di Alessandro Perelli.
Aveva appena terminato la riunione del G7 a Hiroshima, ma invece di rientrare in Francia, dove non si erano placate le proteste per la sua riforma delle pensioni (soprattutto per il modo scelto per portarla avanti oltreché per il contenuto), Emmanuel Macron si è recato in Mongolia per la prima visita ufficiale in quel Paese. Come è nelle sue abitudini e nella prassi della grandeur transalpina, di cui si sempre rivelato buon interprete, il Presidente francese non ha ridotto gli incontri avuti a Ulan Bator a pura formalità derivata dal sorgere di nuove relazioni diplomatiche, ma ha voluto dare concretezza a queste relazioni bilaterali trovando ampio spazio in un Paese che sta cercando un’alternativa alla dipendenza da Cina e Russia, geograficamente vicine. E in effetti questa visita può essere definita storica in quanto è riuscita nell’intento di elevare la partnership strategica dei rapporti tra Francia e Mongolia. Fino ad ora, dopo che nel 1965 erano state inaugurato le relazioni ufficiali tra i due Paesi, tre Presidenti mongoli si erano recati a Parigi per testimoniare la riconoscenza di Ulan Bator all’Eliseo che ne aveva sostenuto l’indipendenza. Ma questa volta è stato Macron a visitare la Mongolia e non lo ha fatto a caso. Lo si capisce bene non tanto dalla dichiarazione ufficiale dopo il tete a tete con il Capo dello Stato Khurelsuk che parla significativamente ma anche genericamente di potenziamento della collaborazione reciproca sulla difesa, il commercio, gli investimenti e l’industria. E neanche dal fatto che si sia registrata una sintonia nel settore energetico, in quello agricolo e delle comunicazioni. (satelliti). Il vero punto trainante dell’intesa stretta a Ulan Bator riguarda l’uranio. Macron si è detto disponibile a sostenere la Mongolia e la sua strategia di decarbonizzazione in cambio dell’acquisizione di uranio di cui lo Stato mongolo è particolarmente ricco. Si è dato il via libera a una joint venture tra l’azienda nucleare francese Areva e la società mongola Mon-Atom per lo sfruttamento di tre giacimenti di uranio. Da una parte la Francia punta così ad accelerare la reindustrializzazione ecologica incentrata sull’energia nucleare, dall’altra Ulan Bator mira a sottrarsi dalla dipendenza energetica dal carbone (oggi ancora del 90%) e a passare ad alternative più verdi e sostenibili guardando al modello nucleare di Parigi con la costruzione di nuove centrali. Sullo sfondo la volontà della Mongolia di trovare un’alternativa ai rapporti economici con Cina e Russia che si comprende dalla affermazione del Presidente Khurelsuk, nella conferenza stampa comune, che ha definito la Francia come “il terzo vicino”. Macron e Khurelsuk si sono impegnati anche a piantare un miliardo di alberi ciascuno per combattere il cambiamento climatico. La mano tesa della Francia (con adeguate contropartite come si e’ visto) giunge in un momento in cui la Mongolia sta compiendo un grande sforzo di crescita economica in un territorio che vede un terzo della popolazione vivere ancora al di sotto della soglia di povertà. Non va inoltre dimenticata la piaga della corruzione. A questo riguarda nel dicembre scorso si sono verificate nella capitale violente proteste e disordini per uno scandalo scoppiato in seguito alla scomparsa di dieci miliardi di euro provenienti dalla vendita del carbone. La Mongolia è un Paese ricco di risorse minerarie che si è costruito la sua indipendenza dopo la dissoluzione della Unione Sovietica e che finora non è riuscita a trovare alternative a una dipendenza economica e commerciale con la Cina e in parte con la Russia. La visita di Macron ha aperto una nuova prospettiva di sviluppo che non potra’ non portate conseguenze anche sul piano dei rapporti internazionali con un avvicinamento di Ulan Bator all’Occidente.