Premessa
Che il Caso di Josè Garramon abbia trovato il suo colpevole è indubbio. Stiamo parlando del colpevole dell’omicidio e dell’omissione, non del rapimento e non del reato di pedofilia, ovvero le due accuse che, in prima istanza, vennero mosse all’imputato. L’imputato era il fotografo e videoamatore Marco Accetti. La sentenza definitiva, al terzo grado di giudizio, stabilì che l’uomo avrebbe dovuto scontare due anni e sei mesi di detenzione nel carcere di Rebibbia (dall’aprile del 1985 gli vennero accordati gli arresti domiciliari) per omicidio colposo aggravato e omissione di soccorso.
Come ribadito in ogni articolo, le sentenze, per quanto controverse, devono essere rispettate, e tant’è; d’altra parte in democrazia si può esercitare il sacrosanto diritto di criticare un verdetto così, come in democrazia sacrosanta è anche la libertà di stampa, d’informazione e di opinione. Non saranno certo le offese e le minacce di querela a inibirmi né; tantomeno, a intaccare la mia convinzione che quella sera le cose andarono in maniera molto diversa. Mia persuasione è che chi ha preso il bambino, lo aveva per mesi studiato, quindi fidelizzato ma, soprattutto, personalmente, sono certa che quella sera Marco Accetti non fosse solo nella Pineta di Ostia.
I tormenti del giudice
Trovo nauseanti crudeli e demenziali le accuse, le frecciatine che persone più o meno coinvolte nella faccenda muovono in continuazione e con non celata malignità, alla famiglia del bambino assassinato, in particolar modo alla madre. Appare degno di studio psico-antropologico l’anomala e totale assenza di empatia nei confronti di una famiglia, ma soprattutto di una donna, che si è trovata giovanissima ad affrontare il più innaturale ed inaccettabile degli strazi. Innanzi ad un supplizio così doloroso, non sono ammessi giudizi, figuriamoci stigmi o insinuazioni. Solo chi non è attrezzato di umanità, può non comprendere che un figlio non ha un prezzo e che altro non si possa chiedere in cambio che una simbolica moneta.
D’altra parte è lo stesso giudice che ad ogni riga della sentenza rimarca il punto, arrivando ad affermare che nulla è chiaro, che le indagini hanno lasciato piste non indagate, che emette la sentenza consapevole della presenza di punti oscuri e non senza inquietudine rispetto ai fatti. Il giudice conclude quindi dicendo che, ciononostante, si sente a posto con la propria coscienza, dal momento che non gli sono state addotte le prove necessarie a permettere una condanna differente:
«L’inspiegabilità della condotta dell’Accetti nell’essersi recato quella sera nella stessa pineta (aggravata da un tentativo di spiegazione e giustificazione dell’imputato in buona parte logicamente inaccettabile), non consente di affermare che sia provata una qualche sua volontà omicida o di deliberata aggressione nei confronti del ragazzo, perché la somma di circostanze inspiegabili pone nel processo un ventaglio di ipotesi possibili ma non offre la dimostrazione che una di esse sia quella rispondente alla realtà in quanto positivamente provata.»
E ancora
«Il nodo principale è costituito dalla verifica dell’ipotesi accusatoria enunciata nel capo di imputazione e articolata nell’ordinanza di rinvio a giudizio secondo la quale l’investimento del ragazzo sarebbe stato doloso. […] Non emergono indicazioni conclusive o quantomeno rilevanti, che giustifichino l’orientamento per un fatto doloso o colposo. L’individuazione del punto di investimento […] lasciano, invero, del tutto aperta la questione sia all’ipotesi che il pedone cercasse di sottrarsi a un veicolo lanciato contro di lui, sia quella di un incauto attraversamento […]
È ancora pacifico che il conducente del furgone non pose in atto alcuna manovra frenante…… La mancanza di un intervento sui freni, anche intempestivo, a fronte di un ostacolo improvviso sul rettilineo, è un fatto che desta certo perplessità, perché si tratta di una manovra ovvia nelle condizioni date punto ma rimane pur sempre una circostanza sotto l’aspetto sintomatico, del tutto ambigua […]
Salvo che non si voglia sostenere (e lo si può ma si resta sempre nel campo delle ipotesi possibili, ma non verificate e verificabili), che il conducente del furgone, spinto il veicolo contro il pedone deliberatamente, sia stato poi sorpreso dalla dinamica dell’impatto che gli aveva lanciato la vittima sul cofano e contro il parabrezza […] più inquietanti e significativi elementi emergono dei dati di specifica […] L’imputato ha dato una sua spiegazione della presenza in quel luogo e in quelle condizioni, che in troppi punti mostra la corda della menzogna o quantomeno delle incongruenza e della contraddizione…….
