L’Italia è una Repubblica fondata sui complotti?
Intervista con Vladimiro Satta
Recentemente a Roma, presso l’Università LUISS, si è svolto il convegno La Repubblica dei complotti, dedicato all’analisi delle teorie della cospirazione imbastite intorno alla storia contemporanea del nostro Paese.
Ne parliamo con Vladimiro Satta, autore di importanti studi in materia tra cui il volume I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piombo (Rizzoli, Milano 2016), relatore al convegno per la parte riguardante trame eversive a attentati stragisti dal 1969 al 1980.
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Si può parlare di un crescente dominio nella storiografia del secondo dopoguerra, di un‘ossessione (quasi) rispetto all’influenza di complotti nella vita politica e istituzionale dell’Italia repubblicana?
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La prevalenza di interpretazioni della storia dell’Italia repubblicana in chiave di sequela di complotti che l’avrebbero deviata è un fenomeno soprattutto mediatico, non tanto storiografico.
Indubbiamente, presso il pubblico le dietrologie hanno attecchito molto. Purtroppo, hanno fatto presa anche in un ambiente sensibile agli orientamenti del pubblico e della stampa, quale la politica (ad esempio, pensiamo alla Commissione parlamentare d’inchiesta Moro-2, che è arrivata a considerare le conclusioni dell’autorità giudiziaria frutto di un presunto patto di omertà tra Stato e Brigate Rosse). Nei tribunali, le teorie cospirative per decenni sono rimaste al palo, ma ultimamente hanno permeato procedimenti penali assai importanti quali quelli in corso sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna e quelli sugli attentati mafiosi degli anni Novanta.
A livello storiografico, invece, tuttora le teorie dietrologiche hanno molto meno successo. Il convegno organizzato dalla LUISS è uno dei molteplici segni della pessima opinione che ne hanno molti storici (anche se non tutti).
Attenzione quindi a non scambiare per storici i giornalisti “pistaroli” e gli ex-titolari di inchieste giudiziarie che, oggi, sembrano in cerca di rivalse dopo gli esiti negativi registrati in passato. Tutti i contributi sono benvenuti, ma non è vero che l’uno valga l’altro ed è inaccettabile che l’uno sostituisca surrettiziamente l’altro.
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Vediamo da vicino alcune delle principali teorie cospirative in circolazione.
Le bombe e i progetti eversivi furono tutti elementi di un’unica strategia per fermare il Partito Comunista Italiano?
- No. La cronologia non quadra con questa tesi. Gli anni in cui si verificarono tutti questi episodi tranne uno, la strage alla stazione ferroviaria di Bologna, vanno dal 1969 al 1974. Il PCI non aveva ancora spiccato il balzo elettorale che, all’indomani delle elezioni del 1976, lo renderà indispensabile ai fini di una maggioranza parlamentare che sostenesse il governo, con la “non sfiducia” prima, e la fiducia poi. Nell’estate 1980, epoca della strage di Bologna, i comunisti erano tornati all’opposizione da oltre un anno, per loro scelta, erano politicamente isolati ed erano gravemente indeboliti a seguito del forte calo alle elezioni del 1979. Il periodo in cui il PCI fu più forte, dal 1975 alla prima metà del 1979, al contrario fu scevro di attentati stragisti, nonché di tentativi di golpe o di altra forma di pressione militare sui governanti (intentona).
Per inciso, poiché spesso la regìa delle stragi e delle trame golpiste viene attribuita alla P2 di Licio Gelli, ad onta della mancanza di riscontri e dell’assoluzione definitiva dall’accusa di cospirazione politica sancita dalla Cassazione nel 1996- si rammenti che fino a tutta la prima metà degli anni Settanta la P2 aveva avuto scarso peso e vita stentata. Essa divenne potente dalla seconda metà dei Settanta al 1981, anno in cui si dissolse e, come abbiamo detto, si tratta di un periodo che non coincide con quello degli attentati e delle trame, fatta eccezione per la strage di Bologna. E’ evidente, peraltro, che Gelli e la P2 da un cambiamento di regime avrebbero avuto molto più da perdere che da guadagnare.
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Quali erano dunque gli scopi degli attentatori e dei cospiratori?
