di Alessandro Perelli.
Di colpi di stato la Repubblica del Sudan, situata a sud dell’Egitto, bagnata dal Mar Rosso a nord est e confinante a ovest con Etiopia e Eritrea, ne ha un’esperienza più che trentennale. Nel 1989 se ne svolse uno incruento che portò il colonnello Omar Al- Bashir alla guida del Paese. Fu la fine di una guerra civile che condusse al riconoscimento dell’autonomia della parte meridionale del territorio sancita da un referendum tenutosi nel gennaio 2011. Nel 2019, a seguito di proteste popolari che chiedevano le dimissioni di Al- Bashir, l’esercito con un nuovo colpo di stato lo ha defenestrato sostituendolo con un Consiglio Sovrano composto da civili e militari che avrebbe dovuto portare a una transizione con il ripristino delle istituzioni democratiche dopo qualche anno. Ma la situazione è di nuovo precipitata. Negli ultimi giorni la capitale la capitale Khartoum è stata oggetto di scontri armati e esplosioni che hanno causato un numero ancora imprecisato di vittime (già comunque di alcune decine) tra l’esercito del Paese e forze paramilitari (RSF) che affermano di aver preso il controllo dell’aeroporto (lo spazio aereo è stato chiuso) e del palazzo presidenziale. Da una parte i generali che sostengono il Consiglio Sovrano (a capo del quale è il gen. Abdel Fattah Al- Burgman) dall’altra il vice presidente del Consiglio, Gen. Mohamed Hamdan Dagalo che guida le RSF. Tra le due parti non c’è accordo sui tempi di restaurazione delle istituzioni democratiche e nonostante gli appelli delle potenze occidentali e dei leaders regionali a smorzare le tensioni il clima si è fatto sempre più acceso. L’ Unione Africana è intervenuta inutilmente in proposito. Di questo preoccupante stato di cose si e interessato anche il nostro Ministro degli Esteri Tajani che ha rivolto, tramite la nostra Ambasciata, un invito ai numerosi italiani presenti in Sudan di rimanere chiusi nelle proprie abitazioni. Ma cosa si nasconde dietro questi avvenimenti? Le truppe della RSF (100.000 uomini dislocati in tutto il Paese) non hanno mai accettato di essere integrate nell’esercito sudanese e sono state accusate da più parti di gravi crimini e di abusi di diritti umani. Dagalo le utilizzò in Yemen a fianco della coalizione a guida saudita, procurandosi molte benemerenze tra le potenze del Golfo. Sono state inviate, significativamente, anche il Libia in aiuto al generale Haftar contro il governo di Tripoli. Inoltre sono state accusate di aver ucciso più di cento manifestanti nella capita Khartoum durante un sit in da essi organizzato davanti al quartier generale dell’ esercito. A ciò si sono aggiunti rapimenti di donne e bambini e saccheggi in alcune città. L’appoggio ricevuto negli ultimi anni dal gruppo filorusso della Wagner parla sufficientemente chiaro sugli appoggi internazionali dei militari del Gen.Dagalo e degli interessi strategici da essi portati avanti anche se il Ministro degli Esteri russo Lavrov ha espresso preoccupazione per il deteriorarsi della situazione auspicando la fine delle tensioni. Il Sudan è uno degli Stati più poveri del mondo e fronteggia da anni una grave crisi economica resa ancora più pesante per il fatto che non riesce ad accedere ad aiuti internazionali per via di un sistema chiuso alle regole di mercato e controllato solo dai militari. Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha annunciato di aver temporaneamente bloccato tutte le iniziative in Sudan dopo che tre dei suoi dipendenti sono rimasti uccisi negli scontri avvenuti. La presenza di giacimenti di petrolio (il 49% viene esportato in Cina) non ha permesso di risollevare finanziariamente il Paese. Il nuovo colpo di stato tentato, in questi giorni, dal gen Dagalo si inserisce nella strategia che vede Russia e Cina aumentare la loro influenza nel territorio africano. La tattica utilizzata è quella di inserirsi nei conflitti locali facendo prevalere una parte per poi aver accesso alle risorse naturali del Paese .