Aggiungendo incongruenza a incongruenza, egli ha poi preteso di avere imboccato la via del Lido di Castelporziano per un fatto del tutto abitudinario e riflessivo […] Ma per far ciò […]. La manovra avrebbe esigito una speciale attenzione per evitare una facile collisione con altri veicoli […] Tutto questo ben poco si concilia con una condotta di guida assuefatta e a una consuetudine […] La ricerca di una prova su un contatto tra i due prima del tragico investimento ha avuto esito negativo e seppur nell’ambito di un’indagine per altro tempestiva impegnata, qualche specifico accertamento è stato trascurato, questa non può farsi gravare sulla posizione dell’imputato senza sovvertire il canone fondamentale che pone l‘onore della prova a carico dell’accusa.
Allora, sulla base degli elementi acquisiti la corte ritiene di dover affermare – non senza sofferenza e inquietudine per gli aspetti oscuri e ambigui che rimangono su una vicenda drammatica, ma con una consapevole serena coscienza-, che non sussiste prova adeguata e convincente delle gravi accuse contestate all’imputato a conclusione dell’Istruzione. Le circostanze indicate pongono gli interrogativi, aprono il problema, ma non offrono risposte se non sul piano delle ipotesi, che possono essere molteplici (e le conclusioni delle parti riassunti a verbale lo dimostra) ma rimangono senza la verifica rigorosa…
Il passaggio dall’inspiegabilità dei fatti, allo stato delle cose, del tutto insoliti, e della consapevolezza che l’imputato ha offerto della sua condotta una spiegazione almeno in buona parte certamente mendace; […] la deposizione del teste Gherardi, -sulla cui attendibilità una riserva non può non essere formulata per la gravidità con la quale è stato indotto dall’imputato,-[…]Ma la complessiva dinamica delle molteplici circostanze fin qui fatta è più che sufficiente a dimostrare la consapevolezza dell’imputato che egli aveva investito un pedone che abbandonava consapevolmente sulla strada.[…] Del resto l’Accetti era tanto consapevole del fatto accaduto, che si premurava di allontanare il più possibile il furgone dal luogo dell’incidente e di nasconderlo […]»
A fronte di ciò, e ad esclusione di Accetti che ha pagato le sue colpe, sostenere che la vicenda processuale di Josè Garramon si sia conclusa fugando ogni aspetto controverso, che verità e giustizia siano state consegnate alla storia significa non essere in grado di comprendere quanto la sentenza ci riferisce. Chi disconosce e sindacalizza sulla necessità di riaprire il processo e indagare gli aspetti inevasi, accettando l’idea di dover riscrivere da capo tutta la vicenda, o è un colluso, o è un coglione.
Marco bloody Marco
Tema già affrontato nell’articolo Josè Garramon e il biglietto senza sangue, la questione del sangue non è di secondaria importanza perché risulta, per quanto stravagante possa essere l’Accetti, determinare una serie di situazioni eccessivamente paradossali. Soprassiedo dall’analizzare, seppur interessante e foriera di alcuni interrogativi, la questione del riversamento ematico rispetto al momento dell’impatto letale. Questo perché ciò pretenderebbe la trattazione dettagliata dell’intero evento omicidiario e, soprattutto, perché non risulta di interesse e rilevanza alcuna dimostrare la colpa o il dolo di Marco Accetti che ha già avuto la sua sentenza definitiva e pagato la sua responsabilità. Nella presente trattazione il fotografo romano è nominato perchè le sue azioni si dimostrano basilari al fine di dimostrare la non plausibilità di uno scenario che colloca il reo solo, nel luogo del misfatto.