- L’intenzione degli attentatori e dei cospiratori, tutti, era abbattere le istituzioni democratiche. Era destabilizzare. E non “destabilizzare per stabilizzare”, il paradosso dietrologico partorito dalla Commissione Anselmi la quale, ingenuamente, non si accorgeva di avere abboccato all’esca lanciata dallo stragista/editore Giovanni Ventura con la pubblicazione di un libro che accusava dell’eccidio di Piazza Fontana i moderati. Non a caso, più tardi, la depistante espressione “destabilizzare per stabilizzare” fu rilanciata da un altro stragista fascista, Vincenzo Vinciguerra, il colpevole di Peteano. Egli, che dopo quel delitto si rifugiò nella Spagna franchista tra i camerati italiani anch’essi fuggiti lì, non fa mistero che il suo proposito è dimostrare che la responsabilità delle stragi non è dell’estrema destra bensì di personaggi mimetizzati nella destra stessa ma in realtà legati agli apparati di sicurezza italiani. Eppure, il profumo dietrologico della formula “destabilizzare per stabilizzare” ottunde il senso critico di numerosi antifascisti, al punto che nel 2022 Barbacetto, dalle colonne de <<Il Fatto Quotidiano>>, propose persino che a Vinciguerra fosse concessa la grazia.
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Ha senso unificare tutti gli attentati stragisti e tutte le manovre eversive sotto l’etichetta di strategia della tensione?
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La locuzione “strategia della tensione”, che è di origine giornalistica, è suggestiva ma inappropriata per compendiare la realtà degli anni che vanno dal 1969 al 1974, o al 1980 addirittura.
Semmai può valere limitatamente al 1969, poiché gli autori della strage del 12 dicembre in Piazza Fontana, vale a dire Freda e i suoi accoliti, nei mesi che precedettero l’attentato maggiore, -finalizzato alla <<disintegrazione del sistema>>, per usare il titolo di un’opera dello stesso Freda- fecero salire la tensione per mezzo di uno stillicidio di attentati minori. Poi però le stragi si fermarono fino alla metà del 1972, allorché nelle campagne di Peteano si ebbe un attentato dalle caratteristiche molto diverse da Piazza Fontana, perché mirato contro i servitori dello Stato e non contro la folla. Nel maggio 1973, l’ordigno che fece vittime presso la Questura di Milano aveva in realtà quale obbiettivo un singolo politico di primo piano, il democristiano Rumor. La prima strage contro la folla dopo Piazza Fontana fu in Piazza della Loggia a fine maggio 1974. Erano trascorsi oltre quattro anni dalla bomba milanese, durante i quali lo Stato aveva avviato una vigorosa reazione antifascista, di cui lo scioglimento di Ordine Nuovo a fine 1973 fu una tappa epocale. Piazza della Loggia fu bissata dalla bomba sul treno Italicus ad agosto 1974, dopo di che gli stragisti desistettero.
Le trame golpiste furono poca cosa, e cessarono prima ancora delle bombe. Il tentativo meno inconsistente fu il golpe di Borghese, che si arenò da solo nel corso della notte dell’Immacolata del 1970, mentre gli altri neppure arrivarono alla fase esecutiva.
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Stragismo e golpismo si combinarono tra loro?
Si hanno scarsissime tracce di combinazioni tra stragi e tentativi di colpi di Stato. Non c’erano intese né collaborazioni tra gli attentatori di Piazza Fontana e i golpisti radunati intorno a Borghese. Le trame dei generali fra 1971 e 1972 non prevedevano stragi, il “golpe bianco” di Edgardo Sogno nemmeno. A loro volta, gli attentati sanguinosi della prima metà degli anni Settanta non erano funzionali ad aprire la strada a colpi di Stato in preparazione. Caso mai, fu il progetto della Rosa dei Venti a contemplare attentati per surriscaldare il clima prima dell’azione militare, ma avrebbe dovuto trattarsi di una serie di attentati incruenti che, peraltro, non ebbe luogo.
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La strage di Bologna del 1980 fu una continuazione delle stragi del passato o fu altra cosa?
