Premessa
«Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?»
Questa è la frase che nel 1972 Edward Lorenz utilizza come titolo della sua conferenza, dopo aver studiato per dieci anni il cosiddetto “effetto farfalla“, cioè la teoria secondo la quale una singola azione può determinare imprevedibilmente il futuro. Da fenomeno meteorologico, il Butterfly Effect è via via stato avocato da altre discipline, prima tra tutte la psicologia.
E’ ovviamente una suggestione e, ad oggi, i casi qui trattati rimangono completamente indipendenti l’uno dall’altro, tuttavia è lecito interrogarsi se una parola, un’opzione, una scelta, forse presa a cuor leggero, possa aver determinato una serie di eventi di impatto considerevole.
Mi riferisco alle vicende inerenti al processo per la morte del piccolo Josè Garramon e la scomparsa di Julieta Andrada Magdalena Chindris. Molti forse non sanno che tra il 1984 e il 1986, ovvero negli anni in cui Marco Accetti si trovava alla sbarra per rispondere di accuse disonorevoli: sequestro di persona, omicidio e pedofilia Queste accuse nel corso del processo finiscono per cadere con effetto domino, essendo tra loro collegate e dipendenti. Contributo decisivo al disfacimento delle imputazioni arriva da una coppia amica dell’Accetti, una coppia composta dal fotografo romano Gherardo Gherardi e dalla compagna Julieta Andrada Magdalena Chindris.
Due testimonianze sconcertanti
Il processo Garramon sappiamo concluso con una condanna per omicidio colposo aggravato e omissione di soccorso, ma anche con moltissimi dubbi e remore da parte del giudice che, come più volte riportato, scrive in sentenza:
«Sulla base degli elementi acquisiti la corte ritiene di dover affermare – non senza sofferenza e inquietudine per gli aspetti oscuri e ambigui che rimangono su una vicenda drammatica, ma con una consapevole serena coscienza-, che non sussiste prova adeguata e convincente delle gravi accuse contestate all’imputato a conclusione dell’Istruzione. Le circostanze indicate pongono gli interrogativi, aprono il problema, ma non offrono risposte se non sul piano delle ipotesi, che possono essere molteplici (e le conclusioni delle parti riassunti a verbale lo dimostra) ma rimangono senza la verifica rigorosa…».
La perplessità rispetto alle circostanze che hanno portato il bambino in quel luogo e a quell’ora permangono, e ancora oggi, sebbene si inizi a farcene un’idea, non è stato ancora possibile mettere un punto definitivo a questa storia terribile. Personalmente credo a Marco Accetti quanto riguarda le accuse di pedofilia, ed è lui stesso a rivendicare, al contempo, la sua passione per le “ragazzette” maggiori di 13 anni. Non gli credo invece, quando nega di essersi travestito da prete, perché aderisce alla perfezione con la messa in scena, elemento indeclinabile delle sue gesta.
Probabile l’eventualità che non conoscesse personalmente Garramon, da lui però individuato e selezionato, ma poi adescato ed ingannato da una personalità femminile a lui connessa. All’epoca le indagini non approfondirono, o meglio, non indagarono figure alternative a Marco Accetti che, dopo la smentita del portiere della palazzina di Sant’Emerenziana, si salva in zona Cesarini grazie alle deposizioni di Magdalena Chindris e Gherardo Gherardi.
L’ipotesi di rapimento era stata completamente costruita muovendo dal presupposto che Accetti avesse sequestrato il bambino per fini di libido, basando il tutto su i calcoli temporali del tragitto da piazza Sant’Emerenziana alla pineta di Castel Porziano. Nessuno tra i magistrati deputati all’indagine si è curato di notare che, nel verbale redatto la mattina del 21 gennaio 1983, dai Carabinieri di Ostia, l’Accetti indicava come indirizzo di residenza uno degli immobili di proprietà della famiglia, in via Curzio Malaparte.
