Se guardiamo la classifica sulla parità di genere, i Paesi scandinavi sono tra quelli meglio piazzati da tempo. Non parliamo poi dell’Islanda, da quattordici anni al primo posto secondo il World Economic Forum che relega il nostro Paese appena al settantacinquesimo (nonostante la recente nomina a Premier per la prima volta di una donna, Giorgia Meloni). L’Islanda ha costruito negli anni questo suo primato, non tanto per la decisione di assegnare il voto alle donne, che la vide solo al terzo posto dopo Nuova Zelanda e Finlandia, quanto per il complesso delle norme che regolano l’emancipazione femminile e l’uguaglianza trai sessi. Storicamente risale al 24 ottobre 1975 la data del primo sciopero delle donne in questo piccolo Paese che vide una massiccia partecipazione delle stesse al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore del lavoro femminile per la situazione economica dell’Islanda, con la richiesta di eguaglianza per quanto concerne le retribuzioni e di miglioramento delle condizioni di lavoro. Per un giorno intero le islandesi non svolsero i compiti e le faccende casalinghi e domestiche né accudirono i figli, oltreché ovviamente non si presentarono a lavorare.
Bene, martedì 24 ottobre (la data evidentemente non é stata scelta a caso ) ma di quest’anno, un comitato organizzativo con portavoce Vigdis Finnbogadottir ne ha deciso una replica. Per la strada della capitale Reykjavik sono sfilate più di 100.000 manifestanti di ogni età per chiedere parità di stipendio e di condizioni di lavoro e di vita. Le promotrici hanno spiegato che, anche se l’Islanda, da questo punto di vista, è il Paese più evoluto, non sia sufficiente accontentarsi di quello che si è ottenuto ma occorra puntare più in alto e essere un modello per tutti. Vi sono tuttora casi in cui il gap, nel salario delle professioni, rispetto ai maschi, è del 21%, senza parlare del lavoro non remunerato e dalle donne che, ancora oggi, subiscono le imposizioni del patriarcato. Perfino la Prima Ministra, Katrin Jakobsdottir ha condiviso e partecipato allo sciopero anche se, ha voluto commentare qualcuno, un po’ in contraddizione con il suo ruolo dipendendo proprio da lei e da suo Governo decidere i provvedimenti ed emanare le norme per poter sanare le sperequazioni a base dell’iniziativa. Per ventiquattro ore le donne islandesi hanno incrociato le braccia con la sospensione di alcuni servizi pubblici e con i supermercati in affanno dove soltanto gli uomini erano al lavoro.
L’obiettivo che si pone l’Islanda è di raggiungere la parità assoluta nel 2030. La strada rimane in salita e secondo le organizzatrici ci vorranno molti più anni per raggiungere questo traguardo. Lo sciopero è stato un successo. A Reykjavik e in quasi tutte le altre città sono rimaste chiusi negozi banche, biblioteche e scuole mentre gli ospedali hanno lavorato con personale molto ridotto. Durante la manifestazione nella capitale sono stati effettuati comizi e interventi di attiviste, sindacaliste. Imprenditrici e donne del mondo dello spettacolo con concerti di gruppi femminili. E’ stata anche una dimostrazione di grande maturità. Tutto si è svolto senza incidenti e con unicamente qualche inevitabile blocco alè traffico. Una grande prova di democrazia che fa da contraltare alla vergognosa e intollerabile situazione di alcuni Paesi come l’Iran e l’Afghanistan (che è ultimo nella classifica prima citata) dove la parità di genere non solo rimane un sogno ma viene negata con la violenza e con la sopraffazione.