di Alessandro Perelli
La fine di un era, questa la sintesi che si può trarre dall’esito del ballottaggio per le presidenziali che si è svolto domenica 2 aprile in Montenegro. L’era è quella di Milo Djukanovic che per più di trent’anni è stato alla guida del Paese prima nel partito comunista per poi riciclarsi in un partito socialista democratico addirittura, negli ultimi anni, con venature liberali. Un segnale di quanto è accaduto si era potuto riscontrare già nell’ agosto 2020, alle elezioni legislative, quando per la prima volta il partito socialista, di cui Djukanovic è leader incontrastato, era stato sconfitto dalle forze di opposizione che poi erano riuscite a formare un Governo. Esperienza durata poco per la ridottissima maggioranza parlamentare in seguito svanita per alcune defezioni. A seguire vi erano stati ulteriori periodi di instabilità fino ai giorni nostri. Ma il fatto che Milo Djukanovic fosse Presidente della Repubblica continuava a condizionare la vita politica del Paese. Due settimane fa, al primo turno, Djukanovic, che si era ripresentato, aveva superato gli altri candidati senza raggiungere il 50+1% indispensabile per essere subito rieletto. Nel ballottaggio con Jakov Milatovic , con un’affluenza superiore al 70% , Djukanovic è stato nettamente sconfitto. A scrutinio terminato Milatovic, leader del nuovo movimento Europe Now, ha ottenuto il 60% dei voti rispetto al 40% del leader del partito socialista. Milatovic ha battuto il suo avversario in tutte le regioni del Paese e praticamente in tutti i principali centri a cominciare dalla capitale Podgorica, dove il suo successo è stato ancora più ampio. Il nuovo Presidente ha 37 anni, è laureato in Economia e nelle sue prime dichiarazioni ha sottolineato come l’ingresso del Montenegro nell’ Unione Europea sia la sua priorità e che considera positivamente l’ingresso del suo Paese nella NATO. Ma al di là dei motivi programmatici, l’impressione è quella che sia prevalsa proprio la volontà della maggioranza dei montenegrini di chiudere un’era e di giungere a un profondo rinnovamento. È questo il collante che ha permesso di vincere a Milatovic riuscendo a non fare prevalere le differenziazioni politiche tra i partiti che l’hanno sostenuto e che, insieme agli interessi personali, sono state la causa dell’instabilità governativa. Su di esse aveva cercato di giocare Djukanovic per cercare spazi di recupero della sua credibilità nell’ opinione pubblica montenegrina . Senza evidentemente riuscirci visto il risultato delle elezioni di domenica. Ed ora? Per i partiti che hanno sostenuto Milatovic, sarà senz’altro più facile affrontare le prossime elezioni politiche che dovrebbero svolgersi a fine maggio, inizio giugno di quest’anno. Battere il ferro finché è caldo potrebbe essere il loro obiettivo .Ma Milo Djukanovic indosserà un paio di pantofole e si ritirerà a vita da pensionato? Difficile immaginare questo per chi lo conosce. Troppi interessi girano ancora attorno a lui con un apparato amministrativo che in buona parte i socialisti ancora controllano. Senza parlare delle relazioni internazionali che ha saputo allacciare nel lunghissimo periodo in cui ha guidato il Paese. Relazioni con l’Unione Europea e soprattutto con gli Stati Uniti che hanno determinato molte sue scelte politiche in senso filo occidentale e atlantista. Poi dovrà dedicarsi alla riorganizzazione e al rinnovamento all’interno del suo partito democratico dei socialisti. Quello che è risultato, nelle ultime elezioni politiche, ancora il partito più votato dai montenegrini è stato coinvolto in troppo episodi di malgoverno e di corruzione (in particolar modo per le speculazioni edilizie) e richiede una nuova dirigenza tra la quale andrà individuata la persona che possa sostituire o affiancare Djukanovic alla sua guida. Ma anche i partiti che hanno contribuito a eleggere Milatovic come nuovo Presidente non dovranno limitarsi alla soddisfazione di aver estromesso Djukanovic ma dovranno fornire ai cittadini risposte credibili in primo luogo sul piano della crisi economica che interessa il Paese, sul piano della affidabilità internazionale del Montenegro, sul piano delle riforme necessarie per terminare positivamente il processo di adesione all’Unione Europea.