Premessa
Che il caso dell’innocente Josè Garramon abbia conosciuto una sentenza definitiva, l’ho scritto in tutti e tre gli articoli precedenti (qui 1, 2, 3), così come ho ribadito che Marco Accetti ha scontato la sua pena di due anni e otto mesi per omicidio colposo aggravato e omissione di soccorso. Ancora una volta scrivo, che le sentenze vanno accettate e rispettate, sacrosanto, così come sacrosanto è poterle criticare. in questo caso, altro che criticare, quello che mi impone di scrivere quanto sopra, e che mi impedisce di dire quel che vorrei dire davvero, si chiama rischio di querela.
La querela, sempre più sventolata, è il mezzuccio dei colpevoli o dei mediocri. Ad esempio gli ndranghetisti, ma possiamo tranquillamente riferirci ai mafiosi in generale, abusano ampiamente di questo strumento, per mettere a tacere chi, di verità da diffondere ne ha e, per potersi comunque dilettare nella loro nobile arte della minaccia, travestita per i colletti bianchi. Poi ci sono quelli che si prendono estremamente sul serio, quelli che mentre distribuivano l‘autoironia, erano ad arruolare legioni di avvocati; quelli che ti querelano anche se gli segnali una doppia punta. Simpatici come la sabbia nel letto, condividono con i primi la prepotenza e la vigliaccheria che porta questi novelli Schettino a rifuggire dalle loro responsabilità. “Andate a bordo, andate a bordo cazzo, andate a bordo“.
Nella vita siamo responsabili delle nostre scelte e delle nostre azioni, e chi si riscrive gli eventi a propria misura, chi scarica su altri le proprie colpe, dovrebbe aver almeno la decenza di tacere, di tanto in tanto.
Un ragazzino sveglio
Negli scorsi articoli mi sono concentrata prevalentemente sulla sera del 20 dicembre 1983, su cui tornerò a breve. Tuttavia è utile fare un rewind, provando a individuare i luoghi in cui Josè può essere entrato in contatto con le persone che si renderanno responsabili del suo sequestro e delle azioni che lo conducono alla morte.
Josè è un ragazzino di 12 anni, estremamente sveglio. Questo e lo si può facilmente evincere dai racconti della mamma Maria Laura, che ricorda quando entrò, con il fratellino, nella villa di Licio Gelli, a Montevideo, per recuperare “quei documenti che vogliono tanto in Italia“. Non so quanti di voi a 9-10 anni conoscessero Licio Gelli e la frenesia che il nostro Paese dimostrava nei confronti della documentazione del fondatore della Loggia Propaganda Due; anche a scuola Josè si distingue, diventando un punto di riferimento per amici e compagni.
Garramon ha tanti interessi; alcuni sorprendenti per un ragazzino così giovane, come quello per i Musei vaticani, altri più in linea con la sua età, come la grande passione per il modellismo di aeroplanini, che porta a volare nel campo, prossimo al bar Rosati. Nonostante è ancora un bambino, le sue caratteristiche mal coincidono con il profilo di un ingenuo, che salirebbe sul veicolo di persone sconosciute.
In quel giorno e a quell’ora anche l’ipotesi del ratto viene men, o meglio, come ho esposto nell’articolo Ecco cosa hanno in comune, se è vero che si sono registrati molteplici episodi dove, con totale non curanza, ora stupratori, ora rapitori, hanno perpetrato i loro crimini alla luce del giorno, e in luoghi affollati come le fermate dei mezzi pubblici e l‘uscita da scuola, è altrettanto vero che agire indisturbati e non essere visti, sono cose differenti.
Nel caso di Josè, alle 18.45 circa, ora di punta del rientro, a cinque giorni da Natale e in una via ricca di attività commerciali, nessuno nota un atto di coercizione; probabilmente Garramon sale sul mezzo di qualcuno, sicuramente ingannato, ma in maniera volontaria, spontaneamente. Chi è la persona che per mesi tesse la tela, la persona che riesce a conquistare la fiducia del dodicenne? Chi ha ingannato Josè, attirandolo senza remore, e senza pietà, nella trappola? La certezza da cui partire è che, sicuramente, non si tratta di Marco Accetti.