- La bomba del 2 agosto 1980 a Bologna fu un evento gravissimo ma isolato, in un’Italia ormai profondamente cambiata in confronto al 1969, sicché un movente neofascista risulta anacronistico, non sta in piedi. Attualmente infatti la magistratura bolognese è in cerca di mandanti, i quali abbiano assoldato i giovani neofascisti già condannati che, pertanto, sarebbero stati meri esecutori.
Temo che questo impianto sia del tutto sbagliato e che i veri colpevoli della strage di Bologna vadano cercati altrove, verosimilmente guardando al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), che un movente l’aveva, che dal gennaio 1980 aveva minacciato l’Italia pesantemente e reiteratamente e che era aduso agli attentati.
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Sul versante sinistro, le dietrologie si sono concentrate soprattutto sul sequestro e omicidio di Aldo Moro. Spesso si dice che fu una vicenda pilotata a livello internazionale e, in particolare, è stato ipotizzato che i brigatisti fossero al servizio di Mosca.
- Il terrorismo rosso fu un fenomeno genuino e autoctono. Le Brigate Rosse furono il più forte e longevo tra le decine di gruppi che praticarono la lotta armata per il comunismo. Il sequestro e l’omicidio di Moro furono l’apice dell’azione condotta dalle BR per quasi vent’anni, prima, durante e dopo il 1978, fino all’omicidio nel 1988 di un altro democristiano, il senatore Roberto Ruffilli, e ai susseguenti arresti che posero fine alla sanguinosa serie. L’operazione Moro fu un’azione pienamente coerente con la strategia delle BR e con il livello di capacità delittuosa da loro raggiunto nel 1978, non un’anomalia o una deviazione di percorso.
La matrice e la gestione brigatista e dunque italiana della vicenda Moro fu affermata già dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il principale protagonista della vittoria dello Stato contro le Brigate Rosse sul terreno operativo, e ribadita nel 1983 dalla sentenza del primo processo Moro e dalla Commissione parlamentare d’inchiesta Moro-1.
Le Brigate Rosse non riconoscevano un ruolo di guida all’Unione Sovietica (e per questo avevano dissentito da Feltrinelli). Mosca, da parte sua, non aveva appoggiato l’insurrezione armata in Italia all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, e a maggior ragione non credeva nella lotta armata negli anni Settanta. Il riferimento di Mosca in Italia era il PCI, non le BR.
Il colmo è quando si sente dire che Moro sarebbe stato eliminato da una coalizione mondiale comprendente USA, URSS, Israele e altri ancora, in ossequio allo “spirito di Yalta”. A parte il fatto che non fu tanto a Yalta che le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale discussero dell’Italia, ma in altre sedi, in realtà Moro rispettava la divisione dell’Europa in blocchi, mentre le BR la combattevano. Per Moro era pacifico che l’Italia fosse e dovesse rimanesse alleata degli USA, appartenesse al campo occidentale, alla NATO, alla comunità europea, fosse un Paese capitalistico, ad economia di mercato, avesse un sistema istituzionale parlamentare di tipo liberaldemocratico; erano le BR a lottare strenuamente contro tutto questo. Quindi, se mai in via Fani il 16 marzo 1978 fosse intervenuto qualcuno in nome dello “spirito di Yalta”, questo qualcuno sarebbe intervenuto in difesa di Moro e degli agenti della sua scorta e contro gli assalitori brigatisti, non l’opposto!
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Cosa Nostra collaborò con il terrorismo di destra e/o di sinistra durante gli “anni di piombo”? I terroristi di destra e di sinistra, a loro volta, concorsero allo stragismo mafioso degli anni Novanta?
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Cosa Nostra non è coinvolta nelle stragi neofasciste, né nelle trame golpiste, né nella lotta armata per il comunismo.