Sangue come inchiostro simpatico
Marco Accetti indossa una giacca color cachi dove il sangue, per contrasto cromatico, risalta particolarmente. Da documentazione siamo a conoscenza della presenza di due differenti gruppi sanguigni ossia 0Rh- riconducibile al piccolo Josè e B Rh+ da attribuirsi all’Accetti. Tracce ematiche riferibili al Garramon sono abbondantemente presenti sul giaccone dell’uomo «nella parte anteriore a sinistra e lateralmente a destra, all’altezza della vita». Il sangue di Accetti è individuato unicamente nella parte a destra e è conseguenza di un taglio che lo stesso dice di essersi procurato eliminando i frammenti di vetro del parabrezza.
Come già sostenuto, è decisamente inverosimile che, con una ferita alla mano la quale, come vedremo, sanguina ininterrottamente per ore, non vada a lasciare nemmeno mezzo globulo rosso sul biglietto dell’autobus che tocca almeno due volte, cioè quando lo acquista e – si presume – lo mette nella tasca del giaccone, anch’essa insanguinata, e quando lo estrae dalla tasca per custodirlo, piuttosto che buttarlo nel cestino come, solitamente, le persone fanno con un ticket non più utilizzabile. Non abbiamo invece notizie dei successivi biglietti, quelli che dall’Eur lo portano a Sant’Emerenziana, e del loro nefasto destino.
L’Accetti non viene riconosciuto né dal bigliettaio che con lui si intrattiene per l‘emissione del biglietto e la transazione monetaria, né dall’autista, eppure non si incontra proprio ogni giorno una persona sanguinante e abbondantemente macchiata di sangue. Evidentemente come l’inchiostro simpatico, questo sangue appare e scompare. Non abbiamo notizia alcuna delle persone che hanno incontrato l’Accetti nel percorso successivo.
Sappiamo, come riporta il giornalista Pino Nicotri in un suo articolo (qui), che l’Accetti cena con padre e sorella. In questa occasione l’allora ventottenne rincasa, presumo si sia levato la giacca impregnata di sangue, senza medicarsi e fasciarsi la mano consuma il suo pasto, al sangue. Dopo di che chiama più volte, sempre sanguinando, l’amica perché è talmente preoccupato del destino della sua attrezzatura che piuttosto che farsi accompagnare da sorella o padre, attende, sempre senza medicare o fasciare la ferita, almeno due ore, certo che avrebbe richiamato. La sua amica effettivamente richiama acconsentendo ad accompagnarlo. In quest’occasione lui, che evidentemente non ha sviluppato le piastrine, sfiora l’amica e le lascia una macchiolina piccolissima. Evidentemente, dopo sei ore di continua emorragia, aveva finito il sangue.
Cene notturne e stoicismo
Tra le molteplici assurdità di questa ricostruzione ci sono anche la cena e il ritorno alla pineta di Castel Porziano. I documenti riferiscono che MFA sarebbe arrivato con l’autobus al capolinea della tratta Infernetto-Eur alle ore 21.15. A questo punto, essendo lui residente in piazza Sant’Emerenziana, deve percorrere un ulteriore tragitto che prevede il cambio di due bus. Dei biglietti di questo tragitto non c’è traccia. Come da foto, possiamo individuare come arrivo a casa, un orario che può andare dalle 22.27 alle 22.39. Secondo questa ricostruzione dobbiamo concludere che a casa Accetti, dove non fanno domande vedendo rincasare il figlio senza furgone, attrezzatura e ricoperto di sangue, la cena venga servita tra le 22.45 e le 23.00. Gli Addams…Usanza originale.
