Di Alessandro Perelli
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: la riforma della giustizia fatta votare alla Knesset da Benjamin Netanyahu non ha niente a che fare con quella ,proposta in Italia ,dal Ministro Nordio. Le differenze sono enormi sia nel merito che nel metodo per portarla avanti . Cominciamo dal merito. Che in Israele da molte parti ( anche nell’ opposizione) si sottolineasse l’ opportunità di rivedere i compiti della Corte Suprema e di ridefinire i rapporti tra poteri dello Stato e’ un fatto innegabile. Ma il testo legislativo fatto approvare in Parlamento dal Likud e dai partiti ultra religiosi alleati mina le norme costituzionali che salvaguardano il rispetto della prassi democratica eliminando di fatto il controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative.
Mano libera insomma ai voleri di chi governa al di la della legittimità e della ragionevolezza dei provvedimenti. I due obiettivi di Netanyahu sono molto chiari: annullare le decisioni della Corte Suprema con un semplice voto di maggioranza nella Knesset e dare l’ ultima parola al Governo per la nomina dei giudici . Un’ meccanismo che da una parte libererebbe il Premier da una possibile rimozione dalla carica da parte del supremo ordine giudicante se dovessero essere confermate dai processi le accuse di corruzioni fatte dalla magistratura a suo carico (basterebbe un voto a suo favore nel Parlamento) dall’ altra dai pronunciamenti della Corte contro gli illegittimi insediamenti dei coloni in territori arabi tanto cari e difesi dai partiti dell’ ultra destra religiosa. Ma anche nel metodo Netanyahu ha voluto fare di testa sua e forzare.
Forse ispirandosi a quello che ha fatto in Francia Macron per la riforma delle pensioni, non ha voluto sentire ragioni per la richiesta delle opposizioni di un approfondimento e di un rinvio ma ha voluto portare subito in aula la prima parte della normativa sulla giustizia facendone una battaglia politica di sopravvivenza del suo Esecutivo. Immediate sono state le reazioni. La notte tra il 24 e 25 luglio,dopo il voto favorevole della Knesset, migliaia di manifestanti sono scesi in strada a Tel Aviv e vi sono stati scontri con la polizia che ha usato gli idranti per cercare di disperderli.
I medici hanno indetto uno sciopero immediato contro la riforma della giustizia , lavorando in modalità ” Shabbat” ovvero garantendo solo le emergenze come nel giorno del riposo ebraico. Ma la grave frattura nella società israeliana avvenuta per la decisione di Netanyahu e’ dimostrato dall’ insoddisfazione di molte altre categorie di lavoratori per quanto e’ avvenuto e da ulteriori manifestazioni di protesta annunciate pee i prossimi giorni. Martedì 25 luglio tutti i giornali del Paese sono usciti con la stessa prima pagina: una lastra nera con la scritta ” un giorno nero per la democrazia”. A ciò non e’ riuscito a sottrarsi neanche Israel Hayom , il quotidiano gratuito che promuove ogni decisione di Netanyahu. Ora e’ vero che questo e’ stato determinato da un inserzione a pagamento fatta da un gruppo di aziende tecnologiche che ha acquistato gli spazi sulla stampa ma e’ significativo del clima che sta vivendo il Paese e dalla convinzione che ci potrebbero essere anche conseguenze negative per la situazione economica.
Anche sul piano internazionale la cosa non e’ passata inosservata. Gli Stai Uniti hanno già espresso la loro preoccupazione mentre l’ Iran non puo’ che guardare con piacere a una maggiore instabilità interna di Israele. Benjamin Netanyahu però non mostra la minima volontà di fermarsi in quella che e’ diventata l’ ennesima battaglia per la sua sopravvivenza politica.