“La gente non canta più…” Riflettevo mentre tornavo verso casa. La gente, un tempo, cantava perché si era contenti del poco, un poco che, se condiviso e messo insieme a tanti poco, diventava molto. Per tutti. E lo è diventato. Perché? Perché si aveva un’idea unica di futuro – la guerra aveva distrutto il futuro di tutti. Tutti si sentivano protagonisti e vogliosi di dare il loro contributo, consapevoli di svolgere un ruolo determinante. Consapevoli di essere un anello indispensabile della catena di costruzione ed edificazione del futuro di tutti. E non c’era posto per gli egoismi. Per il “particulare” parafrasando Guicciardini. Dominava il concetto di futuro collettivo. Questo è stato il periodo in cui la forbice tra le classi è stata ridotta al minimo. Romiti, per esempio, CEO Fiat prendeva 30 volte in più il salario di un operaio, rapportandolo ai nostri tempi, Marchionne ne prendeva oltre 600 volte in più.
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Io per te non canto più
Di Fedele Vena
Ora non si canta più. Perché?
La prima causa è l’incertezza sul futuro. Questa paura porta a chiudersi in se stessi e a far prevalere un’irrompente individualismo. A ciò si aggiunge l’esser scontenti del molto che diventa sempre più, poco. Una tristezza sistemica che pervade il nostro quotidiano perché nulla ci ridà lo spirito giusto per cantare, che non è proprio un cantare a voce alta, ma sentirsi soddisfatti di ciò che si ha e soprattutto di ciò che si è. La massa, sempre più impoverita, in balìa di una finanza divoratrice e di mezzi di comunicazione al servizio dei (pochi) più forti e potenti, toglie il ruolo di protagonisti e relega al ruolo di insignificanti granelli di sabbia che non decidono nulla, non possono fare nulla, non controllano nulla, anzi sono controllati da questo invisibile grande fratello – come Orwell, nel lontano 1984 aveva previsto – se non stare legati ad un carro mosso da venti incontrollabili e che porta alla deriva.
Chi ha voglia di cantare???