Attenendosi a quanto riportato, Accetti è molto preoccupato ma non per aver ucciso e non soccorso un bambino, bensì per la sua attrezzatura, che vuole recuperare. La ferita è da ritenersi, per logica conseguenza, così estesa e dolorosa da impedirgli la guida. Perché allora non chiede disponibilità alla sorella o al padre in modo da essere accompagnato nel tragitto? Immagino pertanto un diniego categorico dei familiari e, essendo impossibilitato alla guida, si fa accompagnare dall’amica che passa a prenderlo. Sbagliato: è lo stesso Marco Accetti a passare a prendere la ragazza e a guidare fino alla pineta. Non si comprende dunque per quale motivo non ci sia andato da solo, dal momento che doveva semplicemente stendere un telo (evento che non ha luogo). Un vero stoico.
Sottolineo inoltre la totale inutilità di tornare in via Dobbiaco per ricoprire il veicolo con del cellophane, dal momento che sul Ford Transit Marco Accetti disponeva di assi di legno e sacchetti di cellophane, assolutamente sufficienti a mettere in sicurezza il mezzo e ciò che vi era contenuto.
Nascondino
Sono certa che non pochi converranno con me che, anche se non pioveva, la ricostruzione fa comunque acqua da tutte le parti. A ciò dobbiamo aggiungere un dato di non poco conto: se vogliamo ritenere, con fervidissima fantasia, plausibile quanto sopra esposto, immaginare che l’Accetti possa averla anche fatta in barba a tutto il dispiegamento di forze dell’ordine che, allertati già in precedenza della presenza di una persona che procedeva con una guida scellerata e, successivamente individuato nell’Accetti il pirata responsabile della morte di Josè Garramon, procedono anche col transennare le principali vie carrabili
Non è pertanto verosimile che qualcuno sia potuto sopraggiungere senza essere intercettato da carabinieri, vigili o polstrada, tutti contemporaneamente presenti. A mio avviso MFA, successivamente all’incidente non rincasa ma si fa lasciare la 127 rossa dalla persona che prende l’autobus e che non fa ritorno. L’Accetti con la persona con cui verrà fermato, si occupa di rimuovere dal furgone quanto lo possa ricondurre al bambino che, come ci sarà modo di dimostrare, stava scappando non dal Ford Transit ma da un altro veicolo.
Palazzi, palazzine e palazzinari
Va da sé che, perseguendo la mia ipotesi, la casualità dell’evento viene meno, e l’aspetto delle proprietà della famiglia Fassoni-Accetti, torna alla ribalta. Dobbiamo infatti immaginare una persona che si porta nella zone della pineta, con la 127 rossa di MFA e un’altra che lo affianca sul furgoncino. La domanda vera è come questa o queste persone siano riuscite a far salire su uno dei due mezzi il bambino e cosa, eventualmente è stato fatto per carpirne la fiducia.
La testimonianza di Gherardo Gherardi, che analizzeremo prossimamente in maniera più dettagliata, appare forzata e a tratti decisamente contraddittoria. Sempre il giornalista Nicotri, sempre affrontando il caso di Josè Garramon, sottolinea che MFA aveva uno studio nei pressi dell’Eur, dove il padre avrebbe di lì a poco preso nuova residenza alla luce della separazione con la signora Silvana. Sempre Nicotri indica il numero 33 di via Curzio Malaparte, quale probabile appartamento, in quanto sede della Cooperativa Nuova Oasi, fondata da Accetti Senior.
Questo è possibile ma non sicuro: il numero 33 di Curzio Malaparte si trova all’interno di una palazzina composta da un buon numero di appartamenti, tutti con rispettivo box auto, ed interamente di proprietà di Accetti Aldo. A poca distanza dalla palazzina di Curzio Malaparte si trova una palazzina speculare della famiglia Scimone e, a circo 1.500 m una delle abitazioni di DePedis che, nonostante molti ex della Banda della Magliana lo neghino, con la famiglia Accetti si conoscevano molto bene e prossimamente vedremo i motivi.
