Si dice mediazione “un’azione svolta da terzi per il raggiungimento di un accordo sul piano diplomatico o commerciale”. Tale azione dovrebbe essere condivisa dalle due parti. Però, a proposito dell’Ucraina, pare che Zelensky e i suoi non abbiano delegato a terzi la soluzione del conflitto. Che poi conflitto non é, trattandosi di una aggressione a uno stato sovrano. Il governo, e a quanto é dato capire anche il popolo, ucraino intende la fine delle ostilità legata unicamente al ritiro dell’esercito russo oltre i confini del 24 febbraio del 2022, anche se oggi, lo si evince dall’intervista di Mykhailo Podolyak, il consigliere di Zelensky, tale ritiro viene spostato al 1991, cioè alla situazione precedente l’annessione russa della Crimea. I russi, sulla spinta dell’emissario di Xi Jinping a Mosca, ma soprattutto degli accordi economici con la Cina, stabiliti recentemente e che fanno di Mosca una succursale di Pechino, dichiarano invece una disponibilità a una trattativa “sui generis”, che dovrebbe assicurare loro tutti i territori conquistati con la forza. Kiev ha perfettamente ragione a diffidare di una mediazione senza condizioni e di una disponibilità russa affidata a un sorta di fotografia dello stato di fatto che consentirebbe a Putin di uscire sostanzialmente vincitore dalla guerra con probabili altre guerre in mente da vincere in futuro. Resta però il fatto che sia il Vaticano che la Cina sembrano orientate a un tentativo diplomatico di composizione politica e di uscita dallo scontro militare. E la cosa a mio modesto parere dovrebbe consentire a Kiev di chiarire al mondo intero quali sono le condizioni per por fine alla resistenza armata, legittimata e sostenuta dalla comunità internazionale. E Kiev è la sola che ha pieno diritto a manifestarle. Penso a due punti su cui si dovrebbe partire. Innanzitutto dai confini del febbraio del 2022, congelando, come aveva proposto Zelensky, la questione Crimea, e il congelamento non significa legittimazione di un’occupazione attraverso un referendum farsa, non riconosciuto dall’Onu e da tutti i paesi democratici, che conseguentemente e congiuntamente hanno deciso l’adozione delle prime sanzioni alla Russia. Poi bisognerebbe riprendere gli accordi di Minsk due sul Donbass che assegnano alle due repubbliche uno status di relativa autonomia pur restando esse parte della nazione ucraina. Gli impegni non hanno avuto seguito per la perdurante permanenza del conflitto militare nel territorio. Il governo Renzi aveva perfino paragonato quell’autonomia a quella della provincia altoatesina. Kiev avrebbe tutto da guadagnarci attestandosi su una simile posizione. Salvaguarderebbe l’integrità territoriale della sua nazione, come é giusto che sia, sarebbe assolutamente in linea con quanto asserito dal suo legittimo presidente e da quanto siglato in Bielorussia, non consentirebbe a Putin di cantare vittoria, innestando in Russia probabili deflagranti conseguenza politiche. Kiev dovrebbe non sfuggire ma intestarsi i risultati di un’intesa siffatta al di fuori della quale Mosca dovrebbe solo essere tacitata con le armi. Ovviamente dando tutta la responsabilità alla Russia della piu che probabile mancata intesa. E’ complicato convincere Putin e il delirante Medvedev, che ad ogni canto minaccia un ricorso all’uso dell’atomica sapendo che questa può essere solo una pressione, di fatto a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina come pure dichiara il documento cinese al punto uno e cioè sostenendo testualmente che “gli scopi e i principi della Carta delle nazioni unite dovrebbero essere rigorosamente osservate e la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale in tutti i paesi essere effettivamente garantite”. Penso che Xi potrebbe anche riuscire a combinare qualcosa. La Cina e l’India hanno per la prima volta condannato l’aggressione russa all’Ucraina nel corso della recente assemblea delle Nazioni unite. E dunque sarebbe, soprattutto la Cina, con la quale Mosca non può rompere pena una crisi economica di proporzioni inimmaginabili, il soggetto più idoneo per convincere Mosca al ritiro, sia pur condizionato da altre clausole. Per questo non servono miracoli a cui pure potrebbe tendere la Santa Sede, ma concreti passi in avanti. Se mediazione deve esserci essa non potrà scalfire i più elementari diritti all’esistenza degli stati sovrani e al ritiro di un’occupazione militare violenta. Tutto il resto può essere messo in discussione, ma non la Carta della Nazioni unite (soprattutto sul “divieto a usare la forza nelle relazioni internazionali tranne nei casi della legittima difesa individuale e collettiva” e sul “rispetto reciproco tra gli stati , l’integrità territoriale e la sovranità degli altri paesi) e l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei diritti umani che cita esplicitamente “il diritto alla nazionalità”, nonché gli articoli della Convenzione europea che stabiliscono i principi di libertà e di uguaglianza. In Ucraina, che tra qualche anno sarà accolta nella comunità europea, sono in gioco questi principi. E la nostra civiltà giuridica democratica.
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.