concetto si è perso perché “non siamo stati uniti”. Seguendo i voti dovremmo dire si è perso meno perché eravamo uniti!!
Per usare in negativo Totò, “la somma non fa il totale”. E questa regola in politica è sempre valsa!
Il concetto di “unità” declinato come l’esigenza di sommare tutto ciò che è contrario al centrodestra è, e lo ha dimostrato, nettamente perdente!
“Uniti contro” non ha senso se non si definisce “uniti per cosa”.
E non è una questione semantica. È politica!
Nell’ultimo trentennio la forma matematica della somma ha scalzato il concetto di politica come perseguimento di una idea condivisa di Paese.
Con la logica della somma si è costruito il palcoscenico che ha infervorato le tifoserie schierate ma ha allontanano i cittadini. Dirigendoli verso l’astensione, verso proposte civiche e verso il centrodestra.
La logica della somma fa prevalere il compromesso al ribasso: va bene Di Pietro perché in quel momento è “gradito” a larga fetta della popolazione. Quindi averlo tra le proprie fila garantisce (garantirebbe) il consenso di quella larga fetta di elettorato.
Va bene Conte perché è “l’avvocato del popolo ed il campione del progressismo”.
Quindi alleanza ed arruolamento per avere il totale del suo consenso. Poi che Conte sia stato al governo con la peggiore Lega di Salvini, che abbia firmato leggi di destra, vengono cancellati con un colpo di spugna perché questo è funzionale alla conquista del potere!
Ma questa è politica?
Quali le ragioni alla base del consenso di questi due campioni di qualunquismo e sciatteria? Qualcuno ne ha fatto una analisi politica? Si è posto il problema di convogliare quei disagi, pure legittimi ed espressi dai cittadini con un voto di protesta, per dare risposte coerenti con il tessuto politico, culturale ed istituzionale di un Paese democratico?
No!
Si è preferito consolidare la legittimità di quel qualunquismo come proposta politica a sé ed allearcisi piuttosto che avanzare proposte nette che ne svuotassero le ragioni!
Ed allora ieri andava bene occupare la Rai perché la nostra parte ha vinto, ma oggi dobbiamo gridare allo scandalo se ciò avviene a parti invertite. Questa si chiama ipocrisia!
Se indagati risultano avversari, allora parte la “gogna mediatica” e l’affermazione di una sorta di diversità morale come assunto antropologico. Ma se sono vicini a noi parte la presunzione di innocenza. Anche questa, oltre che essere indegna, è ipocrisia.
Tutto ciò accade quando si intende la lotta politica come conquista del potere fine a se stesso. Ed è quello che ha fatto il Pd, e prima i suoi predecessori, far prevalere la logica della somma per vincere ed occupare potere!
Ecco la fine della politica.
Governare un popolo, lo dico con chiarezza, significa anche andare “contro” la “volontà del popolo”! Assumersi la responsabilità di scelte invise al popolo ma orientate al suo generale interesse. Occorre una proposta, lavorare sodo per far comprendere, gettare le basi per una prospettiva.
Invece con la logica della somma il Pd, ed i suoi predecessori, in questi anni ha creato “mostri” da combattere ed additare al pubblico ludibrio in qualità di principali mali del nostro Paese, secondo la bestiale logica berlingueriana della presunzione di “diversità morale”.
Prima Craxi, poi Berlusconi, passando per Renzi e finendo a Meloni.
Generando tifoserie, facendosi arbitrariamente esclusivo interprete di valori diffusi come antifascismo, libertà e democrazia ed espellendo tutte le altre storie che con lui e più di lui ne hanno incarnato il senso. E’ la storia fattuale, non la cronaca o la narrazione postuma, ad affermarlo con nettezza.
In questo incedere ha umiliato e cannibalizzato i piccoli cespugli che via via gli sono stati intorno! Li ha usati come vassalli col fine della somma per poi umiliarli nella condivisione della prospettiva.
Ha dunque contribuito alla destrutturazione di una storia politico culturale che ha “fatto” l’Italia per garantirsi l’occupazione del potere. Divenendo questo l’unico collante della classe dirigente erede del PCI ma orfana di una ideologia sconfitta dalla storia.
Allora che fare?
Continuare col mantra dell’unità come logica di somma consentirà alla destra sonni tranquilli a lungo. Corroborati dal possibile scenario vincente in Europa di una alleanza sempre più a destra.
È vero il Pd è il partito più grande, gli altri cespugli non possono certo ergersi a “maestrine con la penna rossa”, non possono coltivarsi piccole pretese o meri interessi di bottega, se l’interesse in gioco è una visione di “benessere per il nostro Paese”.
Ma se il maggior partito del centrosinistra (ancora per quanto visto che i voti stanno esaurendosi anche nelle realtà prima roccaforti?) non comprende che non deve essere asserragliato nella propria confort zone, se non comprende il perché di tanto civismo, se non assume la ragione di una grande rivoluzione culturale in cui la politica e non già la conquista del potere, deve essere la propria bussola, forse percentualmente vincerà ancora qualche elezione. Ma non avrà la sostanza dei voti assoluti e la prospettiva di una visione duratura.
E se non si pone questa esigenza, piuttosto che glorificare l’unità fine a se stessa, non comprenderà che per vincere non è sufficiente consolidare il proprio consenso, ma occorre convincere chi non vota ma anche e soprattutto chi oggi è “fuggito” nel voto al centrodestra.
A meno di non far prevalere ancora una volta il concetto della “diversità morale” per cui i cittadini che votano il centrodestra sono divenuti nottetempo fascisti!!