di Lucia Abbatantuono
“Daremo il benvenuto alla Finlandia come trentunesimo alleato, alzeremo la bandiera finlandese per la prima volta e sarà una buona giornata per la sicurezza di tutti“, dice Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, e continua: “Helsinki diventa membro dell’Alleanza e al contempo si riunisce la commissione NATO – Ucraina col ministro degli esteri Dmytro Kuleba. Non sappiamo quando la guerra finirà, ma quando succederà dovremo avere precisi accordi per essere sicuri che la Russia non invada ancora“. Dichiarazione che non lascia spazio all’immaginazione, e suona più come una chiamata alle armi che come una mano tesa alla soluzione pacifica del conflitto. Tant’è vero che la risposta del Cremlino è giunta rapida come le peggiori saette, e con la voce del ministro degli esteri Alexander Grushko che ha dichiarato alla stampa: “La Russia rafforzerà le sue difese nell’ovest e nel nord-ovest del Paese in risposta all’ingresso della Finlandia nella Nato“, tutto sommato usando toni obiettivamente moderati rispetto a quelli del parlamentare russo Konstantin Dolgov che, solo pochi giorni fa, tuonava: “L’adesione della Finlandia alla Nato mina la sicurezza della Russia e la rende un obiettivo legittimo per le forze armate russe“. Se è doveroso, a questo punto, ricordare che Helsinki dista soli 380 chilometri da San Pietroburgo, altrettanto opportuno è sottolineare che la Finlandia aderisce alla NATO proprio grazie all’iniziativa di Sanna Marin, la premier socialdemocratica appena scavalcata dalla schiacciante vittoria delle destre finlandesi, da sempre anti-europeiste e anti-immigrazione. Ma questa ultradestra è favorevole o contraria alla NATO? La risposta si trova nel tipo di rapporti che i destrorsi vorranno gestire con gli Stati Uniti, azionisti di indiscussa maggioranza della partnership atlantica. Di certo, che l’ingresso nella NATO avvenga proprio all’indomani di questo ribaltone politico non è di per sé un evento utile a spianare la strada ai vincitori. La nuova premier Petteri Orpo, già ex ministro delle finanze nel governo Marin e leader conservatore del Partito della Coalizione Nazionale, dovrà in tempi record formare una nuova compagine politica. E lo farà insieme alla seconda forza politica emersa dalle urne: il partito dei Veri Finlandesi (come se gli altri fossero meno finlandesi di loro…) guidato da un’altra donna, Riikka Purna, che sembra incarnare secoli di aggressività vichinga. Aggressività alquanto fuori luogo, di questi tempi: la Finlandia condivide con la Russia un lungo confine terrestre (1340 chilometri), è un membro dell’Unione europea dal 1995 e conta cinque milioni e mezzo di abitanti. Solo lo scorso anno l’invasione russa dell’Ucraina ha spinto il Paese a chiedere l’adesione all’Alleanza Atlantica, cosa che Sanna Marin ha fatto nel maggio 2022 passando alla storia come il leader che, con una sola firma, ha cancellato la storica neutralità di Helsinki. Tra i temi di dibattito sui quali i finlandesi hanno deciso di affidare il governo all’ultradestra, però, quello dell’adesione alla NATO non è mai stato nemmeno sfiorato durante la campagna elettorale, quasi del tutto dominata da altri argomenti caldi, come l’aumento del debito pubblico, il cambiamento climatico, l’istruzione, l’immigrazione e i benefit sociali. Ma cosa potrà accadere ora che anche Helsinki avrà la sua bandiera nel cortile d’onore di Mons, nel Quartier Generale della NATO, poco lontano da Bruxelles? Di certo chiunque aderisca al Patto Atlantico è disposto a prendere il pacchetto completo dell’opzione, accollandosi onori e oneri. E la Finlandia non entra nell’Alleanza dalla porta di servizio: le sue forze armate sono rinomate ovunque, con un numero di coscritti che rappresenta i due terzi dell’Esercito, oltre la metà della Marina e un terzo dell’Aeronautica. La leva, ancora obbligatoria a quelle latitudini, dura dai sei mesi ai nove mesi (questo per ufficiali, sottufficiali e alcune specialità d’elite). Gli effettivi oggi in servizio attivo sono circa 35mila. Da quasi mezzo secolo le forze armate finlandesi sono modellate sullo standard della difesa territoriale, come prevedeva la strategia bellica dell’inverno del 1939-1940: combattimento ritardatore e successivo ripiegamento verso le aree urbane, identica tattica in gran parte adoperata oggi proprio nel teatro ucraino. La difesa contraerea già a partire dagli Anni ’80 (e già adattandosi alla minaccia sovietica onnipresente lungo il confine) ha optato per missili di produzione occidentale. Perfino i sistemi antiaerei SAM russi sono stati abbandonati definitivamente dieci anni fa, subito dopo l’annessione della Crimea alla Federazione. Sul piano strategico, il sistema integrato di difesa finlandese rappresenta il modello più riuscito di strategia globale che, in tempo di guerra, coinvolge tutti i settori nell’imperativo categorico della difesa. In caso di crisi, infatti, il Parlamento vota la legge sulla difesa dello Stato e ogni ministero attiva piani già prestabiliti, testati periodicamente. In pratica, il governo mobilita tutte le organizzazioni militari e civili, dalle Forze Armate alle istituzioni economiche e sociali, compresi governo, parlamento e singoli individui, e attiva un Comitato per la sicurezza e la difesa ad hoc. La prima delle misure previste è la mobilitazione generale, che si affida al potenziale coinvolgimento immediato di circa 900.000 militari. Va anche ricordato che dopo la fase di neutralità e coabitazione pacifica con la Russia, Helsinki ha adottato una linea più rigida per fronteggiare le recenti tensioni con Mosca; del resto il Paese ricorda non solo la guerra degli Anni ’40 ma anche lo smacco subito a inizio ‘800 quando il granducato indipendente finlandese finì sotto il giogo russo per oltre un secolo (dal 1809 al 1917). Sconfitto nel 1944, il Paese conservò la propria indipendenza in cambio di enormi concessioni e votandosi alla totale neutralità, pur perdendo per sempre la Carelia, che resta tuttora una questione spinosa nei rapporti con la Russia. Insomma, la politica finlandese nei riguardi di Mosca è riassumibile in poche parole: non parlarne mai, ma pensarci sempre. Per questo negli anni passati, pur non essendo ancora parte attiva della NATO, la Finlandia ha inviato una parte delle proprie forze a partecipare regolarmente alle esercitazioni militari dell’Allenza, e ha già da tempo una rappresentanza permanente al tavolo dei due maggiori comandi alleati: l’Allied Command for Operation di Mons e l’Allied Command for Transformation di Norfolk, negli USA. Un recente sondaggio ha rivelato che il consenso dei finlandesi versla NATO è aumentato dal 34% del 2021 al 62% dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Considerando poi la pura geografia, senza dubbio il maggior contributo finlandese all’Alleanza sarà l’accresciuta sicurezza di tutto il Nord Europa. Con buona pace dell’ultradestra chiamata ad occuparsi (anche) di questo.