Chi guarda e chi parla
La responsabilità dell’intera faccenda di Josè Garramon è da quarant’anni affibbiata all‘unico condannato: Marco Accetti. Se non ho mai fatto mistero di ritenere quella sentenza per omicidio colposo inaccettabile, devo d’altro canto ammettere di essere piuttosto persuasa dall’idea che, più di una persona fosse presente quella sera a Castel Porziano, forse diretti a Villa di Plinio, e che più di una persona ha preso parte a quell’ “episodio“, dove l‘Uomo del Piffero, in realtà, avrebbe dovuto probabilmente assolvere un ruolo meno attivo e, almeno sulla carta, meno deleterio di quanto si è poi invece dimostrato.
Accetti viene accusato di essere il sequestratore di Garramon, e questo lo ritengo probabile; basta dare uno sguardo al furgone, con fogli di giornale e pannelli di legno oscuranti, per farsi venire qualche dubbio. Per non parlare di tutti i furgoni che va a noleggiare, comprare, modificare. I furgoni, se si osserva lo spazio a loro dedicato, devono essere l’altro grande amore del Pifferaio Tragico, dopo il cinema, la fotografia e, ovviamente, sé stesso.
In ogni caso, per raggiungere l’obiettivo di sottrarre il bambino e condurlo fino alla pineta, dobbiamo presumere che il dodicenne abbia accettato di salire sul veicolo perchè, sola od accompagnata che fosse, la persona da cui accetta il passaggio, era una figura riconosciuta come amica, non conoscente, amica. I bambini hanno una capacità di stabilire legami di amicizia molto più repentini dell’adulto, questo non significa che siano stupidi, anzi.
Nella maggior parte dei casi, a differenza dell’adulto che si arroga l’abilità di comprendere nell’immediato persone e situazioni, il bambino ascolta ancora molto quell‘autodifesa “animale”, istintiva che lo porta a salire in macchina con estranei a patto che sia presente una persona assolutamente fidata, così come l’autostop viene fatto in solitaria dall’adulto, il bambino, che ovviamente si trova a fare l’autostop in rarissime occasioni, tende a farlo in compagnia di altri amici, trovando sicurezza e conforto nel branco.
Se ho ragione nel ritenere che Josè Garramon non subì un rapimento coattivo, allora, alle 18.45 in Viale America, salì sul veicolo di una persona che reputava amica, qualora non si fosse trattato di un’amica, doveva trattarsi di qualcuno che godeva di indubbia fiducia, come può essere un’insegnante o una catechista. Sicuramente non si trattava di MFA perchè Accetti, Josè, l’ha forse selezionato, osservandolo durante l’estate dai tavolini del bar del Cafè Rosati, ma non lo ha mai avvicinato. Questo possiamo evincerlo sia dalla sua costante di avvalersi del sostegno di una presenza femminile, elemento che risulta sempre psicologicamente rassicurante, e dalla visita che fece travestito da prete a casa Garramon, pochi giorni prima della morte del ragazzino.
Entrambe le suddette motivazioni potrebbero essere confutabili: la prima perché lo stesso cameriere si dirà convinto di averlo riconosciuto anche nel febbraio successivo, presso un benzinaio; fatto improbabile dal momento che Accetti si trovava a Rebibbia. Credo possa capitare di confondere una persona, con un’altra, specie se vista di sfuggita, come capita quando si passa da un benzinaio.
Diverso è servire un cliente al tavolo più di tre volte; che si intrattenga una conversazione o meno, lo si mette a fuoco. Ritenere falsa l’indicazione che ha visto per tutto il mese di settembre, l’Accetti seduto ai tavolini di un bar a meno di 100mt. dall’abitazione di Josè Garramon, in via dell’Aeronautica, non mi pare una scelta logica; ma tant’è, soprattutto se di mezzo abbiamo mr. Marco Accetti.
Nonostante neghi con fermezza -è noto il peso che io attribuisco a ciò che Accetti propone come vero e ciò che propone come falso- di essersi recato a casa Garramon vestito da prete, parlando di fotografie, state pur certi che il fatto è avvenuto realmente. Maria Laura, la mamma di Josè, riferisce che ai tempi ne diede notizia, avendo trovato strana la vicenda, anche al suo padre spirituale. Stiamo parlando di tempi e luoghi non sospetti.