Dovendosi concentrare sulle tempistiche relazionate a traffico e distanze, quando MFA è sconfessato dal portiere della palazzina, che nega categoricamente di aver visto l’imputato lasciare lo stabile intorno alle ore 18.15, chiama in suo soccorso Gherardo Gherardi, fotografo romano classe 1952, compagno dell’altra testimone Julieta Andrada Magdalena Chindris, con studio e laboratorio in Via Sirte 57, a 100 metri dalla casa dell’Accetti.
Gherardo e Marco, solo lavoro
Gherardo Gherardi che, come già comunicato nell’articolo Dissolta tra la folla, è solo omonimo del Gherardo Gherardi coinvolto nel processo relativo ai delitti del Mostro di Firenze, in prima istanza conferma che tra le 18.00 e le 18.30 del 20 dicembre 1983, Marco Accetti si era recato presso il suo laboratorio fotografico. In questa occasione si premura anche di specificare il motivo del ricordo così nitido.
«Me lo ricordo (il giorno dell’incidente N.d.r.) perché vidi l’articolo che si riferiva a lui, due giorni dopo al fatto, quindi ricollegai le due cose e poi mi rimase impresso questa storia qui. Poi successivamente fui contattato da un amico (Astolfo Leti Messina N.d.r.) che era stato interrogato per questa faccenda, quindi ricollegai i fatti successivamente. Infatti per questa ragione sono in grado di ricordarmi abbastanza bene. […]»
Il ricordo nitido di Gherardi rispetto al giorno e all’orario in cui Accetti si reca al laboratorio fotografico, solleva qualche perplessità, in particolar modo per il fatto che il teste ha sottolineato come non intercorresse con l’imputato un rapporto altro se non quello titolare-cliente:
«Tra le 18 e le 18.30, non potrei dire esattamente l’ora, comunque era quell’ora lì, anche perchè io notai, appunto, la vicinanza delle due… tra l’altro non ero neanche sicuro che fosse lui quella persona di cui si parlava nell’articolo perché mi sembrava troppo breve il tempo per raggiungere quel posto in così poco tempo […]»
Gherardi, incuriosendo la Corte stessa, si premura dunque, di dilettarsi in calcoli e valutazioni rispetto ai tempi che il suo “cliente” avrebbe impiegato per trovarsi sul luogo dell’omicidio a quell’ora:
«Presidente: Cioè lei ha mentalmente ricostruito che Accetti era venuto verso le 18.30, le è sembrato breve il tempo per essere….
Teste: si, infatti ero perplesso, […] io manco mi ricordavo di lui di chi stava parlando e poi mi venne in mente e dissi “si, si”… mi viene in mente proprio questo particolare e quindi ricostruii ancora questa storia […]»
L’udienza del teste prosegue con domande relative ai contenitori fotografici che l’imputato chiese in prestito quel giorno, risultando il motivo unico della visita al negozio. Gherardi spiega al Presidente di non aver memoria alcuna della tipologia di macchine l’Accetti dovesse trasportare. Gherardi presume che il contenitore domandato in prestito fosse di poco valore, dal momento che ricorda non essersi preoccupato di domandare dove lo avrebbe portato e quando lo avrebbe restituito.
