Di Jacopo Mutinelli
27 Agosto 1896, ore 9:01 ha inizio la guerra più corta di sempre
Ci troviamo sull’isola di Zanzibar, attuale Tanzania ma all’epoca ancora un sultanato, all’interno del palazzo reale. Sulla sua sommità, garrisce al cielo una bandiera rossa, recante le effigi della famiglia principesca, simbolo che legittima i detentori del potere temporale.
Il corrente rettore del regime, Khālid bin Bargash, si trova in quel momento sottostante di alcuni piani.
Ha uno sguardo particolarmente torvo, e tiene un orologio a cipollotto in mano. Sta scrutando dalla vetrata la baia circostante, dove ad ammollo si vedono 3 incrociatori inglesi sull’attenti, insieme a due cannoniere.
Improvvisamente, una di loro spara un colpo di cannone, che schiva miracolosamente il faro, e si abbatte invece su uno dei soli 3 cannoni posizionati a difesa della reggia.
Le guardie regali tentano di rispondere all’offesa, ma un secondo colpo centra in pieno l’Harem adiacente, che rapidamente è divorato dalle fiamme.
Da lì in poi, la pioggia di fuoco si fa sempre più estenuante, e dopo svariati minuti di belligeranza prolungata il palazzo, crivellato fin nelle fondamenta, inizia a crollare.
La dichiarazione di resa non tarda, ed il drappo rosso, ormai dilaniato, viene ammainato alle 9:40: con esito scontato, si era appena concluso quello che, ad oggi, è ancora considerato il conflitto internazionale più corto di sempre.
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La guerra più corta di sempre: Per ricostruire interamente la vicenda, dobbiamo però retrocedere nel tempo a due giorni prima della “battaglia”.
Il giorno 25, il trentanovenne sultano in carica Ḥamad Bin Thuwayni morì improvvisamente, intorno alle 11 del mattino, in circostanze misteriose.
Sospetti di omicidio si addensarono sul già citato nipote Khālid, il pomeriggio stesso si insediò nella fortezza del principato nella capitale di Stone Town.
Commise così il suo unico errore, ovvero fare i conti senza l’oste: essendo infatti il sultanato a tutti gli effetti un protettorato britannico.
il governo inglese aveva potere di veto sulle scelte dinastiche di successione, ed avrebbe preferito fosse invece Ḥamūd bin Muḥammed, altro membro della famiglia reale e favorevole al dominio britannico, a succedere al posto suo.
Khālid fu immediatamente ammonito dal console e agente diplomatico di Zanzibar, Basil Cave, ma di tutta risposta iniziò invece ad arruolare una milizia, a difesa del palazzo.
A sua volta, il generale Lloyd Matthews iniziò anch’egli a raggruppare un contingente di uomini, composto in parte da locali arruolatisi in cerca di un salario fisso, ed in parte da marines d’istanza che risiedevano sull’incrociatore cannoniere attraccato a breve distanza, il quale, riposizionandosi, mise sotto tiro la residenza reale.
Nonostante gli incessanti rifiuti ad un qualsiasi tipo di trattativa da parte del neo-sultano, Cave e Mathews non potevano aprire le ostilità senza l’approvazione esplicita del proprio governo, pertanto telegrafarono il seguente messaggio al gabinetto di Londra: «Siamo autorizzati, in caso di fallimento di tutti i tentativi di una risoluzione pacifica, ad aprire il fuoco contro il palazzo?”
La guerra più corta di sempre: Il giorno dopo
La mattina successiva, ottenuta l’autorizzazione, gli altri due incrociatori e le cannoniere si aggiunsero alla somme dei dispieghi navali d’oltremanica. Un ultimatum venne lanciato per la seguente mattinata, con l’ordine di rinunciare al titolo e sgomberare il palazzo entro le ore 9:00, pena il bersagliamento.
Quel pomeriggio, gli inglesi ebbero tempo e cura di evacuare tutte le proprie navi mercantili dal porto, oltre che ad offrire protezione ai propri connazionali residenti sull’isola all’interno dell’ambasciata, a protezione di un plotone fatto sbarcare.
Quella fatidica mattina, circa 500 zanzibarini tra uomini e donne furono uccisi o feriti durante il bombardamento, anche se la maggior parte delle morti avvenne a causa dell’incendio che interessò il palazzo. I britannici non ebbero morti tra i propri uomini, ma un solo ferito grave, che in seguito si riprese.
Il sultano Khālid riuscì a fuggire rifugiandosi nel consolato tedesco, che si rifiutò di consegnarlo agli inglesi, salvo poi accettare in un secondo momento di trasferirlo nella propria colonia a patto che ogni suo possibile sforzo di tornare in patria fosse reso vano.