Marco Accetti non va nominato
Dirò ancora due parole su Marco Accetti; l’individuo a cui non bisogna dare visibilità. L’individuo, forse l’unico, che può dare davvero una via per raggiungere la verità su Emanuela Orlandi; ma non per le boiate che racconta, ma per quello che tenta disperatamente di inabissare, quello che non racconta, quello per cui è stato inviato in Tv a buttare palate di fumo negli occhi. Accetti è un personaggio chiave ma, al contempo è un essere umano molto particolare: abilissimo nel deridere gli altri, incapace di autoironia, di incassare una critica, con un’invidiabile, altissima, opinione di sè, non è in grado di ritenersi fallibile, si loda e si imbroda.
La verità è che al di là di cosa ognuno voglia pensare, Marco Accetti – evitate il Fassoni, lui è un misogino in piena regola, se ha aggiunto il secondo cognome è perchè molto legato alla madre e non per il suo inesistente e millantato sostegno alla causa femminista. Non è mai diventato radicale, socialista, comunista o balle varie– spunta in televisione a raccontare quella storia fantastica nel momento in cui le indagini e gli occhi sono puntati sulla “pista della Magliana”. Dagli ambienti dell’eversione e della mala, quelli veri, non quelli da serie TV, quelli con cui parli lasciando il cellulare nella macchina parcheggiata a un chilometro di distanza, quelli che non ti rilasciano il documento firmato e timbrato, ecco da quelli sono giunte interessanti informazioni.
Volete la verità su Emanuela (questione che può essere iniziata realmente da un evento altro ma, ormai, assurta a question di Stato intorno alla quale muovono molti poteri)? Allora dovete smettere di camminare in battigia e spostarvi dove l’acqua è bella alta, con tutte le conseguenze del caso. L’affare Orlandi è la sagra dei “finti tonti”, quelli che al massimo nominano la “Magliana” e i contatti con le mafie. La questione Orlandi per un motivo, per un favore o per l’altro ha penetrato i suoi tentacoli ovunque. Coinvolge il mondo dello spettacolo, utilissimo come copertura e connessione con altre realtà, come trampolino di lancio per il mercato della prostituzione, anche minorile e dello spaccio di droghe, nonché nei suoi gangli (quelli veri), ancora più deviati da questo mondo provengono snap movies che, se hanno come vittima un bambino, che magari muore anche, questi atterrano su un mercato disposto a spendere cifre che si avvicinano al milione di euro pur di possederlo.
E questi acquirenti si rivelano poi essere capi di stato, importanti giudici e magistrati, vertici dell’esercito, altissimi cardinali. Il caso di Emanuela Orlandi, di Mirella Gregori, di Josè Garramon e, se non si corre a serrare i portoni, a breve anche quella di Katty Skerl, sono finite per diventare strumento di contrattazione ad uso e consumo di interessi altri. Prima c’era il De Pedis, il trasteverino che, per fare il salto sociale si vestiva da chierichetto mentre faceva massacrare le persone, ora hanno tirato fuori dal mazzo Carminati che, dopo tutto questo chiacchierio, se vuol la pelle salva gli conviene restare in carcere e guardarsi bene dai caffè corretti dei corrotti.
Esistono davvero persone che credono che il colpo, tramite cui viene in possesso di tutti quei documenti, Carminati l’abbia fatto di sua iniziativa e, vi sia riuscito per abilità personale? Dopo questo assaggino, spero troviate i non detti di Accetti, più interessanti. Interessanti sono anche certe frange dell’eversione nera, per non parlare dello squadrone di italiani che lascia definitivamente la Libia nel 1970, molti dei quali inviati 60 anni prima in “soggiorno obbligato“, divenuti poi abili costruttori e, soprattutto, responsabili dei ponti marittimi, attraverso cui uscivano dalla Libia, entravano in Italia, per poi compiere il percorso inverso.
Ogni tanto qualche errore può capitare, come quello che uccide, al porto di Napoli, in un botto, con un botto, oltre 600 persone. Poi la guerra finisce ma non le spole, e allora materiali, merci, e poi persone, armi, rifiuti, petrolio nord africano che si tramuta in gas kazako mentre l’Italia si riprende dal conflitto e loro la ricostruiscono: palazzine e case popolari, autostrade e ponti, tra un Gladio e un Borghese. Tutto per il bene dell’Italia dal paesello, alla stanza dei bottoni. Dio benedica la Libia.