Le ultime domande vertono sulla tipologia di fotografia praticata da Marco Accetti e ulteriori delucidazioni rispetto al contenitore richiesto, per tornare nuovamente sulla bizzarria delle riflessioni che Gherardo Gherardi elabora rispetto alle tempistiche che consentono all’imputato di trovarsi sul luogo del reato:

«[…] Beh, erano foto molto particolari, cioè lui, lui aveva un modo di fare le fotografie che pochi hanno, […] il vecchio, il gruppo di bambini, il personaggio, la roulotte, mi ricordo queste cose qua […] lui le foto le costruiva, […] così seppi che lui c’aveva questa passione per il teatro, queste foto erano pensate, foto con una regia dietro […]»
Poi rispetto alla ricostruzione dei tempi:
«la prima volta devo ricostruire cercando di capire se era lui e come poteva essere e diciamo anche l’emozione […] successivamente mi sono dovuto ricordare ancora di questa circostanza quando mi è stato chiesto di fare la testimonianza […]»
Infine ancora sui contenitori richiesti:
«mi chiese un certo tipo di borse che potesse portare delle macchine, anche un cavalletto, cioè un tipo di quelle borse un po’ flosce che hanno l’aggancio dietro per il cavalletto, una cosa mista […] le altre borse erano o troppo piccole […] venne con me giù in laboratorio per scegliere una eventuale borsa che potesse andare bene, ma nessuna di quelle che avevo io faceva al caso suo»
Le contraddizioni di Gherardo Gherardi
Rimango perplessa nel realizzare che la Corte non coglie la forte contraddizione del Gherardi quando, inizialmente afferma di non ricordare bene la questione del contenitore perché ma evidentemente Accetti si prese in prestito un oggetto di poco valore perché Gherardi non si preoccupò dei tempi di restituzione, lasciando quindi intendere che l’Accetti acquisì un contenitore, salvo poi spiegare nel dettaglio le tipologie di borse presenti nel suo laboratorio e concludendo che, non trovando niente di idoneo, Accetti non prese nulla. A ciò possiamo anche aggiungere che MFA ha sempre sostenuto di aver avuto in prestito da Gherardi, la borsa da spiaggia ben visibile nei rilievi fotografici del furgone, effettuati durante la confisca del mezzo.
La tipologia di contenitore richiesto da MFA e la domanda del Presidente che menziona una cinepresa, lascia intendere che l’Accetti non dovesse solo fotografare, ma avesse intenzione di realizzare una ripresa video. Gherardi sostiene inoltre di non conoscere l’attività fotografica di Accetti ma ce ne spiega la metodologia.
Interessanti sono anche i soggetti fotografici che il fotografo romano indica come esempio, spiegando l’attività fotografica dell’imputato: gruppi di ragazzini, anziani, roulotte e “il personaggio“.
Personalmente ho vagliato e conosco abbastanza bene le opere fotografiche edite dell’Accetti e, se confermo come elementi costanti ragazzetti e anziani, fatico a comprendere cosa Gherardi intenda con “personaggio”, per non parlare della roulotte di cui non ricordo la presenza nelle fotografie edite e, tantomeno, la sua costante presenza.
La criptica deposizione di Chindris
Se per Gherardi il fulcro delle interrogazioni ruotava intorno agli orari e alla tipologia di attrezzatura che l’Accetti aveva intenzione di utilizzare quella sera, la deposizione di Julieta Andrada Magdalena Chindris era dedicata all’approccio che l’Accetti tendeva ad assumere con i più giovani.
Se, grazie alla testimonianza in occasione di un’intervista, e non in sede giudiziaria, di Ester C., figlia di Magdalena Chindris, apprendiamo dell’interesse affettivo e sessuale che Accetti prova rispetto alle ragazzine, da lui confermato, non esistono elementi noti che lo inseriscano in realtà pedofile. Ovviamente questo non significa che possano orbitare intorno all’Accetti individui che presentano inclinazioni pedofile o di anomalo interesse, anche sessuale, nei confronti di minori in tenera età.