Tuttavia negli anni Settanta e Ottanta vi furono contatti tra terroristi di destra e organizzazioni criminali, tra cui Cosa Nostra, comunque piuttosto limitati. Per lo più riguardarono circolazione clandestina e depositi di armi. I maggiori sviluppi si ebbero a Roma, tra i NAR e la Banda della Magliana. Vari esponenti della criminalità organizzata avevano simpatie politiche per l’estrema destra, e questo favorì i contatti di cui dicevo. A proposito dei NAR, Fioravanti e Cavallini furono accusati di essere stati i killer del Presidente della regione Siciliana Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980. Oggi, sull’onda dei processi in corso a Bologna, alcuni rinnovano l’accusa e presentano Piersanti Mattarella quale “erede di Moro”, inserendo perciò il delitto nella cornice degli “anni di piombo” e prospettando una consequenzialità tra i delitti di cui entrambi i personaggi furono vittime. Tuttavia, le cose non stanno affatto in questo modo. Fioravanti e Cavallini furono assolti in tutti i gradi di giudizio dall’imputazione di omicidio del politico siciliano, mentre il 44enne Piersanti Mattarella aveva un curriculum indubbiamente onorevole però neppure paragonabile a quello di Moro, era un politico di livello regionale (in ascesa, se si vuole). Nel 1978 egli aveva precorso l’evoluzione del quadro politico nazionale accogliendo il PCI nella maggioranza della sua regione, ma l’esperimento era fallito, nel 1979 i comunisti erano tornati all’opposizione anche in Sicilia e alla data dell’omicidio la giunta Mattarella era in crisi. Piersanti Mattarella fu ucciso dalla mafia, perché alla mafia dava fastidio.
Il procedimento giudiziario sulla strage del rapido 904 avvenuta a Natale del 1984 accertò che l’attentato fu opera di Cosa Nostra, per suoi fini, mentre cadde la supposizione iniziale che il concorso di elementi di estrema destra fosse politicamente significativo. Gli anni Novanta sono un’altra storia, di cui non mi occupo come studioso. Lo fanno validamente altri storici, ad esempio Salvatore Sechi.
A sinistra, praticamente nessun rapporto con la criminalità organizzata, fatta eccezione per le BR dell’ala guidata da Senzani, che all’inizio degli anni Ottanta si insediarono a Napoli e teorizzarono la creazione di un fronte comune con sottoproletariato e ambienti carcerari. Tuttavia Senzani fu arrestato nel 1982 e il suo progetto non poté andare avanti.
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Le stragi fasciste, le trame golpiste, la lotta armata per il comunismo hanno inciso in maniera determinante sulla storia d’Italia oppure no? I nemici della Repubblica hanno vinto o perso?
Le stragi non fecero crollare né lo Stato, né i partiti, il golpe non si fece, i terroristi non ottennero l’appoggio delle masse; piuttosto, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale furono sciolti, i NAR, le Brigate Rosse e Prima Linea debellati, Borghese e innumerevoli camerati costretti a riparare all’estero. La Repubblica ha vinto e i suoi nemici hanno perso, quindi, anche se non tutti i colpevoli sono stati individuati.
Purtroppo qualche dietrologo non distingue tra la salvezza della Repubblica e le aspettative coltivate nella seconda metà degli anni Settanta dal PCI, e perciò scambia la sconfitta del “compromesso storico” decretata dagli elettori per una vittoria dei terroristi e degli eversori. La confusione comporta una criminalizzazione di opzioni e sviluppi politici che possono piacere o non piacere, ma che furono legittimi. Questo errore ha conseguenze negative non soltanto di tipo culturale, che già sarebbero serie. Una seconda e persino peggiore conseguenza di tesi come la “strage di Stato”, “destabilizzare per stabilizzare” e/o vittoria di imprecisati “poteri occulti” è la sfiducia che esse generano nei confronti delle istituzioni democratiche e della società.
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In conclusione, dato che le vicende degli anni di piombo sono fortemente controverse, come può fare il lettore a scegliere tra una versione e l’altra?
Il disorientamento di fronte alle divergenze fra le varie ricostruzioni è comprensibile, ma il lettore ha una risorsa per orientarsi: essere esigente.
Innanzi tutto, anche quando non si è specialisti degli argomenti in oggetto, in qualche misura è sempre possibile vagliare criticamente la metodologia e la logica del testo che si ha di fronte. Un secondo criterio, ancora più facile da applicare, è la trasparenza; se un autore che ha ampio spazio per esprimersi (mi riferisco soprattutto ai libri, naturalmente) non informa il lettore dell’esistenza di versioni differenti dalla propria, né spiega perché egli prenda posizione in un senso piuttosto che in un altro, significa che gli sta nascondendo qualcosa, che sta speculando sul fatto che il lettore ne sa meno di lui. Occorre diffidare degli autori che mancano ai loro doveri di trasparenza.