di Lucia Abbatantuono
“Se vuoi governare un paese, devi pretendere di essere democratico“. Questo il messaggio lanciato lo scorso 27 gennaio dal Collegio Carlo Alberto di Torino, che ha ospitato la relazione del professor Sergei Guriev sul suo ultimo studio “Spin dictators: the new breed of tyranny for the globalized world”. Hanno preso parte al dibattito anche il presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo Francesco Profumo, il professor Giorgio Barba Navaretti, l’ex ministro Elsa Fornero e il professor Thierry Verdier della Paris School of Economics.
Figura interessante, quella del professor Guriev: d’aspetto imponente e dall’eloquio convincente, ma soprattutto con una storia singolare alle spalle. Russo, ma emigrato in Francia già da tempo, è stato a capo dello staff di esperti economisti della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, docente di economia per Morgan Stanley e rettore della Nuova Scuola Economica di Mosca, ambiente che lo spinse nell’aprile del 2013 a lasciare per sempre la Russia e a rifugiarsi a Parigi, dove tuttora insegna economia presso l’Istituto di Studi Politici – Sciences Po, istituzione per la quale ricopre anche la carica di preposto.
La decisione di abbandonare Mosca fu figlia del “preoccupante e umiliante interrogatorio” (sic) che Guriev subì quando alcuni investigatori governativi lo braccarono nel suo ufficio e sequestrarono tutta la corrispondenza degli ultimi cinque anni, periodo in cui era stato membro del panel di esperti economisti che criticava strenuamente la posizione russa nel caso Yukos (nel 2014 la Corte permanente d’arbitrato dell’Aja confermò tutte le teorie di Guriev, riconoscendo che la Russia abbia costretto il gruppo petrolifero Yukos alla bancarotta per impossessarsi impropriamente delle le sue risorse, senza neanche risarcire gli azionisti per aver perso tutti i loro investimenti).
Questo accadeva nel 2013, nonostante negli anni precedenti molte erano state le onorificenze internazionali riconosciute a Guriev: miglior Academic Manager in Scienze Sociali nel 2001, due volte medaglia d’oro come miglior ricercatore nel campo delle economie dello sviluppo e giovane leader globale nel 2006 secondo il World Economic Forum.
Il suo nuovo studio, visionabile integralmente sulla pagina web dedicata www.spindictators.com, si focalizza sugli attuali dittatori, definiti non a caso “Spin Dictators” proprio perché pretendono di apparire democratici. In questa loro farsesca tensione i dittatori contemporanei (Putin, Erdogan, Orban & company) sono ben diversi da quelli del passato. E lo sono fin dalla loro parvenza formale: se Stalin, Hitler o Mao indossavano divise militari, gli Spin Dictators sfoggiano impeccabili abiti sartoriali.
Il loro punto forte sta nell’imitazione della democrazia, arrivando a manipolare la comunicazione mediatica per mostrarsi come leader competenti sui temi più disparati, ma soprattutto economici. La loro è una violenza nascosta, intelligente e ben calcolata, diversa da quella terrorizzante del passato sia nella forma che nella sostanza. Se Gheddafi nel 1988 dichiarava spavaldo alle televisioni che la sua azione repressiva non aveva nulla da nascondere, e che se si fosse trattato di giustiziare qualcuno lo avrebbe fatto in pubblica piazza e a reti unificate, Putin preferisce fugare qualunque minima imputazione di atti criminali commessi a danno dei suoi più scomodi collaboratori. Pur non esistendo più quei famigerati “ministeri della censura” tanto cari ai dittatori di un tempo, tuttavia – dice Guriev – la censura è ovunque. Si coopta l’ideologia della gente, che in tal modo si auto-convince di essere libera.
A contare, insomma, è la percezione di libertà. Anche e soprattutto quando di libertà non c’è neanche un barlume.