Se la deposizione di Gherardo Gherardi presenta elementi contraddittori e lascia spazio a dubbi e ambiguità, quella della Chindris si compone di ricostruzioni e dichiarazioni totalmente false e fantasiose. Magdalena, nella totale indifferenza della Corte, esordisce subito con false affermazioni, totalmente gratuite dal momento che nulla hanno a che fare con il processo e, nonostante non avvenga, immediatamente confutabili. Prima tra tutte riguarda il rapporto personale con Gherardi, e l’attività lavorativa:
«Io vorrei precisare che l’imputato l’ho conosciuto nel negozio del signor Gherardo Gherardi […] nata il 19.07.1948 e residente in Roma, via Giuseppe della Vedova 64 […] l’imputato l’ho conosciuto nel negozio di un mio carissimo amico, Gherardo Gherardi, che aveva questo laboratorio, ogni tanto di pomeriggio andavo a dare una mano anche perché a me piace moltissimo la fotografia, lì l’ho conosciuto e non mi ricordo esattamente il periodo, mi sembra 1982-83 […] non so esattamente, so che era inverno quando l’ho conosciuto, comunque, 1982 mi sembra, perché so che era vestito di una giacca pesante, comunque non ha importanza questa circostanza , e così era molto interessato al discorso fotografico, che chiedeva sempre dei consigli per dei filtri […] era un ragazzo con il quale si parlava molto bene […]»
Risulta altresì poco comprensibile il motivo per cui la teste indichi Gherardo Gherardi quale amico, mentre nel periodo in cui vennero sentiti erano ancora una coppia. Altrettanto strano il fatto che la Corte non faccia una piega davanti a questa affermazione, di poco preceduta dall’indicazione del proprio indirizzo di residenza che, guarda un po’ il caso, combacia perfettamente con quello del Gherardi. All’inutile menzogna circa la relazione, aggiunge quella relativa alla professione. Magdalena, nel periodo in cui fu compagna del Gherardi, lavorò stabilmente al negozio; nella deposizione, invece, riferisce che solo di tanto in tanto si recava all’attività, nel pomeriggio, per dare una mano ma, più che altro, per passione rispetto la fotografia.
Le bugie di Magdalena Chindris
Ma siamo davvero sicuri che, nella mente di Julieta Andrada Magdalena Chindris, donna straniera trapiantata per amore in Italia, unica responsabile di una bambina di 14 anni, si arrischi in queste false affermazioni, non inerenti la causa in oggetto, rischiando un procedimento per false dichiarazioni per mero vezzo, per superficialità? Siamo inoltre certi che suddette dichiarazioni siano effettivamente completamente disgiunte dalla causa in oggetto?
Se è nei fatti impossibile smuoversi dal mero campo ipotetico, emerge l’eventualità che dette affermazioni suggeriscano il piglio di chi vuole prendere una certa distanza, soprattutto dall’attività commerciale. Un’attività che, come afferma lo stesso titolare, si caratterizzava per non piegarsi ad un certo tipo di clientela, dozzinale e mainstream:
«[…] non vendo materiali fotografici, io vendo solamente stampe eseguite, cioè… […] io non lavoro molto con dei clienti […] io non lavoro con clienti occasionali, ogni tanto con persone tipo lui che ha delle esigenze particolari di stampare bene di stampare bene, di fare delle foto con una certa cura, ma il mio lavoro è più che altro con i professionisti, […] non sono uno che stampa per la massa […] per persone che sono disposte ad aspettare i miei tempi, i miei costi, comunque per avere un lavoro di qualità»
Magdalena, tuttavia, non prende invece distanze da Marco Accetti che dichiara di conoscere all’incirca dal 1982, o meglio, anche su questo aspetto la Chindris è nebulosa. Fa riferimento a mesi freddi ricordando l’Accetti con indosso un giaccone invernale; è in dubbio tra il 1983 e il 1982 ma propende, a differenza di Gherardo Gherardi, per il 1982.
L’aspetto amicale, nei confronti dell’imputato, è rappresentato dai due elementi della coppia, in modo diametralmente opposto: se Gherardi si limita ad indicare MFA un cliente di cui poco conosce, Magdalena parla di lui come di un amico, un amico di cui ha fiducia al punto di affidargli la propria figlia, a questo riguardo ricorda l’episodio di Villa Ada:
«L’ho invitato a pranzo a casa mia anche perché io non porto la macchina, così mi ha dato un passaggio […] doveva andare a correre a Villa Ada […] l’ho lasciata tranquilla (andare la figlia Ester con l’Accetti N.d.r) anche perché non mi sono messi questi problemi che gli può succedere qualcosa, assolutamente, perché conoscevo Marco, avevo piena fiducia, ho visto che aveva un buon dialogo con i bambini, anche con gli adulti, d’altronde, aveva grande facilità nel conversare, la bambina è ritornata, l’ha portata a casa, mi sembra, la sera, dopo qualche ora, tutta contenta mi ha detto che Marco ha giocato, la bambina mi ha specificato che Marco ha giocato a calcio con dei suoi amici e lei assisteva la partita […]»
L’audizione prosegue con il racconto delle foto che Magdalena chiese a Marco di fare alla figlia che, come già ricordato negli altri articoli (qui e qui), partecipò anche all’attività di teatro che Accetti “allestì” (un semplice piccolo soppalco), nell’appartamento di Sant’Emerenziana.