Con dei nonni e dei padri così affaccendati, quando non hai bisogno di studiare o di lavorare, alla fine per gestire la noia qualcosa di straordinario te lo devi inventare. Quindi non cadete nel giochino di Marco Accetti, non guardate quel che dice, guardate da dove viene, spostategli il dito e guardate la luna. Che certe zone di potere abbiano urgenza di tacitarlo, con il mood del millantatore che ha studiato bene le carte, è comprensibile. Meno se a farlo sono coloro che dai tanti, e tanti, e tanti libri, dall’Emanuela Orlandi S.p.a, gridano di ricercare la verità; il tutto diviene abbastanza grottesco.
Mi auguro che qualche scapestrato abbia voglia di imbastire un coro. In ogni caso io godo di piena salute, non ho mai avuto nè avrò istinti suicidi, che non prendo psicofarmaci o farmaci in generale, che so attraversare la strada, non ho allergie e nemmeno il maggiordomo.
Adescatori
Dopo questo chiarimento, torniamo a Josè Garramon. Nella mia ricostruzione il piccolo Josè è stato per diverso tempo fidelizzato da una persona che è riuscita a conquistare la sua fiducia, probabilmente una donna che, come più volte ripetuto, difficilmente fa scattare il campanello d’allarme e, soprattutto dai più piccoli, è tendenzialmente identificata come un territorio sicuro, materno. E’ questo il motivo per cui si incontrano, con maggior facilità, maestre d’asilo, di scuola elementare piuttosto che pediatre e babysitter, di sesso femminile.
A lungo, nonostante la pressoché totale mancanza di documentazione a riguardo, e la presenza di una perizia che ne nega i tratti tipici, Marco Accetti è stato indicato come pedofilo. Per quanto suggestivo possa essere questo immaginario è stroncato dall’evidenza della non esistenza di denunce riconducibili ad abusi, molesti e violenza carnali perpetrati su minori.
Questo dato va evidentemente a supportare l’idea che non fosse solo, nonché a confermare la sua attività di “talent scout” di cui vi parlo da tempo. Un’attività che va ad aggiungersi alle molte altre, che talvolta possono anche convergere dando vita a sodalizzi dai tratti oscuri e raccapriccianti. Riscontrato in documenti e attraverso molteplici deposizioni, è la presenza dell’elemento femminile che talvolta adesca e talvolta si limita a presenziare quale elemento rassicurante, come nel caso dello sventurato Alfredo Musella (episodio che non ha nulla a che fare con i personaggi trattati in questo scritto), suicida per denunciare la vergogna e la corruzione di una società malata e perversa. Abbiamo avuto modo di stabilire che alcune tecniche di adescamento, tra cui la nota tecnica dell’Avon, non erano prerogativa di una persona, ma tecniche ampiamente condivise tra appartenenti a queste torbide realtà. Costante permane la componente donna, che si è occupata di fidelizzare il ragazzino e ha fatto in modo che quel 20 dicembre salisse in macchina velocemente, con sicurezza e tranquillità, senza dare nell’occhio. Accetti, che cambia donne come cambia le mutande, nelle sue imprese si è sempre fatto coadiuvare dalla fidanzata di turno e dalla sorella
Se è vero che nelle donne c’è una minor predisposizione al commettere crimini, che i reati perpetrati sono normalmente mossi da fini economici, è altrettanto vero che taluni ambiti della criminalità a cromosoma XX non sono mai stati indagati a sufficienza, non di rado per rifiuto categorico dell’idea che taluni reati possano essere trasversali come, ad esempio, la violenza domestica, quella sessuale, piuttosto che la pedofilia.
La pedofilia declinata al femminile è un settore criminale quasi completamente taciuto ma, nei numeri, ha una sua consistenza; gli effetti sono dirompenti nella vittima, al pari, quando non di superiore grado, rispetto alla pedofilia manifestata dal sesso maschile. Reati di questa natura vengono suddivisi principalmente basandosi sul legame tra vittima e carnefice, quindi tra pedofilia di matrice familiare o extra-familiare.
