Habemus Mappam! Sì, perché il consorzio internazionale Human Pangenome Reference – HPR ha appena reso noto di aver finalmente completato la mappatura integrale della diversità del genoma umano, e lo ha fatto pubblicando la notizia in ben quattro 4 articoli sulla stampa internazionale di settore. Detto in termini spiccioli, se finora il termine di confronto per analizzare il DNA era una sorta di sequenza artificiale, da oggi si può confrontare ogni mappa del DNA di un individuo con le mappe genetiche di tutti gli altri, andando così a evidenziare caratteristiche che finora erano impossibili da vedere. Non è cosa da poco: inizia così la rivoluzione del Pangenoma, una rivoluzione che promette diagnosi e cure molto più precise e quindi efficaci, dalle malattie rare all’infertilità.
A distanza di “soli” ventidue anni (tempo record, considerando le tempistiche della scienza cui siamo stati abituati nei secoli addietro) dal Progetto Genoma Umano, che fu il primo libro della vita e sulla vita,
adesso i ricercatori sono riusciti a costruire una libreria dei genomi umani, in teoria grande quanto l’umanità, nella quale ogni individuo è descritto da due volumi: ogni libro corrisponde a un aplotipo, cioè la metà dei geni ereditati e localizzata in uno solo della coppia di cromosomi. Ad oggi i volumi di questa libreria sono 94, due per ognuno dei 47 DNA di individui di etnie diverse finora accostati. L’obiettivo è arrivare a 350, cioè a 700 volumi, entro l’estate del prossimo anno. L’operazione costerà circa 40 milioni di dollari su un arco temporale di cinque anni e prevede anche la protocollazione di tecnologie ancora più efficienti per il sequenziamento del DNA, con le nuove infrastrutture dedicate alla ricerca genetica.
I ricercatori del consorzio HPR rivelano che la nuova tecnica ha consentito loro di aggiungere un’enorme quantità di nuove lettere genotipiche, con 119 milioni di nuove di paia di basi e 1.115 mutazioni,
Come evidenzia il capo del progetto, il genetista Benedict Paten dell’Università della California a Santa Cruz, rispetto al genoma di riferimento utilizzato negli ultimi 20 anni (indicato con la sigla GRCh38) il confronto a tappeto dei 47 DNA ha aumentato del 104% il numero di varianti rilevate, fornendo il primo quadro davvero ampio della diversità genetica umana.
Alla ricerca hanno partecipato anche gli italiani Andrea Guarracino che si divide tra l’Università del Tennessee e lo Human Technopole di Milano, e Vincenza Colonna che lavora fra l’Università del Tennessee e l’Istituto di Genetica e biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Napoli; il contributo del bioinformatico Moses Njagi Mwaniki, inoltre, arriva dall’Università di Pisa.
Guarracino e Colonna hanno anche contribuito a un articolo pubblicato su Nature in cui descrivono le prove già effettuate per quantificare le potenzialità del pangenoma al servizio della ricerca, ottenendo risultati impensabili fino al 2001. Con loro vanno annoverati anche la dottoressa Silvia Buonaiuto del CNR-Igb e la studentessa di dottorato Flavia Villani. Insieme sono riusciti a osservare un meccanismo finora mai rilevato, con cui i particolari tipi di cromosomi scambiano il proprio materiale genetico, e questo potrebbe essere all’origine di alcune specifiche forme di infertilità.
Così come altre milioni di variazioni analoghe e finora sconosciute sono state segnalate dallo studio coordinato da Evan Eichler dell’Università di Washington, che ha ottenuto la mappa delle variazioni all’interno di ciascuna delle quattro lettere del DNA (i nucleotidi). Si mantengono caute le bioinformatiche Arya Massarat e Melissa Gymrek, entrambe dell’Università della California a San Diego: “Diventerà più facile scoprire le varianti genetiche responsabili di tratti fisici e di interesse clinico, e tutto questo porterà benefici per la salute di molte persone” – commentano – “La strada è aperta, ma c’è ancora tanto lavoro da fare”.