Epilogo
E’ storia che il processo per la morte del piccolo Josè Garramon, è stato caratterizzato da una certa morbidezza e da qualche distrazione da parte dell’accusa, come ho provato ad evidenziare nei primi quattro articoli dedicati al dodicenne uruguaiano (qui1, qui2, qui3 e qui4). Risultarono tuttavia fondamentali le testimonianze di Chindris e Gherardi, quest’ultima in particolar modo, tanto da essere più volte nominato anche in sentenza.
Nonostante la deposizione del Gherardi non convinse il giudice, che a riguardo si espresse in questi termini:
«Gherardi, -sulla cui attendibilità una riserva non può non essere formulata per la gravidità con la quale è stato indotto dall’imputato, […] Ma la complessiva dinamica delle molteplici circostanze fin qui fatta è più che sufficiente a dimostrare la consapevolezza dell’imputato che egli aveva investito un pedone che abbandonava consapevolmente sulla strada […].»
Possiamo dunque riassumere che le testimonianze della coppia, per quanto divergenti, si siano rivelate determinanti. L’atteggiamento di questi tre personaggi è differente, ma a suo modo circolare: in Gherardi emerge l’intenzione di relegare la figura di Marco Accetti, al di fuori dell’ambito amicale. Rifiuta la possibilità di aver frequentato e incontrato l’Accetti in altri contesti, riduce il tempo della sua conoscenza a 6-7 mesi prima del fatto delittuoso, facendo risalire la conoscenza ai mesi di maggio-giugno.
I mesi di maggio e giugno, a Roma, tendono a non contraddistinguersi per la rigidità delle temperature; le medie della prima metà di maggio, nel 1983, si attestano a 15 gradi, mal coniugandosi con un abbigliamento spiccatamente invernale come quello che Magdalena associa al primo incontro con Accetti. Probabilmente inverno 1982, più di un anno prima rispetto a quanto afferma il compagno. La donna, che Accetti lo ha anche invitato a pranzo a casa sua, che è poi la medesima del Gherardi, indica MFA come un amico di cui si fida. Infatti gli affida la figlia in più occasioni.
Gherardi limita anche il raggio della sua possibile conoscenza dell’attrezzatura in possesso dell’imputato e ben si guarda da citare cineprese o videocamere che sono invece nominate in più occasione dalla corte. La Chindris, dal canto suo racconta invece che spesso intavolavano discussioni e MFA chiedeva consigli tecnici sull’utilizzo di filtri e obiettivi.
Come già riportato poco sopra Magdalena Chindris pare utilizzare la stessa premura che il compagno dell’epoca impiega nel prendere distanze dal Pifferaio Tragico, per distanziarsi dallo stesso Gherardo Gherardi.
Un battito d’ali
Qualcuno potrebbe definirlo contrappasso. Non io. Certo che posso sbagliare, ma non percepisco cattiveria dalla figura di Magdalena Chindris. Fragilità, influenzabilità, plasmabilità. Ma non cattiveria: quindi contrappasso non è il termine corretto. Mi chiedo però se in quel 1983, scegliendo di prendere un po’ troppo a cuor leggero, la vicenda di Garramon, di non opporsi ad una soluzione colposa di fronte all’omicidio di un bambino coevo della figlia, che chiaramente colposo non era.