La pedofilia è una patologia che rientra nell’ampia categoria delle parafilie, ovvero nelle patologie indagate in ambito psichiatrico, nella sfera dei disturbi del desiderio sessuale. Il fatto che la pedofilia sia una malattia mentale non deve portare a ritenere che i soggetti che ne sono affetti, non siano capaci di intendere e di volere. Rispetto questo tema si è espressa l’avvocato e criminologa Claudia Graziano, dopo aver giustamente sottolineato che il concetto di pedofilia ha una valenza ed è percepito in maniera differente, a seconda delle epoche e della geografia, precisa rispetto alle possibili attenuanti in sede giudiziaria:
«Sebbene la pedofilia sia considerata un’alterazione di interesse clinico (ossia patologica), tale alterazione della sfera sessuale non equivale ad escludere la capacità di intendere e di volere, condizione imprescindibile per rispondere a livello penale delle proprie azioni (ossia essere considerati imputabili). In effetti esistono psicopatologie, come ad esempio alcuni tipi di schizofrenia, che sono in grado di boicottare il principio di realtà di chi ne è affetto, fino ad escludere o diminuire sensibilmente la sua capacità di autodeterminarsi e di comprendere la portata delle proprie azioni, aspetti che, come noto, incidono sulla imputabilità. Ma non è questo il caso dei pedofili. Quest’ultimi, infatti, valutano la situazione, riflettono attentamente e poi agiscono. Ci sono, inoltre, delle precise strategie cognitive alla base del loro operato per mantenere segreta la loro perversione, proteggendo così la loro possibilità di reiterarla. […] appare difficile accettare, da parte delle coscienze e quindi dell’opinione pubblica, che il pedofilo è un “perfetto chiunque”. Anche un rispettabile padre di famiglia».
Pedofilia femminile
Approfitto di questo articolo per affrontare un tema grave e dagli effetti devastati, che raramente viene trattato, un tema tabù che inorridisce e spaventa nella sua innaturale manifestazione: la pedofilia femminile che, non solo esiste ma riguarda un caso su tre di abusi minorili. Affronto l’argomento in correlazione alla vicenda del piccolo Garramon perché, al netto delle accuse mosse ad Accetti, il disagio manifestato da Josè nei mesi precedenti l’assassinio, come il rifiuto della scuola e gli improvvisi scoppi di pianto, più si confanno alla casistica della devianza in senso femminile.
Come in quella maschile, anche la pedofilia perpetrata dalle donne può maturare tanto in seno alla famiglia, tanto in un ambiente estraneo alla famiglia ma “familiare” per la vittima. E’ il caso della scuola, dell’oratorio, delle associazioni sportive o culturali. Dovendo rimanere nell’ambito di Josè, e non volendo lasciare nessuna pista imbattuta, provo ad analizzare la circuizione, la molestia e l’abuso proveniente da dimensioni non domestiche.
Il tabù della donna abusante
Negli ultimi anni si è registrato il timido tentativo di spostare l’attenziona a questo tema, su una dimensione più ampia, anche se, a livello mediatico, mi risulta essere emerso solo il suicidio della giovane Eva Sacconago, sottoposta per anni alle violenze fisiche e psicologiche di Suor Maria Angela Farè. Il caso di Suor Farè è ben rappresentativo delle caratteristiche principali, comuni a tutte le donne pedofile, estranee all’ambiente familiare. Ritengo importante condividere, individuando i punti salienti.
Un dato importante da evidenziare. lo rintracciamo nei numeri e nelle statistiche. Queste ci riferiscono che le vittime di violenza o di abusi, da parte di una donna, si attestano per poco meno del 50% i bambini i e per poco più del 50% le bambine, Stiamo parlando di un dato estremamente fallace dal momento che il numero di denunce è sproporzionatamente e drammaticamente inferiore. Questi i motivi principali:
- La donna è storicamente e abitualmente la figura dedicata alla cura del bambino, quindi l’intimità che può emergere nell’esecuzione di determinate azioni, non è notata. Lo stesso bambino/a vittima di abuso, pur avvertendo disagio, frequentemente non riesce a comprendere la molestia che sta subendo.
- Il bambino, ma soprattutto il pre-adolescente maschio, denuncia generalmente in misura nettamente rispetto la coetanea donna. Questo dipende dalla fuorviante convinzione comune che, la donna, non ha gli strumenti per commettere abusi, e che un ragazzino che riceve le attenzioni di una signora matura, dovrebbe ritenersi fortunato.
- La donna è stata per secoli vista come soggetto sessualmente passivo. Nonostante le conquiste femministe e l’affermazione del genere come elemento attivo tanto nella società, tanto nella sessualità, grandi sacche della popolazione rifiutano tutt’oggi questa idea. Questo rifiuto conduce la vittima a convincersi che, qualora denunciasse, non sarebbe creduto.