Il pangenoma umano sarà fondamentale soprattutto per la medicina di precisione: fin da subito aumenterà in modo insperato le capacità diagnostiche, soprattutto nell’ambito delle malattie rare e perfino di quelle che non hanno ancora un nome, ma in futuro potrà portare alla messa a punto di trattamenti sempre più personalizzati. Di questo ne è convinto Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Roma Tor Vergata: “Quando analizziamo il Dna è basilare avere uno standard di riferimento con cui confrontarci: ne sono stati prodotti diversi sempre più aggiornati e accurati negli ultimi vent’anni”- spiega Novelli – “Fino a questo rivoluzionario metodo, lo standard di riferimento più usato in ambito diagnostico è stato quello denominato GRCh38, basato sul Dna di 20 individui, ma il 70% del risultato complessivo deriva da un solo individuo e questo costituisce un difetto procedurale, perché non ci consentiva (finora) di vedere molte altre variazioni”.
In parole molto semplici, il pangenoma permette finalmente di ampliare questo standard aumentando il numero di soggetti considerati.
Novelli e i suoi colleghi si augurano che il processo sia puntualizzato e reso disponibile nel minor tempo possibile “per aumentare considerevolmente la nostra capacità diagnostica, assicurandoci un vantaggio importante per quel 40% dei malati rari a cui ancora non sappiamo dare una diagnosi”. Quando poi il pangenoma sarà completato con tutti i 350 genomi umani previsti, “potremo avere anche un quadro più definito della variabilità presente nelle diverse etnie, permettendo di sviluppare terapie ancora più mirate”.
In pratica, grazie al pangenoma umano avremo occhiali più potenti con cui studiare i tumori: questo permetterà di avere diagnosi più precoci, terapie più mirate e anche piani di prevenzione personalizzati in base al profilo genetico del singolo paziente, con una migliore tempistica anche degli esami di screening (come la mammografia). Come spiega Marco Pierotti, responsabile del Laboratorio di test genetici di Cogentech dell’Istituto di Oncologia Molecolare di Milano: “Oggi nello studio dei tumori confrontiamo il DNA delle cellule malate con quello delle cellule sane dello stesso paziente: un metodo che ci permette sì di leggere le informazioni genetiche , ma come se fossero un po’ sfocate, col rischio che alcune varianti genetiche di interesse possano sfuggire o essere male interpretate”. Con la bioinformatica, grazie alla quale siamo oggi arrivati a questo importante passo in avanti, i ricercatori potranno studiare tutti gli esseri viventi, come sottolinea Guarracino: “Il pangenoma permetterà di studiare il DNA di tutte le specie, non soltanto degli esseri umani. Dobbiamo immaginare la nuova rappresentazione del DNA come un insieme di nodi, cioè di frammenti di sequenze, e di archi. Questi ultimi possono essere paragonati a indicazioni che, proprio come quelle stradali, una dopo l’altra permettono di leggere l’intera sequenza. Così è possibile percorrere un singolo cromosoma dall’inizio alla fine, trovando lungo la strada le indicazioni che ci faranno scegliere vie diverse”.
Dunque se finora si confrontavano solo coppie di sequenze genetiche, da oggi in avanti esplorare il DNA sarà come immergersi nella rete stradale di un’enorme città dove, proprio come le strade, tutte le sequenze sono presenti contemporaneamente. Speriamo che a dirigere il traffico ci siano vigili sempre più accorti.
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Lucia Abbatantuono
Autrice. Laurea in Scienze Politiche Economico/Internazionali, Master ISSMI. Funzionario pubblico, già ricercatrice al Centro Alti Studi per la Difesa, esperta di politica militare e diritto internazionale. Appassionata di letteratura, musica classica e studi classici, è pianista e scrittrice. Editorialista e opinionista, scrive anche per le riviste Il Chaos e L'Autiere. Socia del torinese Club di Cultura Classica e dell'Associazione Socialista Liberale.