di Marco Andreini
Il segretario generale della Fiom era Vigevani, la Fiom aveva emarginato dalla segreteria tutta quell’ala riformista che aveva preso la maggioranza dopo la sconfitta storica del Referendum sulla scala mobile. Vigevani, socialista mise in segreteria Damiano e Camusso, ma non erano assolutamente in grado di controllare la base; a Milano scoppiarono una miriade di scioperi spontanei a partire dall’Alfa, così come a Brescia, Bergamo, Genova e a Torino. Tutto lasciava presagire che saremmo andati incontro ad una riedizione della spaccatura del movimento, come nell’84, Veronese e D’Antoni avrebbero tenuto, ma sapevamo che la pressione per rompere era altissima, gli scioperi e le autoconvocazioni dei Cdf spuntavano in tutte le fabbriche.
Non avevano fatto i conti, però, con il carisma di Bruno, che in una drammatica riunione della delegazione CGIL dette le dimissioni, più o meno dicendo non mi farò mettere i piedi in testa da uno che ho visto nascere e che non ha imparato nulla da me, il riferimento era a Bertinotti, che con un golpe aveva esautorato Garavini da seg di Rifondazione, che appariva sempre di più come il vecchio PCI, e molti CDF si sentivano appunto come una volta la cinghia di trasmissione di rifondazione.
Certamente Trentin non aveva a che fare con Berlinguer e con il grande PCI, gli eredi di Berlinguer erano alle prese con la sopravvivenza e Trentin questo lo sapeva, per cui la sua mossa fu geniale, perché la mattina stessa del 23 luglio comunicò a Veronese e D’Antoni che avrebbe firmato l’accordo, ma che doveva essere sottoposto a referendum i tutti i luoghi di lavoro. La Fiom votò contro, ma il referendum passò alla grande e fu il viatico per entrare in Europa, non dalla finestra, ma dalla porta principale, al pari degli altri.
Ho tenuto a raccontare di quei giorni per fare capire come a un certo punto un dirigente deve comportarsi, non conta solo quello che lui pensa, ma quello che lui rappresenta e di come ciò comporti l’assunzione di responsabilità che ci si deve assumere nel momento della firma di qualsiasi accordo. E lì c’è tutto, in poche ma illuminate pagine è delineata tutta quella politica di concertazione, pensate, che c’è persino scritto quanto e come debbono essere rinnovati i contratti nazionali, come la contrattazione aziendale e territoriale sia aggiuntiva e mai sostitutiva di quella nazionale e di come ogni anno, governo e parti sociali debbono preventivamente discutere i dati economici, presagire un tasso di inflazione e l’anno dopo a consuntivo se l’inflazione fosse superiore, restituire la differenza in busta paga.
Posso capire che Landini, che è un erede di quella Fiom barricadera, non possa minimamente riferirsi alla politica di concertazione, ma non riesco a capacitarmi di come la UIL non riesca a rivendicare quello che fu il suo più grande successo insieme a San Valentino. Non posso credere che generazioni intere di sindacalisti vedano andare in fumo tutto il lavoro di una vita e vanificare le lotte e gli scioperi che stanno dietro ogni riga di un contratto nazionale, vedere il sindacato ridursi a chiedere ai giudici di fatto, di fare quello che loro non sanno fare, cioè portare le controparti ai tavoli, rende il sindacato stesso agli occhi degli associati un ente inutile e sembra che non si rendano conto che stanno portando a suicidarsi l’intero movimento dei lavoratori e con esso tutta la sua storia gloriosa.