Degno di attenzione, rispetto a Curzio Malaparte è la cessione anticipata, rispetto a tutti gli altri immobili della palazzina, che verranno intestati agli eredi in anni recentissimi, che durante il processo Garramon Aldo Accetti effettua dell’appartamento al n. 33 e rispettivo box, in favore del figlio Marco.
Se da un lato si può oggettivamente immaginare che, al fine di non rischiare che il patrimonio venga intaccato dalle mille bravate del figlio, intestargli bene immobile può essere una corretta precauzione, tuttavia un interrogativo resta: perchè con tutti gli immobili, i terreni e le palazzine a disposizione della famiglia, anche nella stesso complesso, a Marco è ceduto proprio il n.33? Il Pifferaio stesso si libera dell’alloggio nel giro una quindicina d’anni, quasi si tratti di una patata bollente.
Rispetto alla vicenda, di Josè Garramon, più che la palazzina di Curzio Malaparte, che dista più di 2 km., è interessante l’ufficio di Viale Beethoven, anch’esso provvisto di box privato, -dove agilmente possono muoversi furgoni e roulotte- ai tempi sede della cooperativa Oasi, anch’essa come Nuova Oasi, fondata da Aldo Accetti. La sede di questa cooperativa edilizia dista 990 m da casa Garramon e 380 m. dal barbiere di Josè.
Ipotizzando che non sia casuale l’incontro con Josè in pineta, e considerando l’alta possibilità che MFA non muova da Sant’Emerenziana ma da Viale Beethoven, non ci resta che capire se il bambino sia stato sequestrato con la forza bruta, oppure abbia seguito un adulto che l’ha attratto a sé con l’inganno.
Aeroplani, teatro e psicologia
Ipotizzando un vero e proprio ratto, dobbiamo scartare l’ipotesi che lo stesso possa essere stato portato a termine in Viale America, unica via percorribile da Josè per tornare a casa, in viale dell’Aeronautica 99. O meglio, come dimostrato nell’articolo “Ecco cosa hanno in comune“, rapimenti in pubblico, realizzati in maniera plateale e senza l’intervento di nessuno, non erano eventi così straordinari, tuttavia, se Josè è stato sequestrato violentemente sulla via di casa, a quell’ora, e in periodo natalizio, è impensabile che nessuno abbia visto; pertanto è un’opzione che tendo ad escludere.
A questo punto gli scenari plausibili si riducono ai minimi termini. Premessa indispensabile è che Josè conoscesse e nutrisse un minimo di fiducia, nei confronti di una di queste persone. Non ho motivo di dubitare delle parole della domestica Martha, riportate da Maria Laura Baulanti in tempi non sospetti al suo sacerdote di fiducia; pertanto se l’Accetti entra in casa di Josè, travestito da prete, non può essere lui l’adescatore perchè, se avesse incrociato il ragazzo, sarebbe stato sicuramente riconosciuto. E’ altresì possibile che l’Uomo del Piffero abbia selezionato ed osservato il ragazzo, ma non abbia agito direttamente nella fase di fidelizzazione.
I bambini, che non conoscono cattiveria e inganno, sono purtroppo facili prede di persone che non meritano nemmeno di essere così definiti. Ritengo plausibile che questo ruolo sia stato assolto da una donna, e che Josè sia stato avvicinato puntando sulle sue passioni. I luoghi più plausibili sono la scuola, l’oratorio, il campo di volo degli aeroplanini e il cinema del quartiere. A scuola avrebbe potuto imbattersi in un laboratorio, in uno sport, in un corso di musica o di teatro. E’ anche possibile che si tratti di una donna che nell’edificio ha un ruolo di educatore, piuttosto che una tirocinante universitaria affiancata ad una disciplina o ad uno di quei servizi che una scuola del livello della St. George poteva offrire già ai tempi, ad esempio lo psicologo scolastico. Lo stesso vale, in una certa misura anche per gli oratori dove spesso si svolgevano lezioni di musica e teatro.