E ad essere manipolato non è solo il comune sentire sociale, ma anche l’impressione di benessere economico diffuso. La modernizzazione generale che ha investito gli Stati negli ultimi decenni ha forzato anche la stessa autorità a evolversi: si è passati dal terrore tout-court alla manipolazione delle masse. Del resto, sottolinea Guriev, “molti degli attuali Spin Dictators prima vincono le elezioni, con modalità spesso dubbie e metodi non sempre leciti, e poi puntano all’immediata coercizione dei mass madia affinché questi siano la loro migliore cassa di risonanza per operare quel costante brain storming che assicura loro l’appoggio totale e supino dei cittadini“. Tra i migliori in questo campo spicca di certo il regime di Pechino, tanto che Guriev definisce quella cinese una era e propria “autocrazia digitale”.
Ma altri eventi recenti ci riportano casi simili: gli Stati Uniti dell’era Trump, l’Italia dei governi Berlusconi e il Brasile di Bolsonaro, fino all’Israele di Bennett. Putin fa scuola a parte: appena lanciata l’aggressione militare all’Ucraina, lo zar ha subito rispolverato le sue mimetiche e le sue alte uniformi, abbandonando per un attimo la sua immagine di Spin Dictator per tornare a mostrarsi leader militare di uno Stato non certo democratico che aveva in quel momento bisogno di un capo-guerriero. Guriev, che ha vissuto sulla propria pelle la violenza e l’opposizione del regime di Mosca, ricorda con tristezza che molti dei suoi ex colleghi accademici sono oggi i banchieri di Putin, che li ha irretiti nel suo progetto di farsa democratica e li usa per convincere i russi che la loro nazione sia in costante crescita economica, contro ogni evidenza scientifica. Questo perché “se convinci le masse che esiste una crescita economica, le masse odoreranno il benessere anche senza averlo realmente a disposizione“.
La globalizzazione ha favorito questo sistematico teatro politico: la rapidità dei mezzi di comunicazione, unita alla pervasività della loro efficacia comunicativa, garantisce agli Spin Dictators un potere ben superiore ai loro omologhi del Novecento.
Ma esiste un antidoto per arginare questa deriva dittatoriale? Il professor Guriev sostiene che la difesa debba essere collettivamente gestita dall’intera democrazia occidentale, con una serie di interventi coordinati e costanti. Innanzitutto attraverso un propedeutico monitoraggio degli accadimenti, compito che andrebbe affidato non solo degli organi di controspionaggio e cyber security, ma anche agli enti preposti al controllo dei flussi economici tra Stati. Accanto alla sorveglianza generica la ricetta di Guriev caldeggia la necessità di un nuovo riformismo democratico globale, da declinare in più modi: sostegno alle realtà regionali di resilienza democratica, riorganizzazione delle principali istituzioni come NATO, ONU, Unione Europea e finanche Interpol, limitazione estrema degli interventi militari, coalizzazione delle forze democratiche già esistenti su scala globale, ascolto dell’opinione pubblica. In poche parole, bisogna “supportare la democrazia in modo democratico” – afferma Guriev – “perché la Storia ci ha insegnato che le repubbliche rimpiazzano i sovrani e i dittatori sovvertono le repubbliche, ma nulla vieta che i popoli possano ancora liberarsi dei dittatori”. Del resto, è sufficiente notare che la stessa globalizzazione usata oggi dagli Spin Dictators a proprio vantaggio, in futuro potrebbe facilmente ritorcersi loro contro: la pervasività dei mezzi di comunicazione sarà sempre meglio utilizzata anche da quanti, democraticamente, riusciranno a far scudo contro la diffusione della manipolazione politica, e sul lungo periodo riusciranno a costringere i dittatori/manipolatori a ridimensionarsi.
Se a questo naturale processo di “illuminazione” popolare si affiancherà lo slancio economico liberale, da sempre nemico di ogni costrizione dispotica e al fianco della condivisione virtuosa di conoscenza, beni e servizi, allora il duplice valore dei cittadini democratici, nella loro doppia veste di utenti mediatici e di consumatori, l’avrà vinta perfino sul più abile degli Spin Dictators. Perché, conclude Guriev: “il mero fatto di violare le regole non significa che esse non esistano. Basta solo che siano davvero democratiche“.