Fin dall’inizio della discussione della cosiddetta legge Tremaglia, noi socialisti abbiamo denunciato il rischio di norme legislative carenti e sbagliate che hanno favorito irregolarità se non addirittura brogli nelle candidature e nelle operazioni di voto.
Nella nostra legge elettorale che organizza il voto degli italiani residenti all’estero non si ritrova coerente rigore e grande sensibilità per alcuni elementari quanto irrinunciabili diritti Costituzionali.
Una questione fondamentale è parsa quella relativa alle modalità di voto, che deve essere “personale, libero e segreto”, come specifica l’articolo 48 della Costituzione.
I tre sistemi che sono emersi nel dibattito delle proposte di legge erano:
-il voto per corrispondenza;
-il voto nelle sedi consolari;
-il voto per delega che, per chiari motivi, è sempre scartato, perché non garantisce né la segretezza, né l’esercizio personale del diritto-dovere.
In merito al voto per corrispondenza, che poi è prevalso, va detto che, seppure adottato da altri Paesi, comporta alcuni rischi di funzionamento e di segretezza del voto a fronte di una tale macchinosità (invio delle liste, delle schede, delle buste, eccetera). L’anomalìa per cui la modalità di voto degli italiani all’estero non solo avviene per corrispondenza, ma anche affidandosi ai sistemi postali locali, prestandosi a metodi di raccolta e spedizione che non salvaguardano la segretezza del voto. Il rapporto Clerfayt (in tema di diritti elettorali nei paesi del Consiglio d’ Europa) recepiva il rilievo del giudice La Pergola, secondo cui, in ragione del pericolo di frodi, il voto postale “dovrebbe essere consentito soltanto se il servizio postale è sicuro – in altre parole se è al riparo da interferenze intenzionali – ed affidabile (nel senso che funziona propriamente)”. Non mi pare che in molti dei Paesi in cui si vota tali requisiti siano garantiti, soprattutto se si considera che spesso si tratta di servizi resi a pagamento con tariffe di mercato, che potrebbero dissuadere dal partecipare o, peggio, indurre ad affidarsi a “collettori” interessati che si facciano carico dell’onere della spedizione.
Se a ciò si aggiunge la grave incertezza sull’anagrafe degli italiani all’estero, che registra difformità nei conteggi degli aventi diritto al voto nell’ordine delle varie centinaia di migliaia di elettori, si può valutare appieno la necessità di un sistema di controllo della regolarità di queste elezioni. Esso potrà essere apprestato su base volontaria da alcuni partiti, ma credo che ricorrano appieno quelle “eccezionali circostanze” che consiglierebbero alla missione OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è la più grande organizzazione intergovernativa di sicurezza regionale per la promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione in Europa che conta, attualmente, cinquantasette paesi membri.) di dislocare osservatori presso i principali centri di raccolta, le ambasciate d’Italia e presso la sede della Corte d’appello di Roma (incaricata dello scrutinio).
Noi Socialisti presentammo una nostra proposta di Legge (la n° 5958) optando per la seconda soluzione, il voto nelle sedi consolari, malgrado le obiezioni sui costi da sostenere e il numero di seggi necessari.
Il voto esercitato presso le sedi consolari comporta certamente una precisa regolamentazione delle procedure, ma soddisfa il dettato costituzionale risultando altrettanto sicuramente “personale, libero e segreto”.
Il problema della lontananza di molti connazionali dalle sedi consolari può essere risolto attraverso un decreto del Presidente della Repubblica, estendendo la costituzione dei seggi anche nelle principali località di residenza delle più numerose collettività italiane che risultino prive di consolato, oppure nelle agenzie consolari.
Quando presentammo questa proposta legislativa eravamo confortati dalla verifica, se mai ce ne fosse stato bisogno, della votazione dei Comitati degli italiani all’estero del 1991, in cui avevano partecipato 666.085 cittadini italiani all’estero, con il 46 per cento di aumento rispetto ai votanti del 1986.
Il problema paventato dell’affollamento in alcuni consolati (ad esempio, nelle principali città dell’America latina) non si pone, in quanto va prevista l’istituzione di un seggio ogni 1.000 elettori. D’altra parte non sono richieste in quella sede operazioni di scrutinio, il che porta a ridurre il personale necessario alla sola verifica dell’adempimento corretto delle operazioni di voto.
Anche alle presunte difficoltà tecniche di trasporto delle urne si può ovviare mediante la loro raccolta nelle ambasciate ed il trasbordo al Ministero dell’interno delle schede degli elettori in sacchi distinti solo per tipo di votazione.
Le cose sono andate diversamente, sono prevalsi gli interessi dei partiti più grossi e le cose sono andate come sappiamo. Poca trasparenza, ampie irregolarità che hanno preoccupato la comunità internazionale tantoché sia nella prima applicazione della Legge “Tremaglia” (2006) che nelle elezioni politiche del 2008 abbiamo avuto la visita umiliante della delegazione parlamentare di ispezione dell’OSCE.
Giovanni Crema