E se Magdalena ci avesse ripensato? E se ripensando all’episodio, se dando uno sguardo alle carte, qualcosa l’avesse insospettita portandola ad approfondire, per finire a camminare in un ambiente torbido e paludoso, di cui, forse, aveva percepito già la presenza e dal quale l’istinto, anche in sede processuale, l’aveva spinta a prendere le distanze. Sono solo ipotesi, analisi di affermazioni e frasi sospese in un’aria vecchia di quarant’anni.
Non passa molto da queste interrogazioni, che Chindris e Gherardi si separano; la donna, poco tempo dopo, si unisce all’ultimo amore della sua vita, un amore con cui trascorrerà quasi dieci anni: il complesso, patologico e tormentato Aldo Rosselli.
«Prova a comprendere -mi dice Ester- C’era il mito di Aldo Rosselli, un conto era mamma, che ci viveva 24/24, altro queste persone che lo frequentavano e lo consideravano in genio, il suo svalvolare era vista come la caratteristica del genio e non una malattia. Svalvolava anche molto bene, con termini ricercati ed eruditi, puoi immaginare questi tutti a pendere dalle sue labbra, però il suo svalvolare era una malattia, c’era un chiaro quadro clinico. Però è facile adularlo se lo ascolti o lo leggi, li capisco, era molto affascinante; ecco viverlo, come uomo, era una cosa ben diversa, con tutte le caratteristiche del malato».
La storia con Rosselli non termina in modo ordinario: Magdalena scompare, Aldo non ne denuncia nemmeno la scomparsa «Potrebbe non essersene nemmeno reso conto per come stava messo– azzarda Ester- non c’era più con la testa e, fino a non molto tempo fa, ho pensato che potrebbe aver detto alle persone che frequentavano casa, che mamma fosse andata in Romania»
Non può trovare pace Ester, che ignora che fine abbia fatto la madre. Potrebbe esserci stato qualche vecchio conto in sospeso, o qualche cosa di più complesso, qualche segreto legato ai servizi segreti del paese natio, un’ipotesi che nasce dal continuo fuggire ad Ester, la figlia di Magdalena, di un vecchio amico rumeno. C’è poi una pista che conduce alla Terra Santa e l’assordante silenzio di tutti coloro che frequentavano casa Rosselli e Magdalena, quasi quotidianamente.
Se da questo punto di vista può essere plausibile che, non avendo avuto eco sulla stampa, e non sapendo cosa abbia potuto dire Aldo, queste persone non siano a conoscenza della scomparsa e pensino che, semplicemente, la donna sia tornata in patria. Perché allora il nome di Magdalena che, ricordo, con Aldo trascorse dieci anni, non compare in nessuna biografia e, a differenza delle altre donne dello scrittore, e non è mai nominata negli eventi commemorativi? Questo imposto oblio inizia a partorire alcuni interrogativi.
Ovviamente anche l‘ipotesi di un incidente, un suicidio o l’incontro con un male intenzionato, possono essere valutati ma ad oggi, e non solo nel Lazio, ma nell’intero stivale, non abbiamo rintracciato nessun cadavere non ancora riconosciuto, che possa appartenere alla donna.
Il 31 maggio del 1995 Magdalena esce dall’appartamento, è lucida, scambia due chiacchiere con il portiere dello stabile, poi butta la spazzatura e chiama un taxi che la conduce a via Arenula. Con sé ha i documenti di Ester, perché? Le servono a qualcosa? Oppure la grande crisi di quell’ultimo anno, quando senza prescrizione medica e necessità comincia ad assumere gli psicofarmaci di Aldo, la inducono a confondersi e a prelevare dalla borsa di Ester i documenti, convinta siano i suoi?
Julieta Andrada Magdalena Chindris discute con il taxista; non ha contanti, pagherà con un assegno. Scende dal veicolo davanti a lei il palazzo del Ministero di Grazia e Giustizia e il Consiglio Nazionale degli Attuari che acquisirà nel 2004 la parte di immobile mancante dai proprietari Giuseppina Scalera e il figlio Giuseppe Scimone, a pochi metri il quartiere ebraico. Sono circa le 13.30, un colpo d’ali e di Julieta Magdalena Chindris non si avrà più notizia.
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