La pedofila extra-familiare
La pedofilia femminile extrafamiliare, a differenza di quella maschile, difficilmente annovera individui estemporanei, maniache di strada che pescano a caso, o meglio, all’occasione. Le donne pedofile sono molto caute, pianificano e, quando non sono genitori o parenti, rientrano comunque in un ambito con cui la preda ha familiarità. Sono quindi le scuole, gli oratori, i luoghi dello sport, le attività culturali praticate anche a scuola con l’ausilio di associazioni esterne, come ad es il teatro.
Le donne pedofile, conoscono il loro vantaggio: sono meno sospettabili; d’altro canto, se scoperte, il ritorno sociale è infinitamente più alto rispetto all’uomo, da cui la società può “aspettarsi anche questo”. Da qui il motivo che spinge queste signore a strategie elaboratissime e progettate a lungo tempo, al fine di occultare la loro reale natura ma, al contempo, garantire loro il proseguo dei loro soprusi e delle loro violenze. propendere queste signore per la selezione di professioni che si prestano a giustificare prossimità e contatto fisico come gli operatori dei luoghi qui sopra citati, ma è anche il caso di baby sitter, pediatre e psicologhe dell’infanzia.
Spesso la pedofila del sesso femminile agisce in coppia con un’altra della stessa natura, sia singolarmente che in coppia, queste signore riescono fortemente a plagiare la mente della persona coinvolta. Se nella pedofilia intra-famigliare l’impatto della donna, rispetto a quello dell’uomo, è deleterio psicologicamente ma di rado fisicamente, nella pedofilia extra-famigliare, soprattutto a fronte del rischio di essere scoperti, la pedofilia perpetrata dalle donne è quella che più di frequente conclude l’abuso con la morte della piccola vittima.
La pedofilia femminile extrafamiliare ha caratteristiche diverse da quella intra-familiare. La stessa è, infatti, connotata da un marcato desiderio egoista di potere, di dominio e di piacere; spesso si dirige verso bambini e adolescenti assumendo forme di pedofilia mercenaria e violenta. Generalmente è legata al turismo sessuale, ma altre volte sono proprio i luoghi familiari per la piccola vittima – come la scuola, i luoghi ricreativi, le case degli amici ecc. – ad essere prescelti. Nella casistica rientrano, ad esempio, i casi di maestre che fanno spogliare i loro allievi, per spiegare come sia avvenuta la creazione; maestre che insegnano giochi che prevedono la penetrazione dei genitali con i pennarelli e così via. Questi abusi vengono filmati e poi immessi sul “mercato” tramite internet.
Come riportano la dr. Loredana B. Petrone e il dr. Mario Troiano, nel loro libro inchiesta E se l’orco fosse lei? Strumenti per l’analisi, la valutazione e la prevenzione dell’abuso al femminile. Con un test per la diagnosi, Franco Angeli, 2005 tra le forme più diffuse e violente della pedofilia femminile rientra il turismo sessuale:
«Le donne nordamericane si indirizzano, per la maggior parte, verso i Caraibi; mentre le europee provenienti dai ricchi paesi occidentali preferiscono come mete il Marocco, la Tunisia e il Kenya e, per le destinazioni più lontane, la Giamaica e il Brasile. […]A Marrakesh trascorrono dei periodi le scandinave e le olandesi che consumano notti d’amore in acconto, cioè se la notte trascorsa non è stata soddisfacente la prestazione non viene pagata. Più recentemente arriviamo al turismo sessuale femminile in Sri Lanka. Dalla testimonianza di volontari del posto, si apprende che le “turiste” arrivano portandosi da casa ormoni e droghe da somministrare a bambini dai 6 agli 11 anni, per consentire fisicamente l’atto sessuale. Secondo il resoconto di una dottoressa che ha visitato alcuni di quei bambini, il trattamento ormonale per ottenere l’erezione avviene tramite l’iniezione degli ormoni nei testicoli: questo causa l’abnorme ingrossamento dell’organo sessuale del bambino che non tollera più di 5-6 di tali iniezioni e i danni spesso sono letali»
Gli autori esaminano anche un altro ambito della pedofilia XX:
«Non ci possiamo poi dimenticare della pedofilia praticata nelle sette sataniche che vede la costante presenza di figure femminili: una forma di pedofilia estremamente violenta che utilizza rituali a sfondo sessuale per avvicinarsi, secondo una loro “interpretazione”, all’entità malefica. In questo caso sono coinvolti bambini della scuola dell’infanzia, cioè tra i 2 e 6 anni, che possono essere molestati se non addirittura rapiti da satanisti che si aggregano al personale delle scuole dell’infanzia».
