di Alessandro Perelli.
Ancora morti in Cisgiordania per i raid dell’ esercito israeliano alla ricerca di terroristi arabi e palestinesi. La giustificazione è sempre la stessa: una reazione agli attentati compiuti ma anche una risposta ai missili (tutti intercettati) che continuano a venire lanciati da Hamas dalla striscia di Gaza. Come era ampiamente prevedibile la tensione e gli scontri sono aumentati sensibilmente dopo la formazione del nuovo Governo di Benjamin Netanyahu che comprende, oltre al Likud, tre partiti religiosi di estrema destra indispensabili per la la sua maggioranza. Finiti i tempi dell’ Accordo di Abramo (fatto dallo stesso Netanyahu con la supervisione dell’allora Presidente americano Trump) che aveva acceso le speranze per una distensione dei rapporti tra Israele e mondo arabo, gli estremisti da una parte e dall’altra hanno ripreso completamente la scena e la soluzione, patrocinata anche dall’ONU, dei due Stati con capitale condivisa Gerusalemme sembra essere sempre più distante con l’Iran che continua a soffiare sul fuoco. L’aggravarsi della questione palestinese ha allontanato Netanyahu dal suo possibile ruolo di mediatore sulla guerra scatenata da Putin in Ucraina, favorito dalla presenza in Israele di una numerosa comunità russofona anche se viene data per probabile una sua prossima visita a Kiev, ma non gli sta impedendo di portare avanti la riforma della giustizia, importante impegno del suo programma di Governo. Riforma estremamente delicata (d’altra parte noi in Italia ne sappiamo qualcosa) sulla quale è in atto una grande mobilitazione dell’opposizione e dell’opinione pubblica che nei giorni scorsi ha manifestato per le strade di Tel Aviv e di Gerusalemme. Tutto ruota al cosiddetto equilibrio di poteri che, a seconda di chi lo guarda, è considerato sbilanciato tra quello politico e quello giudiziario. La riforma è stata presentata dal Ministro della Giustizia Yariv Levin ed è sostenuta sia dal Likud che dai partiti religiosi ultraortodossi. Entrambi hanno interessi e ragioni per lamentarsi delle recenti ultime decisioni della Corte Suprema. Di rilievo non solo interno sono state le prese di posizione della magistratura che ha mandato a processo Netanyahu con accuse di corruzione dallo stesso definite solo politicamente morivate. Gli ultraortodossi lamentano invece interventi tendenti a limitare loro privilegi e esenzioni, dagli stessi definiti diritti, di cui godono. Un esempio è quello del servizio militare, obbligatorio per tutti ma non per loro. Di fatto, negli ultimi anni la Corte Suprema, in un Paese dove non esiste un bicameralismo e il Presidente della Repubblica ha ancora meno poteri rispetto a un comune sistema parlamentare, non potendo neanche rinviare né mettere il vero alle leggi approvate, ha assunto quello che i proponenti della riforma definiscono un ruolo improprio di vero e proprio contrappeso al potere esecutivo. La Corte infatti ha il potere non soltanto di abolire le leggi ma anche gli atti amministrativi del Governo e degli Enti. Questo in base alla cosiddetta “clausola di ragionevolezza” in base alla quale se si interpreta la non positività di un qualsiasi provvedimento lo si può abolire senza che il Parlamento possa intervenire. Di fronte a questa situazione la proposta di riforma del Governo Netanyahu si basa su due aspetti. Il primo è costituito dalle modalità di nomina dei giudici. Si vorrebbe aumentare da nove a undici i membri della Commissione addetta alla selezione degli stessi aumentando da quattro a otto quelli di nomina governativa. Quindi per garantire all’Esecutivo un controllo totale dell’ organismo giudiziario. Il secondo, egualmente importante, toglie alla Corte Suprema il potere di abolire le leggi approvate dal Parlamento, addirittura ribaltando l’attuale stato di cose e dando invece alla Knesset ( con un semplice voto di maggioranza semplice) la facoltà di annullare le decisioni della Corte. Una vera e propria rivoluzione quindi che però è contestata come un pericolo per la democrazia. In effetti si passerebbe ad un situazione in cui il potere politico non subirebbe più alcun controllo non essendoci più nessun organismo che potrebbe controllarne le decisioni sorvegliandone l’operato come accade in tutti i sistemi democratici. Al momento, in una materia che dovrebbe per il suo rilievo costituzionale essere affrontata unitariamente, non si vedono spazi di dialogo o di compromesso tra maggioranza e opposizione. Ma l’onda di protesta che, in Israele, si è levata contro la riforma, sta assumendo toni sempre più eclatanti ed estesi tanto da poter essere considerata ormai come un test di tenuta della coalizione di Governo. Netanyahu sa bene che su di essa si giocherà il suo futuro personale e politico.