Di Alessandro Perelli
Benjamin Netanyahu , in un Paese dove per assicurarsi la maggioranza nella Knesset ha dovuto allearsi con i partiti ultraortodossi dell’estrema destra, mentre nelle dichiarazioni ufficiali ribadisce la sua volontà di trovare una soluzione al problema palestinese, nei fatti continua a favorire l’occupazione da parte dei coloni di vaste aree a maggioranza araba e paga le cambiali sottoscritte al momento dell’accordo di Governo.
Se ne è avuta dimostrazione nei giorni scorsi, quando il Parlamento israeliano ha approvato la manovra di bilancio 2023- 2024. In essa sono presenti 3,4 miliardi di euro destinati alle istituzioni ebraiche ultraortodosse. Sono ingenti risorse destinate alle scuole private, indipendenti dal Ministero dell’Istruzione, dove le materie non ritenute sacre come la matematica, le scienze e la lingua inglese non vengono insegnate. Ma non basta . Si prevede anche un congruo aumento dei sussidi destinati ai maschi che studiano a tempo pieno negli istituti religiosi e per loro anche l’esonero dal servizio militare, che è invece obbligatorio per la maggior parte dei cittadini israeliani.
Il provvedimento ha avuto 64 voti a favore (Likud e estrema destra ) e 56 contrari: l’opposizione guidata dal leader centrista Yair Lapid. Si tratta evidentemente di uno dei prezzi pagati dal Premier Netanyahu alle forze ultrareligiose il cui apporto numerico gli è indispensabile per governare.
A nulla sono valse le critiche di chi, soprattutto economisti e accademici, oltre agli avversari politici, ha messo in luce il pericolo che il Paese non sia in grado di conciliare il suo sviluppo e la ricerca di una crescita economica con questa ulteriore esposizione di risorse fatta solo per fini politici e di potere, che creerà problemi finanziari nel breve e nel lungo periodo.
Si pone in particolare l’accento sul fatto che questo tipo di formazione, rigidamente religiosa, non prepara i giovani ad entrare nel mercato del lavoro: vi sarebbe il rischio di trasformare Israele da uno Stato avanzato all’arretratezza a causa di una popolazione che non possiederà più le competenze di base per la vita nel ventunesimo secolo.
Netanyahu, tuttavia, sembra voler tirare dritto nonostante in vasti settori della popolazione questo provvedimento venga visto come una evidente iniziativa tendente alla diseguaglianza dei cittadini. Il Premier d’altra parte sa che i voti degli ultraortodossi gli sono necessari per mandare avanti la contestata riforma della giustizia, in questo momento bloccata per approfondimenti dopo le manifestazioni contrarie avvenute nella capitale e in altre città.
Tra i suoi principali obiettivi vi è la volontà di sottrarre alla Corte Suprema, affidandola al Parlamento, la competenza sulle accuse di corruzione che la Magistratura gli ha rivolto. Gli ultraortodossi lo appoggiano perché accusano a loro volta la Corte Suprema di voler limitare le loro libertà religiose, e temono che si opponga ai loro progetti di espandere gli insediamenti dei coloni in Cisgiordania: territorio che per la comunità internazionale appartiene a palestinesi ed è parzialmente occupato da Israele dal 1967.
Nelle ultime settimane, intanto, sono aumentati gli scontri sulla striscia di Gaza. Gli attacchi terroristici di Hamas appoggiati dall’Iran e le dure reazioni delle forze di terra di Tel Aviv con numerose vittime. Una situazione sempre più preoccupante, anche se in questo momento un po’ silenziata a livello internazionale da quanto accade in Ucraina.
Benjamin Netanyahu cerca di dividere il mondo arabo sulla questione palestinese come dimostra l’intesa militare e commerciale siglata con il Marocco e la ripresa dei rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi derivati dagli’Accordi di Abramo dell’era Trump.
Unica soluzione per uscita dal pericolo di un nuovo conflitto mondiale rimane quella del riconoscimento dei due Stati ( Israele e Palestina) senza forzature per quanto riguarda la collocazione territoriale di Gerusalemme che Netanyahu vorrebbe a capitale del suo Paese.