«L’esercito è responsabile della sicurezza del paese e dei suoi cittadini e sabato mattina, nell’area che circonda la Striscia di Gaza, non ne siamo stati all’altezza. Impareremo, indagheremo, ma ora è il momento della guerra». Così ha detto nella conferenza stampa di stamattina il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, commentando per la prima volta in modo ufficiale l’enorme attacco di Hamas. Si tratta di una dichiarazione a dir poco notevole, perché Halevi ha ammesso in parte il fallimento dell’intelligence israeliana: se avesse funzionato, infatti, non sarebbe mai stata possibile quella spaventosa infiltrazione dei miliziani di Hamas nei territori considerati “sicuri”.
«Stiamo uccidendo molti terroristi e comandanti, e distruggendo le infrastrutture che hanno permesso questi crimini terribili, brutali», ha continuato Halevi, salutando i giornalisti con questa dichiarazione: «dopo ciò che è successo, Gaza non sarà più la stessa». Il fatto che i terroristi di Hamas abbiano potuto lanciare quell’enorme attacco missilistico contro Israele, abbattendo in parte la recinzione tra i due territori, è di per sé eccezionale: quella recinzione, costruita proprio da Israele, era considerata particolarmente solida e avrebbe dovuto essere costantemente sorvegliata. I miliziani hanno invece raggiunto alcune città e diversi kibbutz israeliani, uccidendo migliaia di civili. L’attacco ha preso completamente di sorpresa le forze armate israeliane, che hanno dovuto impiegare ore per raggiungere le zone attaccate. Una “svista” che è stata presto corretta: lo stato maggiore israeliano ha ammesso di aver bombardato Gaza con seimila bombe, per un totale di quattromila tonnellate di esplosivo. Operazione che sembra tuttora non cessare.
La dotazione militare israeliana comprende un’ampia gamma di armi, mezzi corazzati, artiglieria, missili, caccia, elicotteri e unità militari navali. Gran parte di questi sono acquistati all’estero, ma molti altri sono invece progettati e prodotti esclusivamente da industrie statali autonome. Fino allo Guerra dei Sei Giorni (giugno del ’67) il principale fornitore delle Forze di Difesa Israeliane era sempre stata la Quarta Repubblica francese; dopo, il principale partner militare è diventato il governo degli Stati Uniti d’America, col suo imponente Industrial Military Complex tanto osteggiato da Kennedy quanto idolatrato da Eisenhower. Solo agli inizi del nuovo millennio molte aziende israeliane, come la colossale Soltam Systems, hanno iniziato perfino a vendere i propri eccellenti sistemi d’arma agli USA. La maggior parte dell’attrezzatura militare ancora oggi acquistata dall’estero da Israele è comunque sottoposta a esclusivi miglioramenti negli avveniristici laboratori di “ricerca scientifica e progresso tecnico” del paese. Senza dimenticare la sterminata riserva di armi e di scorte di equipaggiamenti che l’esercito israeliano ha spesso e volentieri sottratto ai militari dell’ex Unione Sovietica, quando finivano catturati dai tanti eserciti arabi nel corso del pluridecennale conflitto arabo-israeliano. Oggi tutti i droni, i sistemi d’arma a distanza, le imbarcazioni da commando, i pattugliatori, le corvette e perfino i sistemi di ricognizione spaziale sono completamente “made in Israel“.
Se il capo maggiore dell’esercito ha denunciato un fallimento dell’intelligence, allora dobbiamo spostare l’attenzione dagli armamenti agli uomini, e provare a immaginare che qualcosa nel Mossad sia andato storto. Cosa più simile alla fantascienza che alla mera probabilità fattuale. Il Mossad, infatti, è da sempre considerato il migliore dei servizi segreti esistenti al mondo. Fondato proprio come “Istituto centrale di coordinamento” (Mossad, appunto, in ebraico) Ben Gurion lo volle come gruppo scelto destinato a collegare i diversi servizi di intelligence dell’esercito (AMAN), dello Shin Bet (gli uffici informativi del ministero degli interni) e del dipartimento politico del ministero degli esteri. Oggi sono circa 1200 gli uomini e le donne del Mossad, organismo che dal 1951 è la punta di diamante della fittissima struttura burocratica che assiste il Primo ministro israeliano, rispondendogli in modo esclusivo e diretto. Và detto, alla luce delle gravi esternazioni di Halevi, che ad occuparsi principalmente delle attività antiterrorismo (specialmente quello anti-arabo in Israele, Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) è il dipartimento arabo dello Shin Bet. Quindi non ci sarebbe nulla da meravigliarsi se Ronen Bar, attuale direttore dello Shin Bet, non avesse già fatto saltare qualche testa dei suoi collaboratori. E non solo in senso figurato.