Le reazioni della vittima
I bambini e le bambine che subiscono abusi e molestie da donne, sviluppano una serie di atteggiamenti volti a sopperire l’incapacità verbale necessaria per comunicare quanto vissuto. A questo si aggiunga che non di rado, soprattutto nei casi intra-familiari, le vittime maturano una sorta di devozione per l’abusatore, arrivando anche a proteggerlo con un imperforabile silenzio. A questo punto il bambino mette in essere tutta una serie di rigidissimi meccanismi che, nella loro mente, fungeranno da difesa e li proteggeranno dalla sopraffazione:
- isolamento emotivo
- negazione degli episodi
- identificazione con l’adulto abusante
A questi si affiancheranno altri disturbi di tipo più fisico e meccanico
- pianti ripetuti nati dal niente
- disturbi dell’alimentazione
- disturbi del sonno
- reazioni emotive sproporzionate alla situazione
- emulazione dell’atteggiamento aggressivo e di sopraffazione.
Conclusioni
Quelle oggi proposte sono delle suggestioni che, tuttavia, non ritengo debbano essere accantonate con eccessiva superficialità. Una volta che si sarà stabilito che quello di Josè fu un sequestro orchestrato, basato sull’inganno, una volta stabilito che non si trattò di un incidente ma di un omicidio volontario premeditato, sarà la volta di comprenderne i motivi. Qualche anno fa la signora Maria Laura ha raccontato del rifiuto netto della scuola e della manifestazione di episodi di esplosioni di pianto estemporanee, da parte di Josè, nelle settimane precedenti l’omicidio.
Sappiamo che il bambino litigò con la mamma perché rifiutava il taglio di capelli, che potrebbe suggerire da un lato il timore di recarsi in quell’area del quartiere, dall’altro il bisogno di celarsi e proteggersi, nascondendo il volto dietro le ciocche lunghe, ma anche il disagio di essere toccato da mani estranee, pur solo per uno shampoo.
Il genere si disagio di Josè, se analizzato in quest’ambito, richiama maggiormente la figura di uno o più aguzzini di sesso femminile probabilmente, come spiega la dr. Assunta Giuliano, appartenente o alla sfera della pedofilia regressiva, o di quella sadico-aggressiva:
- “Pedofilia regressiva: è colei che pur riuscendo ad instaurare legami affettivi con i coetanei ad un certo punto della sua vita, comincia ad avvertire un senso di inadeguatezza e non riesce a convivere con gli stress quotidiani, questo la porta a regredire nella fase infantile, iniziando così a rivolgere il suo interesse sessuale verso i bambini, sentendosi essa stessa bambina.”
- “Pedofilia di tipo sadico-aggressivo o pedofila sadico-aggressiva: queste donne tengono unito il legame tra violenza e gratificazione sessuale. I loro atti finiscono quasi sempre con la morte della vittima. Nell’infanzia di queste donne c’è una vita di aggressività, frustrazione e impotenza con un sentimento di svalutazione di sè e dell’altro.”
In ogni caso stiamo parlando di donne profondamente problematiche, incapaci di empatia che, nel momento in cui riscontrano qualsiasi forma di resistenza diventano aggressive e violente, dimostrando un netto ribaltamento rispetto agli atteggiamenti iniziali, quando si dimostrano dolci e accoglienti.
Sono donne che vedono nelle madri delle vittime delle antagoniste a cui vogliono sostituirsi, per le quali provano un odio e una rabbia difficilmente celata. Questo modus è assolutamente manifesto ed analizzabile, ad esempio, nel caso di Suor Maria Angela Farè, che non ha mai perso occasione di attaccare e screditare la mamma e la famiglia di Eva. Questi sentimenti non nemmeno quando si registra il distacco definitivo tra abusante e abusato.
Nel caso di Garramon, se questa opzione si rivelasse valida, per individuare una possibile responsabile, potrebbe essere utile osservare l’atteggiamento di persone che si interessano o ruotano intorno alla vicenda del piccolo Josè, nonostante quarant’anni siano davvero un numero ingombrante.
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