Guadagnata la fiducia della vittima, tornando alle 18.45 del 20 dicembre 1983, ritengo di poter scartata l’ipotesi del rapimento alla luce del sole e optare per pochi scenari:
- Il bambino esce dal parrucchiere, l’adescatrice che è informata dei movimenti, lo incontra “casualmente” e gli offre un passaggio. Questa opzione è la meno probabile perchè prevede qualcosa di molto simile ad un pedinamento. Inoltre, per convincere il bambino, dovrebbe intercorrere uno scambio di battute che potrebbero attirare l’attenzione di qualcuno.
- Il bambino incontra, prima di entrare dal parrucchiere, la donna che si offre in quel momento di accompagnarlo successivamente a casa, e indica al bambino il luogo dove lo attenderà, così che all’uscita dal negozio, lo stesso si diriga rapidamente verso il veicolo, permettendo all’adescatore di non essere visto. Possiamo dunque immaginare che sullo stesso mezzo sia presente anche un uomo, forse una persona associata alla cooperativa Oasi. Quest’uomo propone una scorciatoia, motivata dal fittissimo traffico che a quell’ora, senza contare la complicità delle feste natalizie, rende Viale America impraticabile. Giunti al civico dicono di dover prendere qualcosa che è stato dimenticato e, scesi nel garage, legano il bambino e lo portano verso Ostia. Il fatto che il cadavere non presenti segni di legature è imputabile allo spessore dato da cappotto e scarponcini di cui, ricordo, ne resterà solo uno.
- La donna propone al bambino un’attività interessante come visitare la Villa di Plinio, ma a dicembre è un po’ freddo e buio a quell’ora, oppure assistere ad uno spettacolo al Circo permanente di Ostia. In questo caso il bimbo si accorgerà troppo tardi dell’inganno.
- Infine possiamo immaginare che venga utilizzato un coetaneo come attrattiva ma, in questo caso, si aprirebbero tutta una serie di nuovi interrogativi.
Conclusioni
Questo scritto non è sufficiente ad illustrare interamente come potrebbero essersi svolti i fatti. Nel prossimo proverò a ricostruire le dinamiche che immagino essersi innescate. Quel che è certo è che il Pifferaio Tragico non stava raggiungendo Ostia a realizzare il servizio alla ragazza conosciuta al mare perchè, come testimoniato tanto dalla ragazza, tanto dalla madre, con Marco Accetti avevano concordato che il servizio fotografico sarebbe stato effettuato in un momento successivo alle feste, quindi a gennaio o febbraio.
Dunque lo step successivo sarà indagare il motivo per cui quelle persone si trovavano nella pineta, che ruolo svolge Villa di Plinio e che attività vanno praticando, se necessitano di luci, generatori, cineprese e quanto di utile si possa rintracciare in una messa in scena.
Film consigliato per questa settimana
L. Fulci, Non si sevizia un paperino
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1 commento
Sono deluso e che mi aspettavo di trovarci che ne so….. 50 pagine dei commenti o non ha visto l’articolo ancora forse invece ha capito che lo riaprono per davvero che ce l’avete tutti questa volta i documenti e che la signora qui che sul gruppo vogliamo la verità, sta dicendo un sacco di cazzate su di te , ha detto che non la fai commentare ma mi pare, che scrive solo lei. forse sta finalmente a capire che tra poco pure tutti i suoi amici vengono a sapere la verità, chi delle due dice la verità e chi sta dicendo cazzata! lei è più millantatrice di lui, e non vedo l’ora di vedere poi cosa diranno, almeno se uno ha il coraggio di chiederti scusa perchè su quel gruppo ti stanno sfinendo di offese e h a ragione l’avvocato che hai assolutamente da denunziarli. Avvisami quando parte con il suo scohw