La calunnia è un venticello, recita la celebre aria Rossiniana del Barbiere di Siviglia, per narrare che Don Basilio, il maestro di musica di Rosina, viene incaricato da Don Bartolo di screditare, con qualsiasi mezzo, Almaviva agli occhi della giovane per impedire il loro matrimonio.
E Don Basilio sa bene come fare: con la calunnia, detta un giorno qua, un giorno là, un venticello leggero, che lentamente s’insinua nella mente delle persone e poco a poco si propaga, per poi esplodere come un temporale o un terremoto, distruggendo la reputazione del calunniato.
La calunnia che Dante chiama anche calogna, è sempre stata l’arma dei deboli e dei pavidi, come Don Bartolo che non sarà mai amato da Rosina.
Perché il calunniatore spera nel famoso aforisma “Calunniate, calunniate; qualcosa resterà”, attribuito ora a Jean-Jacques Rousseau, ora a Voltaire, ma che addirittura sembra sia stato pronunciato dal filosofo inglese Francesco Bacone in De dignitate et augmentis scientiarum, che spiega quanta forza abbia negli animi la calunnia e come essa, in ogni caso, sia in grado di produrre effetti dannosi.
Ci sperano gli improvvidi giovanottini, o un po’ meno giovanottini, che hanno lanciato la pungente e fastidiosa arietta settembrina di un dissidio tra Nencini e Pastorelli, sfociato addirittura in una loro feroce lite e frattura.
Certo che sono davvero deboli, più di Don Bartolo, e come lui privi di argomenti.
Forse privi di risorse e anche di idee, che sono il vero patrimonio di chi fa politica.
Perché la forza della azione politica sono proprio la progettualità e l’ideale attorno ai quali si stringe il consenso, non per un gesto di passione, per lanciare, come dicono dalle parti di Via Santa Caterina da Siena, il cuore oltre l’ostacolo, ma per costruire un domani soprattutto per le future generazioni, per lanciare la mente oltre il futuro.
E se si ricorre a questi mezzucci, per demolire i calunniati e frantumare il loro consenso sperando di raccoglierne brandelli, vuol dire che anche la portata della frutta è saltata.
Una guerra senza soldati e senza cannoni, quella lanciata, che non porterà a nulla e che sarebbe dovuta essere sostituita da segnali di pace, ma che la loro irriducibilità, pari a quella dei Sioux o degli Apache, porterà solo a tristi sconfitte.
Messaggi, non di resa, ma di pacificazione, paritaria e non con la supponenza di chi si sente forte, sarebbero stati segnali di buon senso, ma anche di intelligenza politica, che evidentemente manca.
“Qualcosa resterà”, recitava l’aforisma, ma non questa volta perché tra Riccardo Nencini e Oreste Pastorelli c’è una unità di intenti che va oltre la dichiarazione da loro pronunciata e inviata al nostro giornale poco fa.
Il cammino dell’associazione presieduta da Pastorelli, oltre che dagli altri dirigenti che vi hanno aderito, e alla quale appartiene Nencini, è chiaro ed è quello di condurre quella parte della comunità socialista, che si rifiuta di porsi prona agli estremismi integral-populistici della Schlein di Conte e del resto della sinistra-sinistra, verso la sponda della autonomia e dell’autonomismo, lo stesso di Turati, di Matteotti e nei tempi recenti di Craxi.
Non è necessario, per ora, sapere con chi, perché da queste parti si hanno a cuore i programmi e le idee, che sono tante, e non le aspettative elettorali.
Dalle nostre parti abbiamo bisogno di credere in qualcosa e non saremmo capaci di far ciò in cui non crediamo solo perché speriamo che una poltrona ci aspetti.
E soprattutto usiamo la critica, l’ironia, a volte la presa in giro, ma non la calunnia.
1 commento
Oggi il compito dei Socialisti è costruire la Casa dei Riformisti con le radici nell’Umanesimo.